ECCO PERCHE’ NON CREDO AL PROCESSO UNITARIO DEL 5 MARZO DI CIVATI, SPERANZA E FRATOIANNI

Care compagne e cari compagni, non credo all’ennesimo congressino dell’ennesimo partitino della generica sinistra Italiana che viene annunciato come partente il cinque Marzo. Non ci credo semplicemente perché ho già vissuto questi momenti. Per restare solo al passato recentissimo, senza tirare fuori le varie Fds, Sinistra Arcobaleno et similia, basti solo vedere come sono nati Sinistra Italiana ed Articolo Uno. Entrambi dovevano essere il partito di tutta la sinistra, il partito del lavoro, il partito dove tutti i militanti contavano. Ed invece sono esplose le guerre di fazione, le correnti e correntine, i pacchetti di tessere, gli organismi dirigenti composti in base a logiche spartitorie. Io davvero credo che così non né usciamo. Non né usciamo e lo dico con dispiacere, se non invertiamo la rotta di partiti che nascono dai gruppi parlamentari, al chiuso di una sala Romana. Serve un processo unitario largo, del Socialismo del ventunesimo secolo, non genericamente di sinistra, capace di partire con dei processi di partecipazione ed elaborazione di programmi minimi a livello regionale, provinciale, comunale e di quartiere, serve una casa del Socialismo a provincia, non l’ennesimo minestrone già pronto calato da Roma. Serve che i protagonisti di queste sconfitte, gli stessi da venti anni, facciano un deciso e profondo passo di lato.  O così o purtroppo non torneranno a partecipare coloro che a queste elezioni non voteranno, coloro che un lavoro non ce l’hanno, coloro che vivono ai margini del centro urbano, politico ed economico del nostro Paese. Poi chiaro c’è a chi sta bene così, ma sono anche convinto che per tanti e tante altre non sia questa la strada a cui si vuole arrivare. Io credo, lavoro, mi impegno affinché Livorno il 24 Marzo sia la prima tappa di questo percorso. Antonino Martino SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FILIPPO TURATI E L’EUROPA

di Gian Piero Orsello Intervento pubblicato sul libro “Filippo Turati cinquant’anni dopo” Edizioni Scientifiche Italiane – 1983 Il nome di Turati è obiettivamente legato al tema dell’unità europea, tanto intrecciato a quello della lotta al fascismo, cioè all’anti-Europa, come “quel cancro abominevole, per sua confessione, si vanta di essere“, affermava Turati nell’intervista a “Le Quotidien” del 15 dicembre 1929, inserita nell’antologia intitolata Per gli Stati Uniti d’Europa, a cura di Pier Carlo Masini, con introduzione di Aldo Garosci, per iniziativa della Fondazione Turati. Il pur importante contributo dato da Filippo Turati alla indicazione della prospettiva europea, intende sottolineare l’apporto a tale causa venuto dal pensiero e dall’azione socialista, ingiustamente ignorati o non sufficientemente rammentati da quanti spesso ricordano i precursori della lotta per la Federazione europea e li ritrovano, nel secolo scorso, ai primordi della Giovine Europa, nel pensiero di Giuseppe Mazzini e nella testimonianza di Cario Cattaneo, per scendere, poi, a questo secolo e rievocare il contributo di molti protagonisti della cultura e della politica, da Benedetto Croce a Luigi Einaudi, a Gaetano Martino, da Carlo Sforza a Ugo La Malfa e della visione indubbiamente europea, connaturata a tutta la sua azione politica, di Alcide De Gasperi. Non intendiamo minimamente disconoscere o attenuare il grande contributo venuto alla causa dell’unità europea dagli illustri pensatori e statisti indicati, come conosciamo bene nell’area del pensiero e dell’azione socialista gli importanti apporti dati con lunga coerenza da Giuseppe Saragat e da Pietro Nenni, soprattutto negli ultimi anni della loro azione politica, come ricordiamo, altrettanto bene, il contributo all’idea d’Europa venuto dall’ala più consapevole del socialismo europeo, dalla socialdemocrazia austro-tedesca, da Otto Bauer a Willy Brandt, dal socialismo francese da Aristide Briand, a Jean Jaurés, a Leon Blum, a François Mitterand, ai sintomi positivi, pur in una situazione non facile del laburismo inglese. E’ fondamentale, nella storia del pensiero socialista italiano, il riferimento all’Europa, che ci viene, in piena esaltazione nazionalista e al culmine quasi dell’ubriacatura fascista, dall’intuizione meditata e tempestiva di Filippo Turati, il quale non a caso, nella citata intervista al giornale francese, ricordava giustamente l’aspirazione europea del grande apostolo Giuseppe Mazzini, ma aggiungeva subito dopo che il contributo dei socialisti alla causa degli Stati Uniti d’Europa non poteva mancare proprio per la loro natura di “internazionalisti per definizione“. Nella lunga e coerente linea evolutiva del pensiero di Filippo Turati il riferimento all’unità dell’Europa non è quantitativamente ricorrente per dettagli e costanza, anche si occorre dire che tutto il quadro della concezione politica di Turati non solo non contrasta, ma sostanzialmente coincide sempre con una impostazione sostanzialmente europeista: la sua opposizione al colonialismo, fin dall’epoca della prima guerra italiana in Africa (1887), la sua dura lotta contro l’interventismo nella prima guerra mondiale (1914), l’iniziativa di pace, in piena guerra nei confronti dei socialisti francesi e la mozione presentata in Parlamento “per la salvezza d’Europa” (1916), il discorso alla Camera dei deputati a proposito dell’Alto Adige (1920) in relazione alla ratifica del Trattato di S. Germano – che precorre problemi e soluzioni di grande attualità nel secondo dopoguerra – la lettera ad Arthur Henderson, dopo la prima vittoria elettorale del partito laburista inglese (1923), sul tema del libero scambio, con una visione in larga misura anticipatrice degli argomenti che negli anni ’50 avrebbero dovuto portare all’unione doganale e alla comunità economica europea, e che contrasta una linea isolazionista, che avrebbe dovuto ripresentarsi nell’ambito del partito laburista e in particolare nelle Trade-Unions. Ma è soprattutto un discorso di Turati alla Camera dei deputati, pronunciato nel 1919, sulle dichiarazioni del Governo Orlando in relazione alla defezione italiana dalla Conferenza della pace, che attira la nostra attenzione per la sua lucidità e per la sua lungimiranza, contro l’imperialismo diffuso e il nazionalismo non sopito, che avrebbero dovuto di lì a pochi anni precipitare il Paese nell’avventura e poi nella catastrofe, proprio in nome di quei miti contro i quali Turati elevava la propria condanna e pronunciava il proprio rifiuto, ribadito nella dichiarazione di voto pronunciata dall’esilio il 31 marzo 1929 di fronte alla forza del plebiscito per il regime fascista. Dove la denuncia in Turati, anche in polemica con socialisti di altri Paesi, della regola dei due pesi e delle due misure nella valutazione delle ragioni dell’indipendenza dei popoli; vi è la previsione del rischio della balcanizzazione dell’Europa, che anticipa la valutazione del pericolo da est – che nella citata intervista del 1929 definirà con linguaggio colorito e di moda “il pericolo giallo” -; vi è l’avvisaglia di un altro rischio, che pure denuncerà poi nella stessa intervista, anche se nel quadro di affermazione di solidarietà con gli Stati Uniti d’America, che anticipano la visione kennediana della partnership, quello di una progressiva “apertura all’Europa al dominio americano“. Vi è soprattutto l’auspicio della pace “fra la grande cooperativa delle genti” e l’affermazione perentoria ed esplicita, che pure dovrà riprendere successivamente, degli Stati Uniti d’Europa, la riduzione dei problemi nazionali alla dimensione “dell’importanza che possono avere in uno Stato le circoscrizioni di una provincia, la separazione di uno o più comuni”, mentre invece con tutta la forza dal proprio temperamento vibrante sottolinea “la fraternità degli animi, gli aditi aperti ai commerci ed alle influenze intellettuali, l’affratellamento degli interessi“. E’ l’eco di una polemica che in un leader della sua statura, in un socialista della sua fede, in un democratico della sua tempra non poteva non fare aggio su visioni e su prospettive che pure egli percepiva distintamente e che avrebbe portato all’attenzione dell’Internazionale Socialista e nei discorsi che avrebbe pronunciato nell’ultima parte della sua vita nei Congressi di Bruxelles e di Vienna. Sono i problemi legati all’influenza oggettiva della rivoluzione sovietica, ma al rifiuto della logica leninista e delle ragioni che avrebbero indebolito la classe operaia italiana con la scissione di Livorno del 1921, contro la quale egli energicamente si batté nei confronti dei fautori della creazione di un Partito Comunista legato all’obbedienza a Mosca ed alla Terza Internazionale. In questo senso, ci sembra più che mai opportuno un suo discorso, che ha sempre avuto un …

