Eugenio Colorni nasce a Milano il 22 aprile 1909 da genitori ebrei. Il padre Alberto è un imprenditore commerciale di origine mantovana, la madre Clara Pontecorvo è di famiglia pisana (il fisico nucleare Bruno e il regista cinematografico Gillo sono figli di un suo fratello). Nella formazione di adolescente di Eugenio ‑ come racconta egli stesso nella Malattia filosofica ‑ conta molto il rapporto con i cugini Enrico, Enzo ed Emilio Sereni, tutti maggiori di lui. Enzo in particolare, socialista e sionista convinto, esercita una forte influenza ideale e religiosa, tanto che a quattordici anni Eugenio si avvicina per breve tempo al sionismo. Durante il liceo ‑ frequenta il Manzoni di Milano si appassiona al Breviario di estetica di Benedetto Croce. Nel 1926 si iscrive alla facoltà milanese di Lettere e filosofia: i suoi insegnanti prediletti sono Giuseppe Antonio Borgese e Piero Martinetti, col quale si laurea in filosofia nel 1930 discutendo una tesi su Sviluppo e significato dell’individualismo leibniziano (a Leibniz dedicherà in seguito la maggior parte dei suoi studi). Risale agli anni universitari l’amicizia con Guido Piovene, poi giornalista e scrittore, che s’interromperà bruscamente nel 1931 a causa di alcuni articoli antisemiti pubblicati da Piovene su “L’Ambrosiano”. In quel periodo partecipa all’attività dei Gruppi goliardici per la libertà di Lelio Basso e Rodolfo Morandi. Nel 1928, con lo pseudonimo di G. Rosenberg pubblica su “Pietre”, la rivista di Basso, un articolo sull’estetica di Roberto Ardigò. Nel 1930 si accosta al gruppo milanese di Giustizia e Libertà; collabora in seguito col nucleo giellista torinese, che fa capo prima a Leone Ginzburg e poi a Vittorio Foa.

Nel 1931 compie un viaggio di studi a Berlino: oltre a incontrare Benedetto Croce e discutere con lui, conosce la giovane ebrea berlinese Ursula Hirschmann, che sposerà nel 1935 e dalla quale avrà tre figlie (Silvia, Renata, Eva). Dal 1931 comincia a scrivere recensioni e articoli per “Il Convegno”, “La Cultura”, “Civiltà moderna”, “Solaria” e la “Rivista di filosofia” di Martinetti. Nel 1932 pubblica L’estetica di Benedetto Croce. Studio critico (Società editrice “La Cultura”, Milano). Nel 1932-33 è lettore d’italiano all’Università di Marburgo; con l’avvento del nazismo torna in Italia. nel 1933, conclusa la tesi di perfezionamento su La filosofia giovanile di Leibniz, vince il concorso per l’insegnamento di storia e filosofia nei licei; dopo una prima assegnazione al liceo Grattoni di Voghera, nel 1934 ottiene la cattedra di filosofia e pedagogia all’istituto magistrale Carducci di Trieste; qui conosce e frequenta, fra gli altri, Umberto Saba (ritratto poi in Un poeta), Pier Antonio Quarantotti Gambini, Bruno Pincherle e Eugenio Curiel. Nel 1934, nella collana scolastica che Giovanni Gentile dirige per Sansoni, pubblica una traduzione della Monodologia di Leibniz, preceduta da una lunga introduzione: Esposizione antologica del sistema leibniziano. Come scrive Eugenio Garin, “Leibniz lo costringe ad affrontare studi di logica e di matematica, a rimettere in discussione il modo stesso di concepire la scienza, e i rapporti fra scienza e filosofia. […] Ripartì da Kant e dalla problematica kantiana, e meditò sulle conseguenze che la fisica teorica e la psicanalisi potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche tradizionali”. Quando, come si legge in Un poeta, Umberto Saba gli domanderà “perché fa filosofia?”, Colorni conclude: “Da quel giorno, io non faccio più filosofia”. “In realtà non era la filosofia che rifiutava, ma un orientamento legato a quell’idealismo di cui erano seguaci […] Croce come Gentile e Martinetti” (Garin).

Intensifica intanto l’impegno politico e l’attività antifascista. Quando gli arresti del maggio 1935 annientano il gruppo torinese di Giustizia e Libertà, prende contatto con il Centro interno socialista creato a Milano nell’estate del 1934 da Rodolfo Morandi, Lelio Basso, Lucio Luzzato, Bruno Maffi e altri. Nell’aprile del 1937, dopo gli arresti di Luzzato e Morandi, Colorni diventerà uno dei principali dirigenti del Centro. Nell’estate del 1937, in occasione del IX Congresso internazionale di filosofia, incontra a Parigi Carlo Rosselli, Angelo Tasca, Pietro Nenni e altri esponenti della direzione del Psi. Con vari pseudonimi, ma soprattutto con quello di Agostini, nel 1936-37 pubblica importanti articoli su “Politica socialista” e sul “Nuovo Avanti”. L’8 settembre 1938, all’inizio della campagna razziale, è arrestato a Trieste come ebreo e antifascista militante: in ottobre vengono pubblicati contro di lui, sul “Piccolo” di Trieste e sul “Corriere della Sera”, alcuni articoli di particolare livore antisemita. Dopo qualche mese di carcere a Varese, viene condannato a cinque anni di confino. Dal gennaio 1939 all’ottobre 1941 è nell’isola di Ventotene, dove prosegue i suoi studi filosofico-scientifici e discute intensamente con gli amici confinati, Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria e Altiero Spinelli: un’eco fedele di quelle discussioni si ritrova nei sette Dialoghi di Commodo, scritti in collaborazione con Spinelli e pubblicati postumi. E’ di questo periodo la sua adesione alle idee federaliste, elaborate soprattutto da Spinelli e Rossi (nel 1944, con una sua prefazione, Colorni pubblicherà a Roma il Manifesto di Ventotene, redatto da Rossi e Spinelli nel 1941). Nell’ottobre del 1941, grazie anche all’intervento di Giovanni Gentile, ottiene di essere trasferito a Melfi, in provincia di Potenza. Nel 1942, insieme con Ludovico Geymonat, elabora il progetto di una rivista di metodologia scientifica. Il 6 maggio 1943 riesce a fuggire a Roma ed entra in clandestinità. Si dedica all’organizzazione del Psiup, nato dalla fusione del Psi col gruppo giovanile del Movimento di unità proletaria. Il 27-28 agosto partecipa a Milano, in casa di Mario Alberto Rollier, alla riunione che dà vita al Movimento federalista europeo. Dopo l’8 settembre svolge a Roma un’intensissima attività nella resistenza: fa parte della direzione del Psiup, è redattore capo dell'”Avanti!” clandestino, s’impegna a fondo nella ricostruzione della Federazione giovanile socialista e nella creazione della prima brigata partigiana Matteotti. Il 28 maggio 1944, pochi giorni prima della liberazione di Roma, viene fermato in via Livorno da una pattuglia di militi fascisti della banda Koch: tenta di fuggire, ma è inseguito in un androne e ferito gravemente da tre colpi di pistola. Trasportato all’Ospedale San Giovanni, muore il 30 maggio sotto la falsa identità di Franco Tanzi.

a cura di Luca Baranelli