Gran Bretagna, Corbyn rieletto leader dei laburisti “Ora dobbiamo unire il partito”

LONDRA – Hanno cercato di fermarlo in tutti i modi. Non ci sono riusciti. Jeremy Corbyn viene rieletto leader del partito laburista, con una percentuale ancora più alta di quella già massiccia di un anno fa: hanno votato per lui, nelle primarie del Labour, il 61,8 per cento degli iscritti. Nel settembre 2015 si era imposto con il 59 per cento. Dodici mesi di polemiche anche feroci all’interno della sinistra britannica dunque sono apparentemente servite soltanto a rafforzarlo. Il candidato rivale, Owen Smith, ha ottenuto il 38 per cento. In tutto hanno votato più di mezzo milione di iscritti su 600 mila circa aventi diritto. E Corbyn ha prevalso in tutte le categorie: militanti, sindacalisti, semplici sostenitori che si sono registrati per votare versando 25 sterline a testa. “La nostra famiglia laburista deve affrontare il futuro insieme, dobbiamo unire il partito per proteggere gli interessi dei lavoratori e riconquistare il potere”, dice il riconfermato leader nel suo primo discorso della vittoria, a Liverpool, aprendo l’annuale congresso laburista, giacca grigia, camicia bianca e come quasi sempre cravatta rossa. “Nelle elezioni si dicono cose a volte esagerate, le cose che ci uniscono sono più di quelle che ci dividono, non abbiamo avuto paura di discutere apertamente e dobbiamo essere orgogliosi. Abbiamo il più grande partito per numero di iscritti in tutta Europa, abbiamo triplicato il numero di iscritti in un anno e mezzo. Adesso è il momento di concentrare tutte le nostre energie nell’obiettivo di sconfiggere i conservatori, Theresa May ha cambiato gli slogan di David Cameron ma la sostanza è sempre la stessa, quella di un governo di destra. Quattro milioni di bambini in Gran Bretagna vivono in povertà, sei milioni di lavoratori sono pagati meno del minimo salariale, se credete come me che questo sia scandaloso nella sesta economia mondiale, allora il Labour può vincere le prossime elezioni. Io non ho dubbi che, lavorando insieme, potremo farlo”. Corbyn aggiunge che è sua responsabilità unire il partito, al congresso, in parlamento, nel paese, ma aggiunge che è anche responsabilità degli altri membri – un’allusione alle divisioni e al voto di sfiducia nei suoi confronti da parte della maggioranza dei deputati laburisti, l’episodio che ha aperto la crisi che ha portato a indire, dopo appena un anno, nuove elezioni primarie. Per comprendere quello che è accaduto è necessario ricapitolare le puntate precedenti. Facendo un lungo passo indietro. Nel 2010, dopo la vittoria di David Cameron alle elezioni contro Gordon Brown, che aveva preso il posto del dimissionario Tony Blair a metà della precedente legislatura, il Labour elesse a sorpresa Ed Miliband come nuovo leader, grazie ai voti dei sindacati che si schierarono in massa per lui percependolo come più di sinistra rispetto all’altro candidato, suo fratello maggiore David Miliband, un blairiano più tradizionale. Ed Miliband cambiò le regole per eleggere il leader: in futuro non avrebbero votato più solo iscritti e sindacati, ma chiunque volesse registrarsi come militante del Labour, pagando appena 3 sterline. Alle elezioni del 2015 il Labour ha perso di nuovo: Ed Miliband è stato nettamente battuto, il conservatore Cameron è rimasto a Downing street. Miliband, come è la prassi in caso di sconfitta elettorale, si è dimesso. Mezza dozzina di candidati sono scesi in lizza al suo posto. Fra questi, Jeremy Corbyn, la primula rossa del partito, forse il deputato più a sinistra nel gruppo parlamentare del Labour. Nessuno pensava che potesse vincere, neppure molti dei 35 deputati che firmarono per appoggiare la sua candidatura, come prevede il regolamento: dissero di averlo fatto per ampliare il dibattito e dare più democrazia interna al partito. Ma grazie alla riforma fatta approvare da Miliband, ovvero grazie al voto di decine di migliaia di militanti, attirati dal suo idealismo, dal suo messaggio di sinistra senza compromessi, senza se e senza ma, è stato lui a prevalere nelle primarie di un anno fa, con una larghissima affermazione. Il bilancio di un anno di leadership di Corbyn è contraddittorio: il Labour ha vinto le elezioni per sindaco a Londra (con Sadik Khan, che tuttavia non è un Corbyniano), a Liverpool, a Bristol; ha perso seggi alle amministrative, anche se meno del previsto; ha perso di fatto il referendum sull’Unione Europea, in cui era schierato per Remain, cioè per rimanere nella Ue, ma Corbyn non si è battuto con grande passione per evitare Brexit. La base lo ha accolto come una star, i giovani accorrono ai suoi comizi dichiarando che Corbyn ha ridato loro fiducia nella politica; ma i sondaggi nazionali indicano che il Labour ha 11 punti di distacco dai conservatori e verrebbe travolto alle urne. Per questo, all’inizio dell’estate, i deputati laburisti hanno indetto un voto di sfiducia nei suoi confronti, passato 172-40. In teoria, a quel punto, Corbyn avrebbe dovuto dimettersi. Ma ha rifiutato di farlo, dichiarando che era stato eletto da centinaia di migliaia di membri e che non bastavano 172 deputati per costringerlo alle dimissioni. I ribelli hanno insistito. L’unica soluzione è apparsa quella di convocare, anzi riconvocare dopo appena un anno nuove primarie. Formalmente, per presentarsi Corbyn avrebbe avuto bisogno del sostegno di almeno 50 deputati e difficilmente lo avrebbe avuto. Un dibattito che è andato fino all’Alta Corte di Londra, fra mozioni, appelli, contro mozioni, ha infine convinto il comitato direttivo del partito a permettergli di essere automaticamente in lizza, in quanto leader in carica. L’opinione dominante era che, forte del sostegno della base e dei sempre più numerosi iscritti, sarebbe stato riconfermato. I rappresentanti più in vista dell’ala moderata, riformista, blairiana o post-blairiana, comunque la si chiami, come Chukka Umunna, un avvocato di origine nigeriana soprannominato “l’Obama inglese”, o Dan Jarvis, un ex-ufficiale dei parà, non si sono candidati. L’unico avversario rimasto, Owen Smith, un ex-giornalista della Bbc, ha pensato che fosse impossibile sconfiggere Corbyn con un messaggio troppo diverso dal suo e quindi ha fatto campagna affermando di essere di sinistra come e più di Corbyn, di avere le sue stesse idee e i suoi programmi, ma di avere una personalità diversa e un’immagine …