L’ESPERIENZA SOCIALDEMOCRATICA DI OLOF PALME

L’utopia possibile di Olof Palme di Lia Fubini In libreria la raccolta di scritti e discorsi di uno dei più grandi protagonisti della socialdemocrazia europea. Un lettura di stretta attualità Stato sociale e crescita economica sono alla base del successo della socialdemocrazia svedese, un successo legato al nome di Olof Palme dagli anni ’60 fino alla sua tragica morte nel 1986. Palme è stato uno dei grandi rinnovatori della tradizione socialdemocratica europea ed è senza dubbio un riferimento importante per la definizione di un socialismo riformista e di respiro internazionale. Una riflessione sulla socialdemocrazia, sui suoi obbiettivi e sui risultati raggiunti offre spunti e suggerimenti per un’uscita dalla crisi e per la costruzione di un mondo migliore. Per questo non si può accogliere che con estremo interesse la raccolta degli scritti e dei discorsi più significativi di Palme curato da Monica Quirico Tra utopia e realtà: Olof Palme e il socialismo democratico (Editori Riuniti university press, 2009). Molti e attualissimi i temi trattati: democrazia, stato sociale, ruolo del sindacato, equità, integrazione degli immigrati, questione femminile, solidarietà internazionale. La competitività del sistema svedese è stata in grado di garantire ed estendere un sistema di welfare universalistico, in cui vengono forniti servizi indiscriminatamente a tutti i cittadini, dunque non solamente assistenza ai bisognosi o servizi selettivi. Il tema del welfare è stato inserito in una visione complessiva della politica, della società e dell’economia. Il primo insegnamento che possiamo trarne è che i problemi sociali ed economici non possono e non devono essere affrontati separatamente e in modo parziale. Un modello che oggi merita di essere approfondito in una prospettiva di uscita dalla crisi è quello del compromesso socialdemocratico, il cui obiettivo è favorire lo sviluppo del sistema, la sicurezza sociale e una equa redistribuzione del reddito, elementi che, a dispetto del pensiero economico mainstream, vanno di pari passo, come mirabilmente illustra Palme in numerosi discorsi riportati nel volume. Il compromesso sociale è stato il frutto della necessità di uscire dalla profonda recessione degli anni trenta. La crisi del ‘29 era, come quella attuale, una crisi del modello liberista, una crisi da disuguaglianze e da deregolamentazione dei movimenti finanziari. La risposta sono state le politiche keynesiane che hanno favorito la crescita e la tendenza a una maggiore equità distributiva. Nei paesi del nord Europa tale modello ha raggiunto gli standard più alti: la spesa pubblica, la creazione di nuova occupazione, l’aumento del potere d’acquisto dei lavoratori non si collocano solo in uno schema keynesiano di stimolo alla domanda effettiva, ma sono il risultato di una politica in grado di coniugare sviluppo e integrazione sociale. Ma, negli anni settanta si è inceppato il meccanismo virtuoso di crescita stabile e sostenuta. In parallelo il compromesso socialdemocratico è entrato in crisi; è rimasto così incompiuto il processo di costruzione di una società socialista auspicato da Palme. Documento esportato da: www.sbilanciamoci.info Olof Palme si rende conto dei cambiamenti in atto, coglie il pericolo di una crisi di lunga durata del capitalismo, di forti correnti reazionarie scatenate dalla recessione degli anni settanta, di un’offensiva neoliberista sul piano ideologico e pratico. La soluzione – dice Palme – non è: più capitalismo, ma una trasformazione della società che aumenta il potere dei lavoratori e un intervento sistematico sui principali nodi dell’economia. Per superare la crisi non si deve lasciare più spazio al mercato, ma è necessario avanzare verso il socialismo. “Il rischio, tuttavia – dice profeticamente Palme nel 1977 – è che il capitalismo, trovandosi sulla difensiva, diventi duro, brutale e repressivo, finendo così per diventare pericoloso”. Di fronte ai rischi di un capitalismo sempre più aggressivo vede la necessità di una gestione programmata dell’economia, di un progresso verso uno stadio più avanzato della democrazia, la democrazia economica che nella sua concezione rappresenta il seguito e il complemento della democrazia sociale, che costituisce a sua volta il prolungamento della democrazia politica. Oggi – molti sottolineano – incombe il problema dell’inquinamento e del degrado dell’ambiente, non si può più pensare a una crescita continuativa in grado di sostenere un sistema di welfare universalistico. Palme è cosciente di problemi che col tempo si riveleranno ben più pressanti e propone soluzioni adeguate ad affrontare le nuove sfide poste dalle tematiche ambientalistiche: la crescita si deve concentrare nel sociale, nell’ambiente, nella formazione, nella tecnologia. Muovendosi nella direzione indicata da Palme uno stato sociale degno di questo nome potrebbe essere costruito, anche in Italia, e costituirebbe la premessa e il complemento di un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Naturalmente un sistema di tassazione elevata e fortemente progressiva è condizione necessaria e deve accompagnarsi a una svolta profonda nelle politiche economiche. In questa fase di insicurezza generalizzata deve essere ripensata la spesa sociale, si devono ridurre drasticamente le disuguaglianze, il dualismo del mercato del lavoro, si deve tornare a puntare sulla piena occupazione, magari rispolverando l’idea oggi fuori moda della diminuzione dell’orario di lavoro. Dalla democrazia dei diritti civili e politici si deve avanzare verso la democrazia sociale e la democrazia economica, è necessario un intervento diretto delle forze sociali e dei lavoratori nel processo di accumulazione. Può sembrare un’utopia, proprio quell’utopia abbandonata dai partiti socialdemocratici che sempre più hanno conosciuto derive moderate e liberiste. Eppure, – come ci insegna Palme – “il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile” . Questo è tanto più vero oggi con questa crisi che, a dispetto degli ottimisti, è ben lungi dall’essere superata non solo e non tanto per i problemi finanziari, che comunque sono tutt’altro che risolti, ma per gli effetti devastanti sull’occupazione e sul tessuto produttivo. L’incapacità di una riflessione complessiva da parte di partiti e governi e consiglieri del principe rende problematica l’uscita dalle recessione. In questo contesto i partiti cosiddetti socialdemocratici di oggi non sono in grado di dare risposte e si sono adagiati supinamente sul pensiero dominante. La crisi offre la possibilità di un ripensamento sui rapporti sociali, sulla democrazia e sul modo di produzione. Non a caso le grandi crisi, con la loro forza destabilizzante, costituiscono un …

