Ines Oddone arrivò a Bologna nel 1904, dopo le nozze con Giovanni Bitelli. Lei, di estrazione borghese (il padre era ingegnere), aveva conseguito il diploma magistrale alla Normale di Roma; lui, di estrazione proletaria, era stato operaio specializzato prima di vincere una borsa di studio per la Normale di Urbino. Erano stati entrambi attivi nell’Unione Magistrale fin dalla sua costituzione. In una nota della Prefettura di Bologna, datata novembre 1905, si legge di Giovanni Bitelli: “… verso la famiglia si comporta benissimo. Egli vive in perfetto accordo con la propria moglie Ines Oddone anch’essa socialista propagandista, ed è solito accompagnarla tutte le volte che la medesima si reca in paesi limitrofi per tenervi conferenze di propaganda”.
Dopo pochi mesi dalla sua venuta nel capoluogo felsineo, Ines entrò a far parte dell’Esecutivo della Camera del Lavoro, dove si legò al gruppo sindacalista rivoluzionario. I sindacalisti rivoluzionari, seguaci del pensiero di Sorel (che considerava lo sciopero generale strumento di “azione diretta” per sovvertire la società borghese), avevano giocato un ruolo determinante nello sciopero generale indetto proprio nel 1904. Forti infatti della vittoria conseguita insieme agli intransigenti di Ferri al Congresso nazionale del Partito Socialista che si era svolto a Bologna nel 1904, dove avevano messo in minoranza per la prima volta l’ala riformista turatiana, avevano acquistato un peso determinante soprattutto all’interno delle Camere del lavoro.

Anche a livello locale si stavano vivendo situazioni di tensione tra i rappresentanti dei diversi gruppi: “… vi erano in mezzo a quel proletariato dissidi profondi di tendenza e di Partito, ed ella (Ines Oddone) con la sua bontà accompagnata da una grande energia che impone rispetto e autorità, seppe in breve tempo assopire i dissidi e ristabilire la pace e la fratellanza fra i forti organizzati di Bologna”.
Era una straordinaria oratrice e, probabilmente anche per queste doti, fu inviata nel gennaio del 1905 come delegata al terzo Congresso Nazionale della Resistenza che si tenne a Genova insieme al quinto Congresso Nazionale delle Camere del Lavoro. Nel dibattito allora in corso all’interno del movimento operaio la Oddone si batteva per l’autonomia delle organizzazioni politiche da quelle “economiche”, posizione che al Congresso risultò minoritaria.
A Bologna, il 5 luglio 1905, Ines Oddone pubblicò il primo numero di “La donna socialista” presso la tipografia Azzoguidi, che divenne anche la sede del giornale. Ines quindi, a un solo anno dal suo arrivo a Bologna e nonostante l’esito poco incoraggiante dei tentativi precedenti, iniziò la pubblicazione di un giornale destinato alla propaganda socialista fra le lavoratrici. “La donna socialista” uscì a Bologna dal luglio al novembre del 1905 e continuò a essere pubblicato fino all’aprile 1906 a Gallarate, dove la Oddone si trasferì in seguito alla nomina del marito a segretario della locale Camera del Lavoro. La storia dell’autofinanziamento di questo “giornaletto”, come lo definiva la stessa Ines per la sua modesta veste editoriale, e dei sacrifici che la direttrice dovette affrontare per tenerlo in vita per 39 numeri consecutivi, e’ documentata passo passo nella rubrica “Per la donna socialista”, ove la Oddone annotava l’andamento settimanale della campagna abbonamenti.