PIETRO NENNI E LA NASCITA DELLA REPUBBLICA

Si avvicina il grande giorno: il 2 giugno. Quel giorno gli italiani decideranno tra la monarchia e la repubblica. E’ una scelta fondamentale: per Nenni lo è più che per chiunque altro. Dalla prima giovinezza ha sognato la repubblica: da quando ha articolato i primi suoni politici ha esaltato la repubblica. E alla repubblica egli ha dedicato la volontà e la passione di ogni sua giornata da quando è tornata la libertà in Italia. il “vento del Nord” e la “lotta contro l’orologio”: il lavoro da lui svolto per la Consulta; le rinunce, i compromessi, il “senno”; tutto è fatto perché si arrivi al voto, al più presto, in condizioni di tranquillità. Egli sentiva che ogni minuto era un voto in meno alla repubblica perché calava la tensione della Resistenza, il vecchio Stato e le vecchie idee riemergevano, la paura del comunismo cresceva e la repubblica era temuta come l’anticamera del comunismo. La destra rialzava la testa, i moderati, preoccupati dei risultati elettorali, guardavano a destra. Le provocazioni dirette a ritardare il momento della decisione si moltiplicavano. E la sinistra commetteva errori seri: come quello di minacciare per legge una epurazione che era contro i principi fondamentali del diritto e poi di non farla, anzi di concludere con una amnistia, quella di Togliatti, che vanificava tutto, e implicitamente suonava ammissione di errori se non di colpe. A mano a mano che ci si avvicina alla data del 2 giugno crescono le inquietudini per l’ordine pubblico. Il 9 maggio il re Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto che diventa re. Grandi furono i timori per questa mossa della monarchia, e si deve a Nenni se prevalse nel Consiglio dei Ministri l’orientamento del “niente è cambiato”. Ma i monarchici intanto sono attivi. Il 2 giugno Nenni annota nel diario: “Una giornata storica può essere, anche per uno dei suoi protagonisti, una giornata noiosa. Sono stato tappato in casa tutta la giornata. E’ comunque e in ogni caso la ‘mia’ giornata. ad essa è legata l’opera mia di capo di partito e di ministro. Trascorro la serata in solitaria attesa leggendo Le zero et l’infini di Koestler”. Ma il 5 giugno – finalmente noti i risultati – è “una grande giornata che può bastare per la vita di un militante”. La repubblica ha vinto, seppure di misura, di una misura tanto stretta che si accusò il ministro dell’interno, il socialista Giuseppe Romita, di avere favorito qualche forzatura elettorale. Niente di vero né di verosimile: ma l’esiguità del margine di maggioranza – solo poco più del 4 % – dimostra che le preoccupazioni di Nenni erano fondate: il tempo logorava la battaglia repubblicana, erodeva i margini del consenso della sinistra, che era stato grandissimo dopo la Liberazione. A mano a mano che il filo della “continuità” si irrobustiva, diventava una corda intorno al collo della rivoluzione democratica; a mano a mano che si indeboliva la collaborazione tra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica e cresceva la campagna contro il comunismo, le simpatie repubblicane del ceto medio si illanguidivano. La posizione di indifferenza istituzionale assunta dalla Dc consentì all’apparato cattolico, e specie alle parrocchie, di “consigliare” i fedeli a votare trono e altare, monarchia e Dc: la formula perfetta che garantiva contro ogni “avventura” di destra e di sinistra. Aveva ragione Nenni di premere perché si arrivasse al più presto al voto. Il titolo dell’editoriale dell’Avanti! scritto da Silone, “Grazie Nenni”, fu felicissimo; e anche obiettivamente esatto. La maggioranza per la Repubblica è stata striminzita: il 51,01 % dei voti. Ma è fatta ! L’Assemblea Costituente elegge capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola. Si volta pagina. . dal libro di Giuseppe Tamburrano “Pietro Nenni”, Laterza 1986 . “Si avvicina il grande giorno: il 2 giugno. Quel giorno gli italiani decideranno tra la monarchia e la repubblica. E’ una scelta fondamentale: per Nenni lo è più che per chiunque altro. Dalla prima giovinezza ha sognato la repubblica: da quando ha articolato i primi suoni politici ha esaltato la repubblica. E alla repubblica egli ha dedicato la volontà e la passione di ogni sua giornata da quando è tornata la libertà in Italia. Il “vento del Nord” e la “lotta contro l’orologio”: il lavoro da lui svolto per la Consulta; le rinunce, i compromessi, il “senno”; tutto è fatto perché si arrivi al voto, al più presto, in condizioni di tranquillità. Egli sentiva che ogni minuto era un voto in meno alla repubblica perché calava la tensione della Resistenza, il vecchio Stato e le vecchie idee riemergevano, la paura del comunismo cresceva e la repubblica era temuta come l’anticamera del comunismo. La destra rialzava la testa, i moderati, preoccupati dei risultati elettorali, guardavano a destra. Le provocazioni dirette a ritardare il momento della decisione si moltiplicavano. E la sinistra commetteva errori seri: come quello di minacciare per legge una epurazione che era contro i principi fondamentali del diritto e poi di non farla, anzi di concludere con una amnistia, quella di Togliatti, che vanificava tutto, e implicitamente suonava ammissione di errori se non di colpe. […] A mano a mano che ci si avvicina alla data del 2 giugno crescono le inquietudini per l’ordine pubblico. Il 9 maggio il re Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto che diventa re. Grandi furono i timori per questa mossa della monarchia, e si deve a Nenni se prevalse nel Consiglio dei Ministri l’orientamento del “niente è cambiato”. Ma i monarchici intanto sono attivi. […] Il 2 giugno Nenni annota nel diario: “Una giornata storica può essere, anche per uno dei suoi protagonisti, una giornata noiosa. Sono stato tappato in casa tutta la giornata. E’ comunque e in ogni caso la ‘mia’ giornata. ad essa è legata l’opera mia di capo di partito e di ministro. Trascorro la serata in solitaria attesa leggendo Le zero et l’infini di Koestler”. Ma il 5 giugno – finalmente noti i risultati – è “una grande giornata che può bastare per la vita di un militante”. La …