LE BASI STORICHE DELL’IDENTITA’ SOCIALISTA. TURATI E IL PACIFISMO

di Alberto Benzoni I socialisti, parlo dei socialisti della seconda internazionale, sono comparsi sulla scena dopo i democratici radicali e dopo Marx. E, a differenza dei primi e del secondo, sono stati, sin dall’inizio, convinti pacifisti. Non così i democratici, imbevuti, ancora sin dall’inizio, di quello spirito missionario, di quel senso di superiorità intellettuale e morale che gli avrebbero spinti, a partire dalla Francia giacobina e napoleonica, a promuovere una stagione di guerre di popolo per affermare i principi della Rivoluzione e, successivamente, i diritti delle nazionalità oppresse. Non così gli interventisti democratici italiani del 1915, complici oggettivi della monarchia e dei futuri fascisti, nel travestire una guerra di conquista in una contro l’Austria-Ungheria prigione di popoli. Non così l’America giustamente vincitrice di due guerre mondiali in cui era stata trascinata contro la sua volontà ma anche, prima e dopo, espressione suprema e permanente di quella stessa “vocazione missionaria“che l’ha portata, a partire dalle guerre contro indiani, messicani, spagnoli, ad essere, sino ad oggi, ad essere la nazione più bellicista e interventista del mondo. Nella veste di legislatore, giudice, poliziotto e, all’occorrenza, di boia. Non così Marx ed Engels e, dopo di loro, i leninisti. Per loro la violenza rimane la principale levatrice della storia. Si tratterà, allora, in questo quadro, di distinguere tra le guerre proprie e quelle degli altri; e all’interno di quelle degli altri, di prendere in considerazione la natura dei contendenti. In quest’ottica, Marx sosterrà sino in fondo il Nord nella guerra civile americana; sosterrà, ma solo sino ad un certo punto, la Germania nel 1870; e, infine, spingera la sua russofobia, sino a sostenere la causa turca sia nel 1854-55 che nel 1877-78 (curiosamente è in omaggio a questo principio che la Germania aprirà il primo conflitto mondiale con la dichiarazione di guerra alla Russia zarista; era, a giudizio del capo del governo “il modo più sicuro per ottenere il consenso dei socialdemocratici”). La socialdemocrazia, espressione diretta del movimento operaio organizzato avrà invece, come sua stella polare la lotta alla guerra. Un impegno che il socialismo italiano terrà fermo, pressochè da solo, anche nel 1915 (gli altri erano stati travolti dgli eventi ; i nostri erano in grado di capire esattamente che cosa gli aspettava). Un impegno che è non solo ideologico ma anche esistenziale e morale. Si è contro la guerra perchè si è contro il capitalismo che la produce per i suoi obbiettivi imperialistici, ma anche perchè la guerra è parte di un disegno complessivo tendente a bloccare con la violenza l’ascesa del proletariato, spezzandone l’unità e mettendo i fratelli contro i fratelli. Ma si è anche contro la guerra perchè questa è fonte di disastri non solo materiali ma anche intellettuali e morali intossicando la vita della collettività nazionale a danno, ancora una volta, dei ceti più deboli. Per questo Turati e Treves, e altri con loro, videro la guerra la Libia come segnale di una scelta avventurista e reazionaria dei nostri gruppi dirigenti. Per questo si opposero alla svolta antidemocratica e antiparlamentare delle “radiose giornate“; per questo lanciarono la formula politicamente inefficace ma eticamente grandiosa del “nè aderire nè sabotare“; per questo videro, correttamente, nel sorgere del fascismo, la sintesi perfetta tra una feroce lotta di classe (il cui principale bersaglio, occorrerebbe ricordarlo sempre, non furono i “comunisti”ma le istituzioni create dal socialismo riformista) e la cultura della violenza che dalle trincee si era estesa all’intera nazione. Persero, come era inevitabile; ma salvaguardarono la loro identità per le generazioni future. Ed è sulla base di questi principi che, pur partendo, negli anni del dopoguerra, da posizioni diverse, socialisti italiani e socialisti europei ricominceranno e continueranno per decenni, a tessere la loro tela. Convinti, come sono, che la salvaguardia della pace sia un obbiettivo in sè. E che, per raggiungere questo obbiettivo, bisogna certo coltivare l’arte del dialogo e della mediazione, valorizzare gli organismi internazionali, moderare se non cessare la corsa agli armamenti; ma anche e soprattutto fare i conti e marcare la distanza tra cultura socialista e cultura democratica. E con la propensione naturale di quest’ultima (e del suo stato guida, gli Stati uniti) a vedere il mondo in bianco e nero e ad interpretare le sue vicende come lotta tra Bene e Male. Sarà questa la Stella polare delle grandi figure del socialismo europeo ma anche dei Nenni e di Lombardi, di De Martino e di Craxi. E sarà questa linea ad essere travolta e successivamente dimenticata dopo la grande sbornia del 1989 e dei primi anni novanta. A determinare la dissoluzione pacifica del “socialismo reale” furono Helsinki e i “senza potere“, i socialisti europei e i revisionisti come Gorbaciov. Ma, ad intascare i frutti della vittoria sino ad appropriarsene in toto saranno i cultori del liberismo e dell’interventismo democratico. Tra cui si sarebbero ben presto arruolati gli stessi socialisti, convinti di poter tenere le redini del processo aperto dalla caduta del muro di Berlino. Oggi, a trent’anni data, il mondo è dominato dalla cultura del conflitto. E percorso da guerre d’ogni tipo e condotte con ogni mezzo; ad esclusione, almeno per ora, del conflitto militare aperto. E’ scomparso invece il suo antagonista; il pacifismo socialista. Perchè ? Possiamo invocare, a questo riguardo, ogni tipo di ragione oggettiva: a partire dalla mancanza di strumenti politici adeguati. L’Europa politica, quella Venere denunciata dai neocon americani per il suo rifiuto di associarsi alla scellerata avventura irachena, è lontana anni luce e non può essere sostituita dalle iniziative di singoli stati. I partiti socialisti, tra l’altro in fase di rapido riflusso, sono in una specie di terra di nessuno in cui non riescono ad essere nè sovranisti nè internazionalisti. I grandi forum internazionale di mediazione e di dialogo sono stati scientemente ridotti all’impotenza. E però, in questo disastro, le nostre responsabilità sono state pesanti. Siamo stati così frettolosi nel saltare sul carro del vincitore- la democrazia occidentale guidata dagli Usa– da dimenticare a casa la nostra carta d’identità. Nella convinzione, magari, che questa fosse scaduta. Ora, ci vorrà del tempo per ritrovarla. …