Nei primi numeri sollecitava semplicemente i rivenditori a essere puntuali nei pagamenti: “è necessario che tutti gli abbonati e rivenditori concorrano con sollecitudine a mantenere in vita il nostro giornale”. Accennava pure ai pesanti sacrifici personali che doveva affrontare: “noi facciamo immensi sacrifici finanziari, fieri di proseguire nell’opera intrapresa”. A volte le ristrettezze economiche non le permettevano neppure le trasferte necessarie per la sua opera di propaganda: “sono ben felice di venire tra voi, ma le forze finanziarie non mi permettono di fare quanto voi vorreste… qualche mese fa si poteva, ma ora tutti quello che guadagno è destinato a ‘La donna socialista’, che costa, e non poco”. Nel consuntivo di fine anno (6 gennaio 1906) nonostante fosse ancora fiduciosa (“entriamo nel secondo anno di vita pieni di fede e speranza, suffragati dall’unanime consenso delle nostre compagne”), doveva tuttavia ammettere che “bersagliati come siamo dai rivenditori e abbonati insolvibili, il ‘giornaletto’ è passivo”. Il 31 marzo 1906 buttava la spugna: “ci è doloroso constatare come il nostro tentativo di far sorgere e mantenere in Italia un giornale di propaganda femminile minaccia di fallire miseramente”. Individuava varie cause, ma attribuiva la maggiore responsabilità’ del fallimento della sua iniziativa ai rivenditori morosi, che accusava di “mancare ai più elementari doveri di onestà, facendosi inviare per mesi e mesi il giornale e rimanendo poi sordi ai reiterati inviti di pagamento”.

Il giornale cessò del tutto dopo altre due emissioni, nonostante un ultimo appello dell’infaticabile e combattiva redattrice torinese Annita Fontana, che considerava una vera e propria “disfatta” il fallimento del terzo tentativo in Italia, dopo ‘Eva’ della Melli e ‘Cronache femminili’ della Mariani a Torino, di creare “un giornale femminile che parli proletariamente”.
A ostacolare la vita del giornale contribuì’ anche una serie di interventi censori. Con un editoriale, “Sequestro” (21 ottobre 1905), la Oddone (che in questa circostanza precisò che gli articoli non firmati erano suoi, assumenendosene completa responsabilità) denunciava che un “articolo di propaganda antimilitarista ha destato gli scrupoli del Signor Procuratore del Re, che ne ha ordinato il sequestro perchè esponeva l’esercito al disprezzo del pubblico”. “La donna socialista” era ormai entrata nel mirino della censura: “il 28 ottobre il Procuratore di Bologna ordinò il sequestro questa volta di un articolo di Tolstoj, “Reclute russe”, già pubblicato nella “Critica sociale” di Turati e circolante liberamente in opuscoli da cinque centesimi, come informava la Oddone per dimostrare la pretestuosità dell’intervento della polizia.
La Oddone come direttrice del giornale e autrice del primo articolo incriminato, “La riserva” (14 ottobre 1905), e Nello Gamberini come gerente responsabile furono processati presso il Tribunale di Bologna, e assolti con sentenza del 10 dicembre 1906.
Dopo il trasferimento del giornale a Gallarate la pressione non rallentò: due articoli della direttrice, “La Francia laica” e “L’educazione nelle caserme”, apparsi nel secondo numero pubblicato a Gallarate (2 gennaio 1906), vennero sequestrati.

Per niente intimorita, anzi convinta che i sequestri del giornale alla fine avrebbero giovato alla causa antimilitarista, nell’ultimo articolo sequestrato, “Le donne alla Marina” (28 febbraio 1906), Ines alzava il tiro: all’intenzione di un comitato di donne borghesi di offrire alla Marina, in occasione di una parata militare a Napoli, un albo finemente ricamato con le firme di tante donne italiane, rispose con una provocazione, cioè invitando le donne proletarie a inviare anch’esse un album di firme, ma poste in calce al seguente messaggio: “Le donne proletarie al Governatore del Re contro la cattiva amministrazione della Marina e del Ministero della Guerra e contro l’educazione che si da’ ai loro figli nelle caserme”.
Gli argomenti a difesa della posizione antimilitarista della Oddone e delle sue collaboratrici erano quelli ricorrenti sulla stampa socialista dell’epoca ove, tra l’altro, trovarono espressione le posizioni pacifiste di personalità prestigiose quali l’austriaca Berta von Suttner, premio Nobel per la pace nel 1905, Edmondo De Amicis, Leone Tolstoj. Si accusava la borghesia di usare l’esercito per le proprie mire imperialistiche o come strumento di repressione contro gli scioperanti e si denunciavano i costi altissimi del suo mantenimento.