ANPI e PD dallo scontro al confronto

Ieri lunedì si è tenuto uno dei pochi confronti tra sostenitori del SI’ e del NO al referendum costituzionale di ottobre. Luogo di incontro, promosso dall’ANPI e dalla sezione PD Pietro Calamandrei ,la Sala Trasparenza in Via della Libertà a Cesano Boscone. Il mio interlocutore è stato un deputato del PD, Matteo Mauri. Ho esordito parlando della necessità che si moltiplichino i confronti tra il Sì e il No, come al tempo del referendum sul divorzio per avere un voto consapevole. Ai banchetti per la raccolta delle firme mi è capitato di incontrare elettori convinti che il Senato fosse stato abolito e non ridotto ad un dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci. Non capisco perché gli organizzatori mi abbiano qualificato come ex senatore DS: nostalgia del passato o soddisfazione che non sia più in Senato? Comunque preferisco essere un ex senatore che un ex di sinistra se fossi rimasto nei DS per confluire nel PD. In effetti una proposta di revisione costituzionale, come la Renzi Boschi non avrebbe avuto alcuna probabilità di passare in una Commissione Affari Costituzionali dove ero il capogruppo dei DS e era presieduta dal prof. Massimo Villone e non dalla senatrice Finocchiaro. In questa riscrittura di 48 articoli della Costituzione manca la trasparenza: il primo ministro è di fatto eletto direttamente, grazie ad un ballottaggio, cui si accede senza quorum di partecipazione al voto e/o di percentuale delle liste ammesse, ma formalmente facendo salve le prerogative del Presidente della Repubblica con forma di governo parlamentare. Malgrado un art. 92 Cost. Potrebbe il Capo dello Stato nominare Presidente del consiglio dei ministri un personaggio diverso da quello indicato come capo politico della lista, che dispone almeno di 340 seggi su 630 della Camera? No! La preoccupazione maggiore è che questa revisione sia un antipasto di quella vera, fatta non più da un Parlamento di 945 parlamentari eletti più 6 senatori a vita o di diritto, ma da una Camera di 630 deputati e da un Senato a mezzo servizio di 100 membri. I principi fondamentali sono già stati toccati e proprio l’art. 1 Cost. togliendo al popolo sovrano il potere di eleggere il Senato. L’elezione diretta di un Senato di 100 membri non avrebbe migliorato la situazione: quella vera e che avrebbe avuto ampio consenso era la riduzione della Camera a 400 deputati e del Senato a 200 in totale 600 invece di 730: un risprmio maggiore dei costi della politica. L’altra soluzione sensata era d ovvero passare ad un Parlamento monocamerale con una legge elettorale proporzionale corretta da una soglia di accesso. Per dare stabilità ai governi basta la sfiducia costruttiva i premi di maggioranza non sono conformi alla Costituzione, perché se vincolano il parlamentare sono in contrasto con l’art. 67 Cost., che vieta il mandato imperativo. Se, invece, non lo vincolano ,come nelle legislature conseguenti alle elezioni del 2006, 2008 e 2013, si sacrifica gravemente e inutilmente la rappresentatività. L’art. 57 Cost. Revisionato è inapplicabile perché richiede che i consigli regionali e di provincia autonoma eleggano i senatori con metodo proporzionale, impossibile quando i senatori siano 2 o 3 in totale, di cui uno sindaco. Ebbene è il caso di 11 regioni e 2 province autonome su 21, cioè la maggioranza. Con i sindaci tutti e i 5 di nomina presidenziale il totale dei senatori non eletti con sistema proporzionale è il 36% del nuovo Senato. Con un popolo informato la vittoria dei NO è scontata, ma questo deve essere evitato ad ogni costo. Quindi nella parte finale della campagna referendaria ci sarà il terrorismo politico-finanziario sulle famiglie che hanno un mutuo a tasso variabile: il diritto di voto dei cittadini sarà espropriato dalle agenzie di rating, dal FMI e dalla BCE: alla faccia del voto libero, uguale e personale previsto dal nostro art. 48 della Costituzione. Fonte: dal blog di Felice Besostri (presidente del Comitato nazionale per il No al referendum costituzionale) Felice Besostri (presidente del Comitato nazionale per il No al referendum costituzionale) presidente del Comitato nazionale per il No al referendum costituzionale)   go wholesale Il Video dell’evento: Il Video dell’evento: SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

30 Ragioni per dire NO

  Allegato scaricabile: NO alla revisione costituzionale SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Io mi fido di Lui