Concorsi negli enti locali, le nuove opportunità di lavoro

Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale – Concorsi ed Esami n. 14 del 16.2.2018:  COMUNE DI ARQUATA DEL TRONTO CONCORSO (scad. 3 marzo 2018) Selezione pubblica, per esami, colloquio ed eventuale quiz preselettivo, per la formazione di una graduatoria per assunzioni a tempo determinato, pieno e parziale, di istruttori di vigilanza – vigili urbani – categoria C, posizione economica C1. (18E01383). COMUNE DI CASTELNUOVO DEL GARDA CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Rettifica e riapertura termini del concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto a tempo parziale – trenta ore settimanali – e indeterminato, di istruttore tecnico categoria C – area tecnica edilizia privata ed urbanistica. (18E01384). COMUNE DI CASTEL SAN GIORGIO CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di tre posti di autista scuolabus/collaboratore amministrativo categoria B3, a tempo parziale 33% ed indeterminato. (18E01411). COMUNE DI CHIVASSO CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura a tempo indeterminato e pieno di un posto di agente di polizia municipale – categoria C. (18E01447). COMUNE DI CUNARDO CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura di un posto di operaio specializzato categoria B3, a tempo pieno ed indeterminato. (18E01439). COMUNE DI CUNEO CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Corso-concorso pubblico, per soli esami, per la copertura di un posto di istruttore amministrativo, categoria C, a tempo pieno e indeterminato. (18E01440). COMUNE DI FIRENZE CONCORSO (scad. 3 marzo 2018) Selezione pubblica per l’assunzione di personale appartenente alle categorie di cui all’art. 1 della legge n. 68/1999 – avviamenti numerici – per la copertura di undici posti a tempo pieno e indeterminato, nel profilo di esecutore polivalente, categoria B1. (18E01437). COMUNE DI JESI CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura di un posto di categoria C a tempo indeterminato e pieno, con profilo professionale di istruttore di vigilanza, presso l’area polizia locale. (18E01446). COMUNE DI MAGLIE CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per l’assunzione a tempo indeterminato, part-time al 66% – ventiquattro ore settimanali, di un istruttore amministrativo/contabile categoria C, presso il settore affari istituzionali e servizi alla persona. (18E01408). COMUNE DI MAGLIE CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per l’assunzione a tempo indeterminato, part-time al 50% – diciotto ore settimanali, di un istruttore direttivo amministrativo/contabile categoria D1, da assegnare al settore economico finanziario, con riserva per i militari volontari delle Forze armate. (18E01409). COMUNE DI MOSCIANO SANT’ANGELO CONCORSO (scad. 19 marzo 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di istruttore amministrativo a tempo indeterminato parziale trenta ore – categoria C, posizione economica C1 – settore amministrativo. (18E01501). COMUNE DI PESCHIERA BORROMEO CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di istruttore direttivo contabile – categoria D, posizione economica D1 – a tempo pieno ed indeterminato, prioritariamente riservato ai volontari delle Forze armate. (18E01443). COMUNE DI PIACENZA CONCORSO (scad. 28 febbraio 2018) Concorso pubblico per il conferimento dell’incarico dirigenziale di direzione del servizio entrate. (18E01449). COMUNE DI RAVENNA CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorsi pubblici, per esami, per l’assunzione a tempo indeterminato di sette posti di vari profili professionali. (18E01450). COMUNE DI RODENGO SAIANO CONCORSO (scad. 19 marzo 2018) Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura di un posto a tempo pieno ed indeterminato di istruttore amministrativo categoria C, geometra – istruttore amministrativo tecnico – da destinare agli uffici dell’area tecnica. (18E01503). COMUNE DI SAN BASILE AVVISO Integrazione del concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto, categoria B3, a tempo indeterminato e parziale part-time 33,33%. (18E01412). COMUNE DI SAN GIOVANNI BIANCO CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura di un posto di collaboratore operaio categoria B3, a tempo indeterminato ed orario intero, settore territorio ed ambiente. (18E01382). COMUNE DI SASSARI CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura, a tempo pieno ed indeterminato, di due posti profilo professionale di collaboratore ai servizi amministrativo-contabili – categoria giuridica C – esclusivamente riservato alle categorie protette disabili, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 68/1999. (18E01410). COMUNE DI SERRAVALLE SESIA CONCORSO (scad. 5 marzo 2018) Concorso pubblico per il conferimento a tempo determinato e parziale di un incarico di alta professionalita’ – area tecnica. (18E01413). COMUNE DI SONCINO CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di istruttore direttivo amministrativo contabile categoria D, tempo pieno trentasei ore settimanali, tempo indeterminato. (18E01417). COMUNE DI TERRACINA CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Modifica della procedura concorsuale, per esami, per la copertura di cinque posti a tempo indeterminato e parziale – part-time verticale sei mesi l’anno, di categoria C, posizione economica C1, con profilo professionale di agente di polizia locale. (18E01462). COMUNE DI TERZIGNO CONCORSO (scad. 20 marzo 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di direttivo tecnico – categoria D, a tempo pieno ed indeterminato, uno dei quali riservato ai militari delle Forze armate. (18E01445). COMUNE DI VILLAPUTZU CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo pieno ed indeterminato di un posto di operatore specializzato – categoria B3. (18E01414). COMUNE DI VILLAPUTZU CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo indeterminato e parziale, ventotto ore settimanali, di un posto di istruttore amministrativo-contabile – categoria C, posizione economica C1. (18E01415). PROVINCIA DI SONDRIO CONCORSO (scad. 18 marzo 2018) Concorso pubblico per l’eventuale conferimento di un incarico di dirigente tecnico a tempo determinato e pieno, presso il settore risorse naturali e pianificazione territoriale. (18E01442). UNIONE LOMBARDA DEI COMUNI DI BASIANO E MASATE CONCORSO Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura di tre posti di agente polizia locale categoria C1, a tempo pieno e indeterminato. (18E01438). Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale – Concorsi ed Esami n. 13 del 13.2.2018:  COMUNE DI BARI SARDO CONCORSO (scad. 15 marzo 2015) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo parziale …