La Oddone e le sue compagne, rivolgendosi alle donne erano consapevoli di parlare soprattutto a delle ‘madri’: “… in fin dei conti i figlioli sono i nostri, vero?” (Adele Bianchi, 2 settembre 1905). Era quindi al sentimento materno che si appellavano nel denunciare l’educazione impartita nelle caserme: “… in caserma la volontà dell’individuo non esiste… non esiste la dignità personale… la recluta non ha più pensieri ne’ un cuore tutto suo” (Ines Oddone, 13 gennaio 1905) e invitavano “le buone e umili madri, che insegnano ai fanciulli le prime parole d’amore, e ai giovani i primi e più nobili sensi di pietà e di giustizia”, a proseguire la loro opera educativa insegnando ai loro figli che un soldato e’ un uomo e non può sottrarsi alle leggi morali e che “nessuno può farli diventare omicidi in nomi di un diritto di autorità che cessa di essere legittimo quando diventa ingiusto” (Ines Oddone, “I Cosacchi”, 29 luglio 1905).
L’insistente propaganda antimilitarista costò alla Oddone la condanna a quattro mesi di carcere da parte del Tribunale di Busto Arsizio (1908).
Va ricordato che il Partito Socialista Italiano al tempo della prima guerra mondiale oppose all’appello patriottico il richiamo a valori che trascendono quello di patria. Come ci si può rendere conto agevolmente anche solo scorrendo il periodico, il richiamo al cristianesimo primitivo e una forte polemica contro un clero al servizio del padronato e incline a dominare i meno dotti agendo sulle loro superstizioni erano fra i più forti e ricorrenti argomenti che sostanziavano l’anticlericalismo: “… molti credono che vogliamo togliere dai loro cuori la fede, non è così… noi lasciamo stare la religione, vogliamo solo dimostrare alle donne che i preti fanno il rovescio di quello che comanda la religione” (Ines Oddone, 28 ottobre 1905).

Il prete insegnava che la rassegnazione era la più grande virtu’ dell’uomo “ma quella rassegnazione lo farà uguale alle bestie da soma” (Ines Oddone, 28 ottobre 1905). “La donna dorme” diceva Turati (29 luglio 1905); dunque era necessario svegliarla, educarla: “… non alla scuola del prete che la domina da secoli e le è stato maestro di superstizioni, ma alla grande scuola della verità e della libertà dove noi socialisti le insegneremo a essere forte e dignitosa” (Ines Oddone, 2 settembre 1905).
Per la Oddone era necessario che la lavoratrice acquistasse coscienza del doppio sfruttamento che subiva come proletaria e come donna: “… la donna per 15 ore al giorno non ricava che la metà di quello che viene dato all’uomo” (2 settembre 1905).
Ancora, secondo la Oddone, la donna doveva svegliarsi, imparare a conoscere i propri doveri e i propri diritti, combattere a fianco dell’uomo e entrare nelle leghe di mestiere considerate il primo nucleo delle forze proletarie. Così auspicavano anche semplici militanti e affezionate lettrici, il cui contributo la Oddone si sforzava di sollecitare aprendo la rubrica “La parola alle lavoratrici” dapprima a “quanti vorranno con brevi scritti esporre le loro idee sul socialismo”, e in seguito riservandola soltanto al contributo delle donne: “… perchè in un giornale per donne devono scrivere soprattutto le donne”.
Una nota della Prefettura di Bologna (novembre 1905) informava che Giovanni Bitelli: “… collabora alla redazione del giornale locale ‘La donna socialista’, di cui e’ redattrice la di lui moglie”. Ines a sua volta nel novembre del 1905, quando Giovanni assunse l’incarico di segretario della Camera del Lavoro di Gallarate, non esitò a trasferire la sede di “La donna socialista” e ad affiancarlo nel difficile compito di riorganizzare quella Camera del Lavoro “ormai ridotta al lumicino” con soli quarantotto iscritti. Il successo del primo anno di lavoro fu tale che alla fine del 1906 potevano contare su duemilasedici iscritti e quarantasei sezioni.