Io mi fido di Lui, se fosse in vita Sandro Pertini farebbe parte dell’A.N.P.I. e non si offenderebbe certamente se il popolo italiano votasse NO al referendum Costituzionale ed alla Legge elettorale Italikum, contrariamente a quanto possa pensare il suo collega Giorgio. Sono certo che voterebbe NO! La differenza stà nelle storie personali. Io mi fido di Lui, se fosse in vita Sandro Pertini farebbe parte dell’A.N.P.I. e non si offenderebbe certamente se il popolo italiano votasse NO al referendum Costituzionale ed alla Legge elettorale Italikum, contrariamente a quanto possa pensare il suo collega Giorgio. Sono certo che voterebbe NO! La differenza stà nelle storie personali. E’ iscritto a parlare il Senatore Pertini. Ne ha facoltà. PERTINI. E’ iscritto a parlare il Senatore Pertini. Ne ha facoltà. PERTINI. Signor Presidente, Onorevoli colleghi, credo che a questo punto nessuno si nasconda che la legge elettorale che stiamo esaminando è di eccezionale gravità; è una legge che avrà conseguenze nefaste subito dopo le elezioni, se, per dannata ipotesi dovesse essere applicata.Non si sfugge, a questo dilemma, Onorevole Presidente, perché qui ciascuno di noi per il presente e per il domani deve assumere le proprie responsabilità. Ci sono due precedenti.Il secondo precedente lo abbiamo nel 1923. Quando venne presentata la legge, che porta il nome non onorato di legge Acerbo, (oggi Italikum). I socialdemocratici non possono aver dimenticato la posizione che essi presero nel 1919, quando con Turati giustamente affermavano che chi è contro la proporzionale si pone contro il suffraggio universale, il quale si può manifestare e attuare nella sua pienezza solo con la proporzionale. La proporzionale toglie la lotta circoscritta agli interessi personali, agli interessi delle clientele, per elevarla in una sfera molto più alta, che è la sfera degli interessi collettivi, gli Interessi del Paese, della Nazione. Se non vi fosse altra prova che la proporzionale è sinonimo di democrazia, basterebbe questa: che tutti i Governi, i quali hanno il proposito di trasformarsi in regime, la prima cosa che fanno è quella di colpire la proporzionale. Questo è avvenuto nel 23. E sarà utile ricordare che il socialista Turati nel discorso del 3 marzo, rivolgendosi a coloro che dicevano che i socialisti avrebbero perso dei seggi, rispose sdegnoso: Ma queste sono miserie!…mi schiaffeggerei da me stesso davanti allo specchio se questo influisse sulla mia opinione. Ora non vi dico di mettervi allo specchio, perché altrimenti dovreste schiaffeggiarvi lungamente, o socialdemocratici, perché a voi premono soltanto,i seggi, non la vostra coscienza di socialisti, non le vostre opinioni. E’ precisamente questa la ragione che vi spinge ad assecondare il Governo democristiano (oggi Renzi) in questo atto antidemocratico. Molti, allora come oggi, dicevano: In fin dei conti si tratta di una legge elettorale; perché drammatizzare? Ed abbiamo avuto una quantità di uomini della vecchia classe dirigente che finirono per assecondare il fascismo ed i primi soprusi; uomini che per quieto vivere, per non perdere una carica ben remunerata, mirarono ad adeguarsi alla situazione creata dal governo fasciata; uomini che pure non avevano più nulla da chiedere alla vita ed avrebbero dovuto sentire solo il dovere di concludere la loro fatica politica nobilmente e non con infamia; uomini della vecchia classe dirigente che assecondarono il fascismo pur di rimanere aggrappati alle loro estreme ambizioni come il vecchio sordido Shylok al suo maledetto denaro. E la triste vergognosa storia si ripete oggi. Vi sono nuovamente degli uomini che fanno tacere la loro coscienza per quieto vivere cercando mille pretesti per giustificare la loro debolezza di assecondare il Governo nella sua azione antidemocratica.Dagli atti Parlamentari , Modifiche al testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati, Sandro Pertini 10 marzo 1953. Sarebbe opportuno non sottovalutare i corsi e ricorsi storici, ed il ripetersi di cicli che a volte avvengono su precisi disegni. Penso che si stia tirando troppo la corda perché tanti diritti vengono calpestati. Ho voluto porvi all’attenzione l’intervento del Presidentissimo Sandro Pertini, su un tema, oggi, di grande attualità,quale la legge elettorale, perché ne ho colto il ripetersi di situazioni similari e comportamenti identici delle classi dirigenti. E’ difficile schiaffeggiarsi allo specchio. Molti lo dovrebbero fare, al solo pensiero di tradire valori e storia politica! Umberto Ranieri Umberto Ranieri useful source SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