SANDRO PERTINI Studente, Partigiano, Presidente

*Stefano Rolando: un ricordo di Sandro Pertini Faccio questo intervento pensando a tanti ragazzi, oggi, che pensano che la politica, la storia, il bene comune, siano valori da non disprezzare. Ce ne sono ancora. Come ce ne sono stati nel passato. E a tutti – come successe a me – questa tensione può riservare straordinarie sorprese. Poteva succedere nel nostro paese – forse una volta più piccolo, più coeso, più legato da valori fondanti – che un ragazzo di sedici anni, gemello della Costituzione, già appassionato di politica e di storia, direttore del giornaletto degli studenti del suo liceo (foglio nato negli anni della Resistenza),  si imbattesse – a Milano – in un mito delle battaglie per la democrazia e la libertà. Un mito a cui dare del tu, a cui fare domande, con cui intavolare un dialogo non retorico, con chiarificazioni sul passato e il presente. Un mito parlante, autorevole, disposto a dialogare. Che disse: “e adesso vienimi a trovare a Roma!”. Poteva succedere. Dalla trepidante visita alla Camera dei Deputati, di cui era vice-presidente e in cui disponeva di uno studio-alloggio allestito con fantasioso disordine dalla Carla – una visita a Montecitorio vissuta la prima volta con lo spirito della “religione della patria” – al giorno della sua scomparsa, quel legame non venne mai meno. Attraversando le due straordinarie esperienze di Sandro Pertini alla presidenza della Camera e alla presidenza della Repubblica, in tante forme di assistentato, viaggi, festività trascorse in casa e in famiglia, occasioni di scrittura e tante, tante domande sempre con una risposta, sempre senza l’imbarazzo dei alcuna diplomazia. Fino al giorno del’estremo congedo. Un giorno speciale – il 28 febbraio 1990 – con Carla Pertini che stringeva al petto un’urna che conteneva non tanto cenere quanto la vita di un eroe, di un patriota, di uno statista, di un marito e che raccontava ai presenti e all’Italia che la realtà e i simboli possono incrociarsi non solo per vendere merci ma anche per sorreggere memoria, identità e valori. A Stella San Giovanni  – nell’aspra altura ligure, somigliante al carattere del suo illustre figlio – quel congedo si caricò di impegni. Difficili da rispettare. Perché difficile è la testimonianza civile di questi tempi. Questo il mio rapporto con Pertini socialista (che mi ha mosso a vivere questa esperienza dal 1976 al 1985, quando chiamato da Giuliano Amato come direttore generale a Palazzo Chigi ritenni non compatibile il ruolo di funzionario dello Stato con l’appartenenza a un partito), con Pertini presidente e – in tante occasioni – con Pertini uomo e maestro. Sono fiero – tra le tante esperienze – di avere consentito la raccolta di tutti i suoi discorsi da presidente della Camera e della Repubblica in due volumi editi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri  che ebbero in Norberto Bobbio un efficace e illuminante presentatore alla prima edizione del Salone del Libro a Torino. Della fortuna di questa amicizia feci un cenno in un libro scritto nel 2008 e che si intitolava “Quarantotto” (una data di nascita ma anche una metafora di carattere) e dove ho raccolto anche alcuni episodi di vita e testimonianze storiche (tra cui quella della Liberazione di Milano). “Il bilancio della mia generazione – quella dei ventenni nel sessantotto – non è tutto positivo, molti hanno trasgredito rispetto ai doni ricevuti, molti hanno rinunciato ai valori di una educazione civile, molti hanno barattato la loro irrequietezza con la violenza, con gli affari, con l’ambiguità. Chi ha avuto la fortuna di maestri di etica pubblica ha avuto il sentiero più tracciato e ha avuto la possibilità forse di una maggiore coerenza per la quale non ha da vantarsi ma da ringraziare”. Limito qui ad alcune citazioni il ricordo della sua figura. Della lotta contro il regime fascista e poi di liberazione  Sandro Pertini, come si è già detto,  è stato uno dei protagonisti principali. Non tanto un teorico, un intellettuale, un ideologo. Ma – nella prosecuzione del modello risorgimentale – un combattente che, grazie alla credibilità acquisita, si è trasformato in paradigma, in esempio, in metafora educativa. Complessivamente 18 anni tra esilio, arresti, galera e confino. Come intitolava un bellissimo libro di Vico Faggi – quasi una sceneggiatura teatrale costruita su documenti giudiziari e di polizia – pubblicato nel 1970 da Mondadori con prefazione di Saragat, Sei condanne e due evasioni, una gioventù consacrata al principio di rivolta contro la confisca della libertà e della democrazia in Italia di un giovane borghese, avvocato di buone maniere e di perenne eleganza, non testa calda ma coerente testimone dell’idea turatiana – dunque pacificamente riformista ma anche indomabilmente ribelle se conculcata – della sua adesione giovanile al socialismo. Un combattente, per mostrare alla sua generazione quello che avevano cercato di dimostrare i Mille di Garibaldi o i Trecento di Pisacane: yes we can. La lunga motivazione della Medaglia d’oro al Valor Militare concessa a Pertini per la lotta di liberazione dice nelle due righe conclusive: Uomo di tempra eccezionale, sempre presente in ogni parte d’Italia ove si impugnassero le armi contro l’invasore. La sua opera di combattente audacissimo della resistenza gli assegnava uno dei posti più alti e lo rende meritevole della gratitudine nazionale nella schiera dei protagonisti del secondo Risorgimento d’Italia. Le tre citazioni che ho scelto sono molto limitative. Ma anche molto indicative. –          la formazione turatiana –          la difesa della Costituzione –          l’etica pubblica   La formazione socialista-turatiana. In esilio a Nizza, come muratore (ma al momento disoccupato perché licenziato a seguito di un processo per avere insultato per strada a Nizza un fascista di Savona), scrive a Filippo Turati (a cui dava del lei, chiamandolo Maestro): Da un anno – Maestro – sono in esilio e ogni buona e alta speranza che qui con me avevo portata va oggi morendo nel mio cuore. Mi guardo attorno e non vedo che poveri naufraghi, che ancora non si sono riavuti dal primo sgomento o peggio vedo dei piccoli uomini che sembrano solo preoccuparsi di miserie e non pensano alla tragedia (e …