Durante i numerosi scioperi del 1907 (si arrivò’ a 118 giorni di astensione dal lavoro) si era constatato che alla Camera del Lavoro mancava un elemento indispensabile: la stampa. Di conseguenza la Commissione esecutiva, il 13 agosto, decise di iniziare la pubblicazione del settimanale “La lotta di classe” affidandone la direzione a Ines Oddone. Da questo “Giornale delle organizzazioni proletarie gallaratesi”, come specificava il sottotitolo, Ines sostenne le proprie posizioni di sindacalista rivoluzionaria, convinta che con “l’azione diretta” si dovesse assecondare “l’impeto generoso, il movimento libero delle masse”, linfa vitale della lotta di classe”, senza il quale “l’organizzazione non sarà più un mezzo per le più elevate conquiste sociali, ma rimarrà una piccola e povera cosa racchiusa nella linea ristretta dell’immediato miglioramento economico”.
Affermava che i sindacalisti rivoluzionari non volevano inutili violenze, ma “non possiamo dimenticare che l’oppressione borghese è una ininterrotta e feroce violenza, persino contro il nostro stesso diritto di vivere”.
La Oddone non era contro il riformismo di Turati, ma contro quello di Bissolati e di Cabrini che, come scrisse su “Lotta di classe”, erano diventati uomini di governo di una democrazia illuminata ma non socialista. Riteneva “cosa logica e buona migliorare la condizione della classe operaia oltre che con l’azione diretta dei Sindacati, anche con una azione legislativa”; era tuttavia consapevole che “le migliori leggi strappate alla borghesia rimangono lettera morta e sono presto mutilate e travisate se essi, gli operai, con animo vigile e con volontà non le difendono”.
Nella rubrica “La parola alle donne”, che Ines inserì in prima pagina, continuò la battaglia per l’emancipazione femminile sia approfondendo temi già trattati in “La donna socialista” (la maternità, l’antimilitarismo, il voto alle donne, le molestie sul luogo di lavoro), sia introducendone di nuovi (il divorzio, l’aborto, l’educazione sessuale, che riteneva “essere uno dei caposaldi dell’educazione moderna” e che affidava alle madri perchè “spetta a loro il compito di svelare ai figli il mistero della vita”).

Le persecuzioni censorie non tardarono ad arrivare anche per “La lotta di classe”: l’articolo dell’11 gennaio 1908, “Come si vive”, e quello dell’8 febbraio 1908, “Regicidio”, vennero sequestrati. La Oddone come direttrice del giornale e autrice degli articoli, e Paolo Campi come redattore responsabile, vennero incriminati per “incitamento all’odio tra le varie classi sociali in modo pericoloso per la pubblica utilità”, con riferimento al primo articolo; e per “apologia di regicidio”, con riferimento al secondo, per aver giustificato l’uccisione del principe ereditario del Portogallo.
Per la prima imputazione furono condannati a quattro mesi e quindici giorni di reclusione senza beneficio della condizionale, perchè “l’articolo ‘Come si vive’, uscendo invero dal campo teoretico degli studi di miglioramento sociale… ingenera vero odio tra queste, le classi sociali, ed eccita quelle meno abbienti alla violenza e alla rivolta verso le più abbienti”.
Dopo la condanna Ines fu pure sospesa per ordine prefettizio dall’incarico di insegnamento che aveva ricevuto dal Comune di Gallarate nel 1906. Questo provvedimento suscitò la reazione tanto della Giunta democratica, che si rifiutò di provvedere all’esecuzione del decreto, come della Gallarate proletaria che fece una grande manifestazione di protesta.