La verità sui presunti risparmi

Ci viene ossessivamente ripetuto che rinunciando ad eleggere i senatori si riducono i ‘costi della politica’. Vediamo se è vero: Secondo quanto riportato dal Bilancio 2015 del Senato (S.1.1.1.) Le indennità parlamentari degli attuali Senatori ammontano a euro 40.100.000 Non è vero che con il nuovo art.69 Cost. Boschi/Renzi verrebbero tutti risparmiati. in realtà l’articolo 40, comma 5 ultimo periodo lascia intendere che i senatori a vita e di diritto continueranno ad essere remunerati con le vecchie norme, quindi almeno 5 indennità parlamentari restano (per un costo di 626.562 euro annui); quindi si risparmiano solo 39.473.438 euro. Per diarie ed altre spese o rimborsi per lo svolgimento del mandato (S:1.1.2.) vengono spesi Euro 37.266.000 Riproporzionando la spesa a 100 senatori si arriva a euro 11.645.626 quindi si risparmiano 25.620.375 Il risparmio nelle uscite sarebbe quindi di 65.093.813 euro annui Ma nel capitolo S.3.5.1 del medesimo bilancio sono segnalati 126.000.000 euro di ritenute fiscali su tutti i redditi prodotti in Senato. Secondo una dichiarazione pubblica del senatore questore, almeno 15.000.000 di queste ritenute sono operate per il versamento dei predetti emolumenti ai senatori e, quindi, lo Stato cesserà di introitarli al cessare degli emolumenti Secondo il questore Malan, quindi, la partita derivante dalla Revisione costituzionale Renzi/Boschi al netto delle imposte versate si riduce a meno di 50 milioni di euro annui di risparmio per le casse dello Stato. Meno di un euro a cittadino italiano (per la precisione 0,83 euro per ognuno dei 60 milioni di abitanti della penisola). Siamo sicuri di voler rinunciare a scegliere i Senatori per l’equivalente di un caffè all’anno? SI POTREBBE RISPARMIARE PIU’ E MEGLIO? Il 21 maggio 2015, Roberta Pinotti, ministra della Difesa, ha presentato il documento programmatico pluriennale per il triennio 2015-2017 che conferma la partecipazione dell’Italia al programma Joint Strike Fighter F-35, con un budget complessivo di circa 10 miliardi di euro. Il numero di velivoli da acquistare è stato fissato a 90 unità (di cui 38 da acquisire entro il 2020). Ciò significa che ogni cittadino italiano pagherebbe 166,6 euro a testa. Anche solo un F35 in meno consentirebbe un risparmio maggiore del Senato: 1,85 euro invece di 0,83 euro!! UN SOLO F 35 EQUIVALE A PIU’ DI 2 ANNI DI INDENNITA’ DEL SENATO Con i 38 da comprare entro il 2020 si coprirebbero 80 anni di indennità dei senatori VOTIAMO NO ALLO STRAVOLGIMENTO DELLA COSTITUZIONE PERCHE’ VOGLIAMO MENO ARMI E PIU’ DEMOCRAZIA Articolo 11 della Costituzione: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo ——————– La truffa del nuovo Senato Se si parla per fare bla-bla si può dire la prima cosa che passa per la mente. Guardate la tabella allegata. Leggetevi anche l’art.57 nuovo i commi 2, 5 e 6: 2) I Consigli regionali e i Consigli delle province autonome di Trento e Bolzano eleggono con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. [NOTA il metodo proporzionale riguarda solo i consiglieri regionali senatori] 5). La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma. [NOTA le parole in corsivo grassetto sono quelle dell’emendamento Chiti] 6) ult. periodo ” I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio [ NOTA poiché le leggi elettorali regionali sono iper maggioritarie con premi di maggiorana tra il 55 e il 61% si voleva tenere conto di voti dati a formazioni non entrate in Consiglio ovvero che si tenesse conto dei voti di lista e non solo dei seggi] Ogni ragionamento prescinde dal terzo comma del nuovo 57 per cui ogni regione deve avere un minino di 2 senatori. Leggetevi la tabella allegata 10′ regioni, tra cui 2 province autonome) hanno 2 senatori DI CUI 1 SINDACO PER IL QUALE GLI ELETTORI NON ESPRIMONO ALCUNA SCELTA. DUE REGIONI NE HANNO 3 di cui un sindaco. Dove sta il metodo proporzionale imposto dal c. 2? o che si deve tene conto dell scelte espresse dagli elettori( c. 5) e dei voti espressi(c. 6)? I casi sono tre 1) presa per il culo; 2) totale incompetenza legislativa 3) consapevolezza che così non funziona e quindi riformulare la norma, ma con camere elette con l’Italikum i deputati e dai consigli regionali i senatori ma con la norma transitoria senza perciò applicazione dell’emendamento Chiti. Se vince il Sì a primavera si vota con l’Italikum, ma anche se vince il NO. PER DIRE NO ALLA REVISIONE COSTITUZIONALE   Gli allegati possono essere scaricati e stampati: ART.57 Truffa Senato.odt ART.57 Truffa Senato – Tabella.pdf Fonte: Felice Besostri SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

La Sgovernance globale e il “Mercato delle nebbie”

“A volte si dice che gli operatori sui mercati siano pazzi. Non è così. Sono esseri assolutamente razionali. Ma una persona razionale che non riesce a vedere chiaro, che si sente come avvolta nella nebbia, assume decisioni istintive, brusche, a scatti” – queste parole sono state pronunciate dal Direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, in un’istruttiva intervista rilasciata l’8 maggio scorso a Giuseppe De Tomaso per la Gazzetta del Mezzogiorno. Gli operatori finanziari non sono personalmente pazzi, ma la nebbia da cui sono avvolti viene prodotta da un’insania speculativa che toglie al “mercato regolatore” ogni visibilità. Oggi il problema economico-politico più sostanziale, sollevato anche nell’intervista di Salvatore Rossi, consiste nell’incertezza sul futuro. Incertezza sul futuro: si tratta di un effetto macroclimatico paradossale del mercato che, invece di mantenere la promessa autoregolatrice insita nella parola d’ordine neo-liberista di tant’anni, sta finendo per scardinare ogni cosa, sé incluso. In realtà, l’anarco-capitalismo si fonda sulla “consumazione” finanziaria del futuro. La struttura intrinsecamente speculativa del “mercato regolatore” consiste infatti, letteralmente, nell’usare e vendere futuro. A tale meccanismo del lucro possono essere ricondotti sia il crescente debito ecologico nei confronti delle generazioni a venire, sia l’immensa massa dei derivati finanziari che incombe, sia lo scaricamento (parziale) delle contraddizioni interne al sistema sul grande buco dei debiti pubblici e privati. informative post A questi temi Gianis Varoufakis ha dedicato pagine di eccellente chiarezza nel suo libro (dedicato alla figlia) Time For Change. L’anarco-capitalismo consuma futuro specialmente nel duplice senso che: a) Il “mercato regolatore” lucra usando e vendendo futuro in misura ben maggiore alle reali, o anche solo possibili, disponibilità; così facendo crea tra l’altro le celebri “bolle” finanziarie, oltre che la crisi climatica nonché la bancarotta tendenzialmente generale del debito pubblico e privato. b) In tal modo il “mercato regolatore” paralizza progressivamente ogni governabilità politica, accelerando la Sgovernance globale. La prossima crisi finanziaria si profila ormai all’orizzonte. Quando sarà scoppiata, si dirà che essa impatta sulla debolezza degli stati (già lo si dice). E quindi a quel punto sarà tutta colpa degli stati, se le cose andranno di male in peggio. Ma, a parte il darwinismo da vespasiano populista di certe frasi fatte, la causa della crisi resta pur sempre un’altra. La causa della (delle!) crisi è – ripetiamolo – anche la causa dell’indebolimento degli stati, della liquefazione delle società, della sperequazione generale e così via. La causa è il “mercato regolatore” che dovrebbe essere, invece, regolato. In assenza di ciò, esso trasforma il pianeta, e lo trasformerà sempre più, in un “aereo senza pilota”. Questo è, dunque il punto: nessuno regola il “regolatore”. Nessuno ci riesce o nessuno vuole farlo. Anzi, già solo parlarne è difficile, perché mille sofismi sviano, banalizzano e occludono il discorso. E chissà perché il discorso è così tanto occluso dai sofismi. Eppure il “mercato regolatore” si sta trasformando in un vero e proprio “mercato delle nebbie”, per gli stessi operatori del mercato. Ovviamente, ci sono enormi interessi enormemente interessati a occludere un certo discorso e a conservarlo occluso. Parafrasando Upton Sinclair, è difficile far capire una cosa a quelli il cui enorme arricchimento dipende dal non capirla. Perciò, non sbaglia di molto chi sostenga che la contraddizione fondamentale della nostra epoca vede drammaticamente contrapposti l’anarco-capitalismo e… l’arte del dialogo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA NASCITA DEL PSI