INVETTIVA CONTRO I RADICALI DI EMMA BONINO

di Enzo Marzo Non ditemi che vi siete meravigliati. La notizia che, prima tra gli alleati di Renzi, Emma Bonino, assieme all’ultraclericale Lorenzin, si è assunta la responsabilità di aprire a un governo con il pregiudicato incandidabile Berlusconi, era scontata. Noi ci avremmo scommesso qualche soldo. I radicali sono animali politici strani ma consuetudinari: spesso si impegnano in qualche battaglia civile sacrosanta, ma se si infilano in parlamento o nelle battaglie partitiche raggiungono vette di trasformismo e di avventurismo che non hanno uguali. Forse non hanno colpe soggettive, il loro DNA è quello. Nel Novecento, alle epocali svolte reazionarie non sono venuti a mancare mai all’appello. Dopo la marcia su Roma i radicali presero armi e bagagli e, sorprendendo tutti, si vendettero a Mussolini per una manciata di ministeri, all’avvento di Berlusconi si precipitarono ad Arcore col cappello in mano per “aiutare” la nascente Forza Italia a realizzare la “rivoluzione liberale”. Rigonfi di cinismo e di presunzione si svendettero per un mucchietto di quattrini e qualche posto secondario. Ebbero persino la sfacciataggine di entrare in parlamento all’interno del gruppo di Forza Italia e così ebbero l’onore di sedere accanto al fior fiore del  malcostume politico italiano. Ma i pannelliani avevano ed hanno stomaci forti. L’unica che ci guadagnò qualcosa fu proprio Emma Bonino, scelta da Berlusconi come commissario europeo dal 1995 al 1999. Avevano l’intento di  insegnare a Berlusconi il liberalismo e ovviamente non ci riuscirono, però regalarono, per il mainstream, una patina “ideologica” a chi nel frattempo pensava rigorosamente solo a salvare le sue aziende in crisi, e sé stesso e i suoi accoliti dalle disavventure giudiziarie. Nacque allora il risibile mito del Berlusconi “liberale”. Nacquero allora le leggi  ad personam e Raiset, e i radicali con grande in/dignità digerirono tutto. Loro, i presunti massimi difensori della legalità e della libertà di informazione. Non potevano insegnare il liberalismo a Berlusconi, non solo perché l’alunno aveva la testa dura, era disinteressato alla materia e pensava a cose più solide, ma anche perché ormai da tempo i radicali stessi avevano smarrito i principi di base. Non era stato Pannella, durante l’ipocrita predicazione antipartitocratica, a inventare per primo il “partito personale”? Non era stato lui a creare la lista co su, bello scritto, il nome del Capo? Non fu lui a precorrere tutti nell’ organizzazione del partito totalitario sotto un padrone, carismatico o finanziario che fosse? Ostentando il disegno di “cambiare” Berlusconi ,furono proprio i pannelliani a subire una metamorfosi. Senza vergognarsi neppure un po’, passarono dal liberismo della scuola italiana al neoliberismo selvaggio all’americana. Passarono da Ernesto Rossi al servizio del più disinvolto “padrone del vapore”. Il loro tradimento non ha attenuanti, perché dopo Tangentopoli, con i comunisti e i socialisti a pezzi, i pannelliani avrebbero potuto costituire davvero il nucleo fondante di una sinistra liberale, democratica e laica. Non lo hanno fatto, anzi si sono intruppati col peggio del peggio dell’Italia d’allora. Tradirono per mettersi con Dell’Utri e Previti. Che conoscevano benissimo. Per qualche poltrona di nessun valore hanno mancato un’occasione storica che non si ripresenterà presto. Dopo la scomparsa di Pannella, i radicali si sono divisi, e a quanto sembra proprio quelli che hanno seguito Bonino sono i veri prosecutori del trasformismo radicale. Già un segno inquietante quanto risibilmente sfacciato è venuto in occasione delle elezioni comunali di Milano, quando il boniniano Cappato, prima, fa fuoco e fiamme contro il candidato del Pd, Sala, additato come “incandidabile”, e solo dopo pochi giorni – fatto aumentare il prezzo, tra il primo e il secondo turno lo trasforma in santo, la fa diventare per miracolo non solo candidabile ma il migliore sulla piazza. I radicali invitano a votare Sala e incassano un assessorato. Operazione sfacciata da mercato rionale. Infine arriviamo ai tempi nostri. I boniniani , nel momento della presentazione della liste si accorgono (solo allora) che la riforma elettorale di Renzi è pessima e li danneggia. Hanno ragione, ma ciò li spinge ad allearsi proprio con Renzi, aiutati da vecchi democristiani. Operazione del solito trasformismo di bassa lega? Certo, ma non solo:  Emma Bonino non si accontenta e lancia la possibile alleanza con Berlusconi. Le è indifferente che oggi la mummia di Arcore sia alleato in coalizione, con un programma comune, con i sovranisti e i fascioleghisti. Ma che ci si vuol fare: i vecchi amori non si dimenticano mai. E non conoscono  pregiudiziali. I radicali, quando ritornarono in parlamento nel 1976,  volevano sedersi in “Montagna”, in alto a sinistra, ora siederanno compiaciuti in quello che Duverger definì “l’éternel marais”, nella palude, tra Giggino ‘a purpetta e Boschi, la costituzionalista. Bonino, ventriloqua di Renzi,  si propone come “pontiera” per le “larghe (quanto?) intese”, quelle che hanno distrutto la sinistra e  hanno riabilitato un frodatore dello stato. Quelle che regaleranno a un pregiudicato per chissà quanto tempo, di nuovo, il nostro paese al colmo della corruzione, della delinquenza politica e dell’assoluta incompetenza. C’è da rimanere sgomenti di fronte a tanto cinismo. Quando gli storici del futuro dovranno scrivere la storia di questo periodo chissà a quale posto porranno Emma Bonino nella classifica dei politici che hanno la responsabilità della distruzione materiale e morale dell’Italia. Fonte: Fondazione Critica Liberale SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