Quando la Corte d’Appello di Milano il 29 settembre 1908 confermò la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, Ines Oddone e Paolo Campi si trovavano già a Lugano, dove nell’agosto di erano recati per sfuggire alla cattura. Qui Ines ebbe un posto di insegnante dal Comune di Bioggio, un paese a 6 chilometri da Lugano. Costretta, durante la stagione invernale a percorrere a piedi dodici chilometri al giorno, le sue condizioni fisiche già precarie ne risentirono a tal punto che il medico, verso la fine di dicembre, le consigliò di rinunciare all’incarico. Da Lugano continuò a dirigere “La lotta di classe”, che uscì regolarmente “a dispetto dei suoi avversari”. La condanna dei due dirigenti aveva tuttavia assestato un duro colpo all’organizzazione della Camera del Lavoro di Gallarate: amnistiati il 4 febbraio del 1909, tornarono ma “trovano le sezioni pressochè decimate”. Ines accettò un impiego presso il Segretariato del popolo all’Ufficio della Camera del Lavoro, e durante i mesi estivi 1909-1910 raccolse presso la Camera del Lavoro trenta o più ragazzi e fece loro scuola gratuitamente.
Nel novembre 1912 la Oddone partecipò, a Modena, al Congresso del Comitato Nazionale Azione Diretta, organo di coordinamento che i sindacalisti rivoluzionari si erano dato al Congresso di Bologna del 1907. Qui presentò una mozione a sostegno delle unità delle organizzazioni sindacali, contro quella di Alceste De Ambris che, al contrario, proponeva la creazione di un nuovo organismo.

Ines ammetteva che la Confederazione Generale era diventata burocratica e accentratrice e che “tendeva sempre più a sostituire la libera lotta delle organizzazioni”; ribadiva tuttavia “la necessità dell’unità sindacale come mezzo per conseguire gli scopi della lotta di classe” e riteneva che “il Comitato dell’azione diretta dovesse continuare nel suo compito di coordinatore delle minoranze sindacali”.
Sebbene la mozione della Oddone ebbe ventottomila voti, De Ambris ottenne la maggioranza e fondò l’Unione Sindacale Italiana a cui Giovanni Bitelli aderì fin dall’inizio. L’anno seguente (gennaio 1913) Ines accettò l’incarico di insegnante dal Comune di Crenna, e i clericali del luogo, nonostante inscenassero una dimostrazione contro la maestra socialista, non riuscirono a farla rimuovere dall’incarico.
Il 9 maggio 1914 in “La lotta di classe” comparve l’augurio di pronta guarigione “alla compagna Ines, costretta a letto da una febbre altissima”. Il 23 maggio l’annuncio della sua morte. I funerali, celebrati con rito civile, furono imponenti: “diecimila proletari con centinaia di bandiere accorsero da tutti i paesi”, mentre delegazioni provenienti da ogni parte d’Italia si unirono all’interminabile corteo. La stampa socialista nazionale, dall’Avanti, alla “La difesa delle lavoratrici”, e internazionale, come il Volks Tribune di Vienna ad esempio, con l’annuncio della morte pubblicò testimonianze delle sue qualità umane e del suo impegno politico.
Significativo fu ciò che scrisse di lei il giornale avversario “L’Eco di Gallarate”, che era solito attaccarla pesantemente: “… e’ morta Ines Bitelli, la nota propagandista socialista, che fu la più forte mente direttiva e l’anima di quel Partito, coerente anche negli ultimi momenti ai principi per i quali visse e operò” .

Biografia scritta dalla bolognese Anna Coruzzi (dal libro “Ines Oddone Bitelli: una donna, un giornale”, Cappelli Editore)

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