La nascita del PSI: ragioni e significato La data di nascita del PSI è ben impressa nella memoria di molti socialisti e non socialisti: il 15 agosto 1892. Il luogo di nascita dovrebbe essere altrettanto conosciuto, ma a volte si fa confusione su di esso. Molti ritengono che sia a Genova, nella sala Sivori. Sbagliandosi, perché alla sala Sivori fu consumata la separazione tra anarchici e socialisti. Il nuovo partito, che non aveva ancora la denominazione di Partito socialista italiano, fu fondato invece il giorno successivo nella sala dei “Carabinieri genovesi”, il corpo dei fucilieri garibaldini. Si è voluto ravvisare, da più parti, quasi un significato simbolico in questa coincidenza, un trait d’union tra la tradizione risorgimentale impersonata dall’esponente di essa più sensibile alle istanze del socialismo nascente e le idealità del sorgente partito dei lavoratori Italiani. Senza dubbio qualche tratto di continuità c’è stato, specie se si fa riferimento ai numerosi garibaldini, e allo stesso Garibaldi, che si erano proclamati socialisti ben prima della nascita del partito. O anche ad alcuni “protosocialisti” di fede mazziniana, quali Carlo Bianco di Saint-Jorioz, oppure a un Carlo De Cristoforis, o allo stesso Pisacane.(1) Fisicamente, uomini di tradizione risorgimentale, tra i fondatori del partito, era possibile rintracciarne ben pochi. Erano, per la maggior parte, umili operai ed anche intellettuali di idee socialiste, troppo giovani per aver preso parte al moto risorgimentale. Tra essi, il gruppo di “Critica Sociale” che aveva da qualche tempo iniziato a far circolare in Italia le idee marxiste che rapidamente si stavano diffondendo, contrassegnando incontrovertibilmente l’identità ideologica del movimento. Un compito analogo si era assunto da parte sua Antonio Labriola, tuttavia assente a Genova perché critico verso l’impostazione che veniva data al nuovo partito. Esisteva un rapporto ideale tra il moto risorgimentale e quello di emancipazione dei lavoratori. C’erano però ben due ragioni storiche a distaccare da quel moto quest’esperienza dell’organizzazione che muoveva i suoi primi passi, per divenire ben presto adulta e protagonista della vita sociale e politica del paese. La prima risiedeva nel fatto che mentre il Risorgimento era stato, per sua natura e ragione storica, dominato dalla “questione nazionale”, la nascita del partito dei lavoratori era il risultato di un’altrettanto legittima ragione storica di segno diverso, quella che faceva assumere priorità assoluta alla “questione sociale”, rispetto anche alla stessa “questione nazionale”. Non per un caso il partito si qualificò immediatamente come internazionalista e pacifista. La tesi del “Risorgimento incompiuto”, cara a Gramsci e ai gramsciani di vecchio e nuovo conio, ha espresso il concetto – letterariamente seducente e non privo di efficacia propagandistica – dell’eredità, affidata al movimento dei lavoratori, di portare a compimento la rivoluzione risorgimentale non realizzata dalle classi dirigenti Italiane dell’800. Proprio il sorgere del partito dei lavoratori, e i modi in cui esso è nato e si è affermato, testimoniano la genericità di questa tesi e ne rappresentano una confutazione. In realtà, il Risorgimento e la conseguita unità nazionale si presentavano già sulla fine del secolo scorso come un processo storico-politico ben definito, che aveva trovato il suo compimento con la costruzione dello Stato monarchico-costituzionale sui fondamenti di un sistema politico liberale. Ancora fragile ma con connotazioni inconfondibili. La seconda, effettiva ragione storica che conduce alla costituzione del Partito socialista sta nel fatto che le classi subalterne, e tra di esse la classe operaia che s’era andata estendendo e irrobustendo negli ultimi decenni, erano e si sentivano del tutto escluse dalla vita e dalla gestione delle istituzioni liberali, rappresentative e di governo, da quelle centrali come da quelle locali. La stessa introduzione dei sistemi di rappresentanza elettiva, fondata su una ristrettissima base elettorale, rendeva palese la realtà di questa netta esclusione, che conduceva a una separazione conflittuale tra lo Stato e le grandi masse lavoratrici. Una esclusione sempre di più inaccettabile, a mano a mano che in Italia si sviluppano le basi di un’economia moderna in seguito all’estensione del sistema di produzione industriale. Avviene, in Italia, quel che era avvenuto e avveniva in Inghilterra, in Germania, in Francia e in molti altri Stati europei, con la Rivoluzione industriale e la susseguente nascita ed espansione della classe operaia: il mondo dei lavoratori, escluso dalla partecipazione alla gestione delle istituzioni e assoggettato alle strutture del potere economico, si autorganizzava come partito rappresentativo delle esigenze sociali emergenti e si configurava quale soggetto politico nuovo, che in breve volgere di tempo si ergeva a protagonista, in forme organizzative, propagandistiche, di lotta politica del tutto innovative rispetto alle tradizioni e ai comportamenti politici vigenti. Un soggetto sociale e politico di questa natura e di questa forza tendeva a contrapporsi non soltanto al potere delle controparti sociali, ma anche al potere delle istituzioni statuali, almeno fin quando non si trovasse ad essere in esse rappresentato. Tendeva a contrapporsi allo Stato, non soltanto alle classi dominanti, finendo per identificare queste con quello. In tale processo risiede, infatti, la ragione della fortuna che immediatamente ebbe, nei movimenti dei lavoratori della seconda meta dell’800, la formula marxista dello Stato come “comitato politico della borghesia”. Nelle diverse esperienze di formazione dei partiti dei lavoratori di ciascuna delle società europee industrializzate si rivela un tratto comune: la forma che tali partiti assumono (la “forma-partito”) si differenzia nettamente dalle forme tradizionali di altri soggetti politici collettivi ad essi preesistenti o anche coesistenti. Occorre qui fare una considerazione di natura più generale. Osserva opportunamente uno studioso italiano di storia dei partiti, il Brigaglia, che il termine “partito” ha una “valenza variabile sia da un punto di vista descrittivo che da un punto di vista valutativo”(2) aggiungendo che dal punto di vista descrittivo esso accomuna fenomeni diversi: “dai gruppi religiosi contrapposti alle fazioni parlamentari, alle organizzazioni sociali volte alla realizzazione di scopi politici”. Tra queste ultime, la forma-partito moderna, detta anche partito di massa, si contraddistingue, nelle sue varie fattispecie storiche, dalle forme-partito di epoche storiche diverse per una serie di caratteristiche relative all’organizzazione su base territoriale, ai rapporti con le strutture collettive sociali come il sindacato, le cooperative ecc. per la continuità del lavoro …