FERDINANDO BOSSO

Ferdinando Bosso, figlio di Salvatore Ferdinando Geltrude Bosso e di Rosa Faraone proviene da una famiglia romana emigrata a Napoli, poi trasferitasi a Sanremo. Già all’età di 12 anni prende in fitto dei locali Sanremo per discutere di politica con amici; quando aveva 13 anni, era alle prese a tenere discorsi politici per le strade e nelle campagne. Diventa giornalista politico e scrive articoli su diversi quotidiani regionali tra cui La Parola socialista e anche corrispondente per il Lavoro di Genova e l’Avanti! Definendosi come un rivoluzionario ispirato al mazzinismo, al garibaldismo, milita nel Partito socialista italiano. Incontra in questo periodo Filippo Turati. All’inizio del 1900 entrò nell’amministrazione guidata da Augusto Mombello e divenne consigliere comunale e vice sindaco di Sanremo. Nel 1905, con l’amministrazione di Mombello, lavorò alla costruzione dell’acquedotto, del Casinò di Sanremo e del Corso Imperatrice. Nel 1906 fece una campagna a sostegno dell’avvocato socialista Orazio Raimondo e il partito vinse le elezioni. Rimane nel municipio fino al 1908, quando il partito perde le elezioni. Nel 1910 Ferdinando Bosso sposa a Sanremo Teresa Manassero, che dopo avergli dato un figlio Salvatore detto Tourillo muore nel 1917 di influenza spagnola. Allo scoppio della prima guerra mondiale Ferdinando Bosso condusse un’intensa campagna sul quotidiano La Parola per l’ingresso in guerra dell’Italia a fianco degli alleati. Nel 1916, nonostante la sua età (38 anni), si unì come volontario e fu incorporato nel 69 ° Reggimento di artiglieria. Suo fratello Federico muore al fronte. Di ritorno dalla guerra, il Partito socialista italiano in crisi sulla questione della scissione comunista marxista-leninista, e gli iscritti al Partito socialista italiano sono rapidamente soggetti alla repressione fascista da parte delle Camicie Nere. Tra i primi a farne le spese furono i suoi amici Modigliani, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat, Filippo Turati e Sandro Pertini. Nel 1919 in un contesto sempre più violento, fu costretto all’esilio e si trasferisce in Francia a vivere con il fratello Alberto e suo padre Salvatore residente dal 1913 a Parigi. Al suo arrivo, nel 1920, creò con i suoi fratelli Alberto, Ernesto e Giovanni una società commerciale denominata “Bosso Brothers” azienda di famiglia che vende piastrelle Halles de Paris. Nel 1921 torna a Sanremo come organizzatore della campagna elettorale a sostegno di Riccardo Raimondo per finanziare l’antifascismo. Nel 1922 con alcuni massoni, fu protagonista di una campagna contro l’ascesa del fascismo in Europa, partecipò con la comunità italiana di Parigi ad organizzare incontri clandestini con i partigiani italiani che entravano in Francia. Con Luigi Campolonghi, la moglie, il primo presidente femminista Ernesta Cassola Mazzini, Aurelio Natoli, Alberto Meschi, Francesco Ciccotti Scozzese, Alceste De Ambris, costituiscono la Lega Italiana per i Diritti Umani. Ne diventa presidente dopo Luigi Campolonghi, e in quella organizzazioni Ferdinando Bosso sarà molto attivo. Nel 1924 dichiara: “Il mio ritorno in Italia sarà quando gli assassini dell’imperatore, Mussolini è morto nel fango e nel sangue. ” Questa dichiarazione causerà sospetti su un suo eventuale coinvolgimento nell’attentato sventato a Mussolini ad opera di Tito Zaniboni nel 1925. L’8 settembre del 1924 muore a Parigi suo padre Salvatore. Ormai segnalato dalle autorità fasciste, viene a conoscenza che lui non può tornare in Italia. Mesi prima c’era stato l’assassinio a Roma da parte degli squadristi fascisti del deputato socialista Giacomo Matteotti, appunto avvenuto il 10 Giugno 1924, dopo aver denunciato i brogli e le violenze avvenute durante le elezioni di aprile dello stesso anno. In seguito vengono introdotte da Mussolini le leggi fasciste per annientare tutte le opposizioni e installare la dittatura. Nel mese di dicembre 1925, Piero Gobetti giovane pensatore italiano fu oggetto di violenze da parte di squadre fasciste inviate personalmente da Mussolini. Gobetti si trasferisce a Parigi, dove è accolto da Francesco Nitti e Aurelio Orioli, in seguito avrà colloqui con LIDU (Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo)  per organizzare un piano di azione per una rivoluzione liberale, ma soffrendo molto per le conseguenze subite durante l’aggressione, si ammalò gravemente e morì il 15 febbraio 1926 in una clinica dove fu trasportato con urgenza. È sepolto a Père-Lachaise, vicino al muro dei Federati. Questo evento segnerà profondamente gli antifascisti italiani in esilio tra cui Aurelio Orioli e Ferdinando Bosso. Nel 1926 è redattore del quotidiano “France” a Nizza e risiede a Juan-les-pins, frequenta l’architetto Armando Buzzi il quale lo aiuta per raggiungere l’Italia. In Italia Mussolini il 5 novembre 1926 scioglie il Partito socialista italiano con un decreto. A seguito di questi eventi, organizza una serie di incontri che nel marzo del 1927 della Concentrazione antifascista (IAC), composto dagli oppositori al fascismo trai quali Luigi Campolonghi, Claudio Treves, Filippo Turati, Cipriano Facchinetti, Francesco Saverio Nitti, Alberto Cianca, Bruno Buozzi. Questa organizzazione mira a raccogliere e coordinare i vari movimenti antifascisti attraverso anche un organo di stampa La Libertà. Nel mese di ottobre 1929, all’assemblea generale della Lega francese dei diritti dell’uomo intervengono Turati, De Ambris di Lussu a Campolonghi, e Victor Basch conclude “L’amicizia franco-italiano è possibile solo con un’Italia libera, non con quella di Mussolini.” Nel 1933 la Lega francese e quella Italiana per i diritti umani organizzano congiuntamente una manifestazione, tra gli oratori sono presenti Ferdinando Bosso, Carlo Rosselli e Mario Pistocchi. Ferdinando Bosso fu arrestato a Parigi e espulso manu-militari in Belgio il 16 marzo 1934, ma fu immediatamente riportato in Francia dal deputato di Dordogne Yvon Delbos. Nel 1936, si unì alle Brigate internazionali e lavorò per l’Agence Spain di Parigi, ne fu parte attiva circa lo spiegamento delle informazioni della resistenza durante la guerra civile spagnola contro Franco con il uno dei suoi figli. Nel 1939, allo scoppiò della seconda guerra mondiale, partecipa alla costituzione di un Comitato nazionale italiano che mira a riunire una lega di combattenti antifascisti, un’iniziativa che venne ritenuta sospetta dalle autorità francesi. Nel 1944 partecipò alla Liberazione di Parigi e tornò a Sanremo. Per l’essersi distinto nelle sue azioni, il 25 gennaio 1956 con un decreto del Presidente della Repubblica Italiana Giovanni Gronchi gli verrà conferita l’onorificenza di Comandante dell’Ordine della Stella d’Italia. Tornò a trascorrere i …