GUIDO ALBERTELLI

Guido Albertelli nasce a Parma il 24 gennaio 1867. Di modeste origini (era figlio di un fabbro) seguì studi tecnici e si laureò in ingegneria all’università di Bologna. Si occupò principalmente di ingegneria idraulica e urbanistica, progettando acquedotti, bonifiche e piani regolatori edilizi. Pubblicò studi sulle acque salienti e sulla formazione idrogeologica della valle del Po e della Sicilia. Si devono a lui il progetto del nuovo acquedotto di Parma, della fabbrica del ghiaccio di Parma e di vari acquedotti in Sicilia. Il paese di Carlentini gli concesse nel 1912 la cittadinanza onoraria e gli intitolò una piazza per aver costruito, in quattro anni di lavoro, l’acquedotto che portava l’acqua al paese. Fu tra i fondatori del Partito socialista, al congresso di Genova del 1892, e partecipò a tutti gli altri successivi congressi fino al fascismo; fu pure tra i fondatori della Camera del lavoro di Parma (1893) e svolse un’intensa attività di propaganda e di organizzazione, specie tra i contadini della Bassa parmense. Orientato verso posizioni riformiste, assunse un atteggiamento moderato in occasione dell’agitazione agricola del 1901, iniziatasi con lo sciopero di Montechiarugolo, così come, alcuni anni più tardi, in occasione delle agitazioni promosse dal movimento di Alceste. De Ambris in provincia di Parma. Fu eletto al Parlamento del Regno d’Italia per il collegio di Parma nord nella XXI Legislatura (1900-1902) e nella XXIV e XXV Legislatura (1913-1921). Durante la prima guerra mondiale assunse posizioni neutraliste e tale atteggiamento gli costò qualche pubblica manifestazione ostile da parte anche di alcuni suoi elettori. In parlamento fu però molto ben considerato, contando tra i suoi estimatori Agostino Berenini, Filippo Turati, Claudio Treves e Camillo Prampolini. Fu eletto più volte consigliere comunale e provinciale di Parma. Nelle elezioni del 1921 fu sconfitto dal nuovo capo carismatico delle masse popolari parmigiane, Guido Picelli. Nel 1925 sfuggì a stento ad un attentato tesogli dai fascisti, durante il quale la sua casa e lo studio di Borgo Tommasini furono distrutti, e fu costretto a trasferirsi con la famiglia a Roma, a suo dire “in esilio”, dove morì nel 1938. Si sposò con Angela Gabrielli, laureata in lettere a Bologna con Giosuè Carducci e insegnante di italiano alle Scuole Magistrali di Parma. Ebbero tre figli, ai quali venne dato il nome di eroi garibaldini: Nullo, Ippolito Nievo e Pilo. Nullo (1900-1968) fu un valente ingegnere e collaborò con il padre a diversi progetti; Ippolito Nievo (1901-1938) fu un celebre violoncellista; Pilo (1907-1944), filosofo e attivista antifascista, fu ucciso dai nazisti nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. A Parma gli è intitolata, assieme al figlio Pilo, strada Guido e Pilo Albertelli, una via che collega via Garibaldi a via Verdi. Progettò il ponte del Littorio, sul fiume Parma tra Colorno e Mezzano Superiore. Inaugurato nel 1932, nel dopoguerra venne rinominato Ponte Albertelli. FonteWeb   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIACINTO MENOTTI SERRATI