PERCHE’ E’ IMPORTANTE VENIRE IL 24 MARZO A LIVORNO

di Aldo Potenza In un bel libro pubblicato nel 2000 Larry Siedentop scriveva: “Stiamo apparecchiando un’Europa ad uso e consumo dei banchieri, dei consulenti e dei manager? L’occidente ha respinto la sfida comunista solo per cadere nelle mani di una élite non eletta, arrogante e sfruttatrice?” Il liberalismo, ideologia dominante della nostra epoca, è stato pericolosamente distorto dall’impatto dell’economicismo: buttato giù dal suo piedistallo, il cittadino è stato sostituito dal consumatore, gli esseri umani diventano soggetti passivi anzichè attivi. Se l’idea dell’Europa finisce per essere associata sopratutto all’arroganza di élite che non rispondono del loro operato, l’idea dell’Europa finirebbe per dividere anzichè unire. Vi sembra che abbia avuto torto nell’esprimere queste preoccupazioni? Purtroppo la terza via, quella che si può definire neoliberismo progressista, la strada indicata da Tony Blair e Clinton, ha favorito l’affermarsi della èlite finanziaria ed economica ed ha disarmato il socialismo democratico di fronte al neoliberismo che è il terreno su cui prosperano quelle élite. PER CONTRASTARE QUESTO DOMINIO OCCORRE RILANCIARE IL MESSAGGIO CULTURALE DEL SOCIALISMO DEMOCRATICO AGGIORNANDOLO ALLE CONDIZIONI DEL MONDO CONTEMPORANEO E AI CAMBIAMENTI CHE SI PROFILANO NELL’ECONOMIA. ECCO PERCHE’ E’ UTILE PARTECIPARE ALLA CONVENTION DI LIVORNO. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

“SE NON SI TENTASSE SEMPRE DI NUOVO L’IMPOSSIBILE NON SI CONSEGUIREBBE MAI IL POSSIBILE” (Max Weber)

di Aldo Potenza Perchè il 24 marzo 2018 a Livorno Alcuni osservatori temono che l’appuntamento sia una rievocazione storica priva di efficacia, nulla di più errato! La nostra idea è animata dalla volontà di contribuire a sconfiggere un ambiente culturale dominato dalle idee neoliberiste e sappiamo che il compito è davvero moto difficile. Siamo però convinti che oggi se ci fosse la volontà di smaltire gli umori tossici degli ultimi 25 anni e si volesse iniziare a discutere serenamente dei problemi contemporanei e del futuro, come afferma Covatta, “nella rinnovata cornice della tradizione umanistica e libertaria del movimento socialista, traendo ispirazione da quella tradizione che intende il pluralismo prima di tutto come autonomia della cultura, della pratica sociale e del sindacato, che rifiuta la concezione totalizzante di un rinnovato partito come portatore di salvezza e di verità”. “Che guarda ai movimenti sociali come realtà autonoma da rispettare e con cui confrontarsi in un rapporto dialettico; che considera la competizione come matrice di libertà e motore del progresso sociale e civile, che considera la politica il luogo delle decisioni e non il mercato senza regole dove domina la finanza e le multinazionali”. Allora la sinistra democratica e riformista italiana potrebbe trovare nel socialismo democratico sia gli elementi culturali, sia il luogo dell’incontro per un nuovo inizio. Ecco il senso dell’appuntamento a Livorno! Il Documento Appello   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it