Nato nel 1872 a Spotorno da Giacinto – piccolo armatore decaduto, costruttore edile e commerciante, seguace di Mazzini e Garibaldi, sindaco di Oneglia nel 1865-1866 e nel 1867-1870 –, e da Caterina Brunengo. Primogenito di sei fra fratelli e sorelle, trascorre l’infanzia ad Oneglia e nel 1889-1891 segue gli studi liceali a Mondovì, che però interrompe per dedicarsi alla politica. Nel 1892, collaboratore del settimanale sanremese Il Pensiero, è tra i promotori della prima Lega socialista di Oneglia e, l’anno dopo, è tra i fondatori del suo organo, La Lima. Trasferitosi nel 1893 a Milano, dove collabora alla Lotta di classe, partecipa in agosto al Congresso internazionale socialista di Zurigo, il mese seguente al II Congresso del Psi e subito dopo subisce il primo arresto, a causa delle manifestazioni seguite all’eccidio di Aigues Mortes. In questi anni che volgono alla fine del secolo, colpito più volte dalla repressione, come anche i fratelli Ricciotti e Manlio, è costretto a riparare a Marsiglia: una prima volta nel 1894 e una seconda volta tre anni dopo. Dopo aver fatto in precedenza il guardiano dei docks, il garzone di farmacia e lo scaricatore di carbone dai piroscafi, è in questa circostanza, agli inizi del 1898, che si imbarca per l’Oceano indiano dal quale torna soltanto nell’autunno dell’anno seguente. Stabilitosi in Svizzera, riprende subito la militanza nelle fila dell’Unione socialista di lingua italiana (Usli) che, divenutone il segretario nel 1900, contribuirà in seguito alla sua trasformazione in Partito socialista italiano in Svizzera (Psis), collaborando all’Avvenire del lavoratore. Nel 1902 si lega sentimentalmente ed ha un figlio, Libero, con Cesarina (Rina) Marsanasco che, già sposata e madre di cinque figli, potrà riunirsi a Serrati solo nel 1905 anche perché, nello stesso 1902 Serrati parte alla volta di New York, dove assume la direzione de Il Proletario. Due anni dopo ritorna in Svizzera e nel 1905 diviene segretario del Psis. Avverso sia al sindacalismo rivoluzionario che al riformismo, ed ormai anche all’“integralismo” sempre più trasformistico di Enrico Ferri, al ix (1906), al X (1908) e all’XI (1910) Congresso del Psi si schiera a favore delle posizioni “intransigenti” (nel 1909 era nel frattempo rientrato in Italia). Alla fine del 1911 ottiene la segreteria della Cdl di Oneglia e la direzione della Lima. Dopo un’attiva partecipazione alle vicende del movimento operaio imperiese e savonese, dove collabora al periodico socialista locale Il Diritto, nell’ottobre del 1912 si trasferisce a Venezia come segretario della Cdl e direttore de Il Secolo nuovo di Elia Musatti. Sempre nello stesso anno avversa l’avventura coloniale tripolina, coniando la parola d’ordine “Vinca il Turco!”, e accentua la sua battaglia contro la corrente riformista del partito. Candidato non eletto alle elezioni politiche del 1913, nell’aprile dell’anno seguente, al XIV Congresso del Psi, è eletto nella Direzione del partito e in novembre viene chiamato alla direzione dell’Avanti!, che orienta fortemente in senso internazionalista e contro la guerra. Membro della delegazione italiana alla conferenza di Zimmerwald nel 1915, nel 1917 si schiera con la rivoluzione russa. Nel “processone” del giugno 1918, a seguito dei moti scatenatisi nel capoluogo piemontese nell’agosto dell’anno precedente, è condannato a tre anni e mezzo di carcere. Riacquistata la libertà nel febbraio del 1919, grazie all’amnistia per la vittoria, riprende il suo posto di direttore dell’Avanti! e con oltre il 72% dei voti alla sua mozione “massimalista elezionista” domina il XVI Congresso del Psi in ottobre. Subito dopo promuove la nuova rivista Comunismo e nell’estate del 1920 partecipa al ii Congresso dell’Internazionale comunista. Pensando di portare tutto il Psi sulle posizioni della nuova Internazionale, non accetta i “21 punti” stabiliti a Mosca e non segue quindi la frazione comunista nella scissione operatasi nel corso del XVII Congresso del Psi (Livorno, gennaio 1921), che riserva alla sua mozione dei “comunisti unitari” quasi il 57% dei voti. Una scelta “centrista” che non paga, dal momento che sono proprio i riformisti di Turati e Treves a lasciare il partito nel successivo congresso dell’ottobre e a dare vita al Psu. Mentre in Italia il fascismo sta conquistando il potere, nel novembre 1922 si apre a Mosca il IV Congresso dell’Ic. In rappresentanza del Psi Serrati raccoglie ora l’invito del gruppo dirigente dell’Internazionale all’unificazione con il Pcd’i, nonostante i dissapori mostrati dai comunisti italiani verso tale decisione. Ma a questo punto, subito dopo il rientro in Italia, è proprio il suo partito a tradirlo. Complice un nuovo arresto nel marzo 1923, al XX Congresso del Psi, svoltosi a Milano il mese dopo in sua assenza, Nenni, capo del “Comitato di difesa socialista”, fa passare una mozione contraria all’unificazione con i comunisti. Estromesso dall’Avanti! e dalla Direzione del partito, nel giugno 1923 dà vita al quindicinale Pagine rosse, nel giugno-luglio 1924 partecipa ancora a Mosca al V Congresso dell’Ic e in agosto entra definitivamente con la frazione dei “terzini” di Fabrizio Maffi nel Pcd’i. Cooptato da subito nel suo Comitato centrale e direttore de Il Sindacato rosso, partecipa ancora al III Congresso del partito (Lione, gennaio 1926), ma pochi mesi dopo muore per un attacco cardiaco. Fonte: Archivio biografico del Movimento Operaio SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it