IL SOCIALISTA CHE NON TROVO’ MAI IL SOCIALISMO

di Giovanni Princigalli* |

Nel 1964, esattamente 60 anni fa, nasceva il Partito Socialista di Unità Proletaria, il PSIUP. Fu fondato dalle due principali correnti della sinistra del PSI: quella morandiana guidata da Tullio Vecchietti e quella più piccola capeggiata da Lelio Basso. La prima era d’ispirazione marxista-leninista, la seconda s’ispirava al marxismo rivoluzionario e libertario di Rosa Luxemburg.

Con questo articolo, ripercorrendo la militanza di mio padre Giacomo Princigalli dal PSI al PSIUP e poi al PCI, provo a ricordare ed elogiare una politica disinteressata, fatta tutta per un partito, comunità che era una sorta di seconda famiglia. I “compagni” erano coloro con cui su condivideva il pane: cum – panis. Non voglio addentrarmi nella storia o nelle ragioni della scissione della sinistra socialista che portò alla nascita del PSIUP, che ebbe vita breve. Anche se ormai è opinione diffusa, anche tra diversi ex dirigenti psiuppini oggi anziani e con cui ho parlato (tra cui Barzanti e Pupillo) che quella scissione fu sbagliata. Eppure, questo partito, che fu definito “provvisorio” dal socialista Gaetano Arfé (come il libro sul PSIUP di Aldo Agosti), una funzione importante la ebbe. Infatti, come mi ha ben spiegato un ex-psiuppino di Bari, Emanuele Ceglie, che poi approdò al PSI diventando uno stretto collaboratore di Rino Formica, il PSIUP diede voce a molti giovani che senza quel partito non avrebbero trovato una casa politica in cui militare. Molti, secondo Ceglie, sarebbero finiti nel nulla o nella sinistra extra parlamentare. Per tanti altri fu una palestra in cui farsi le ossa ed apprendere il lavoro della politica o un’alternativa al PSI ormai impegnato nel centro-sinistra, e al PCI, considerato troppo burocratico e monolitico. Basti pensare a tanti nomi che un giorno saranno ai vertici della politica e della cultura in Italia: Giuliano Amato, Fausto Bertinotti, Giuseppe Impastato, Asor Rosa e molti altri ancora. Tra i pugliesi oltre a Ceglie vanno ricordati Biagio Marzo (passato poi al PSI) e i futuri comunisti Peppino Trulli, Peppino Caldarola, Alba Sasso, Giancarlo Aresta, Rosa Da Ponte, e indirettamente Silvia Godelli. Non va dimenticato lo storico Aldo Giannulli, anche lui barese. Costoro, a detta degli stessi Sasso e Caldarola, furono tutti allievi di Giacomo Princigalli. Il PSIUP è spesso ricordato come un partito dogmatico, ma si dimentica invece che tra i lori dirigenti vi erano Foa (ex Partito d’Azione), Libertini e Basso. Mio padre militava nella corrente dei primi due che erano promotori di un socialismo al tempo stesso libertario e movimentista.

Mio padre prese la tessera del Psi nel 1947 all’età di 17 anni nella sezione di Santo Spirito, una frazione di Bari, divenendone in seguito segretario. S’iscrisse alla facoltà di chimica dell’ateneo barese. All’epoca il segretario della federazione era Antonio Di Napoli, il quale chiese a mio padre di lasciare gli studi per lavorare a tempo pieno come funzionario del PSI. Mio padre non voleva abbandonare l’università. Allora Di Napoli lo rimproverò: «Tu allora non credi nella costruzione della società socialista?» Mio padre rispose: «Sì, certo che ci credo, ma anche nella società socialista ci sarà bisogno di chimici, no?». Ma Di Napoli fu intransigente «Ma lo sai che vige il primato della politica?» Sicché mio padre abbandonò gli studi per ordine del partito.

Sia lui che Di Napoli erano di formazione morandiana. Tanto è vero che, scavando negli archivi della Fondazione Di Vagno a Conversano in provincia di Bari, ho trovato menzione del fatto che ai funerali di Morandi nel 1955, la delegazione barese, composta da Di Napoli, Princigalli, Masciale e Ricapito «(…) ha chiesto ed ottenuto – scrisse Di Napoli all’epoca dei fatti – l’onore di montare la guardia alla cara salma (…) innanzi al suo corpo gelido (…)».

Grazie all’aiuto prezioso dello storico Luca Bergonzi, tra le carte dei fondi dell’istituto Gramsci a Roma, sono emersi molti documenti sulla militanza giovanile del PSI e poi del PSIUP di mio padre. Dal canto mio, come accennavo prima, ho trovato molti documenti presso la fondazione Di Vagno. Tra le altre cose, siamo rimasti impressionati nel vedere lo stipendio che mio padre guadagnava nel PSI (di cui divenne vicesegretario della federazione barese) e poi nel PSIUP (di cui fu segretario per la provincia di Bari, oltre che membro del CC e di tre commissioni nazionali).

Orbene percepiva un salario equiparato a quello di un operaio specializzato. Negli anni Cinquanta venne nominato membro dell’ufficio politico nazionale dei giovani socialisti, e per questo gli diedero un’integrazione di 10.000 lire al mese. Senza dimenticare che per il PSI fu anche commissario del partito ad Altamura, funzionario della federazione di Latina e della corrente della sinistra interna a Roma. Si lavorava anche durante il week-end e la sera. Per la famiglia c’era poco tempo, a parte quando i compagni venivano invitati a cena a casa, per continuare a parlare di politica o solo per il piacere di stare assieme, e mia madre cucinava anche per loro. Mio fratello Antonio, il primogenito nato nel 1962, conserva dei ricordi di quei tanti compagni socialisti che frequentavano la nostra casa, tra cui il senatore Masciale e il deputato ed amico fraterno di mio padre Tonino Lenoci. Io per motivi anagrafici non posso avere ricordi che risalgono alla militanza socialista e psiuppina di papà. Ho cercato di ricostruire quel mondo fatto di casa e partito, parlando tra gli altri anche con il figlio di Antonio Di Napoli che passò anch’egli dal PSI al PSIUP. Egli mi ha detto che anche in casa loro vi era un via vai di compagni, cene e riunioni, anche perché non sempre potevano permettersi di pagare l’affitto di una sezione.

In un documento trovato sempre da Bergonzi, mio padre si lamentava con la direzione nazionale del PSIUP per il mancato versamento della tredicesima per gli impiegati della federazione barese. Spesso i rimborsi delle spese per andare in giro in provincia per fare comizi arrivavano con il contagocce. Il PSI barese si sosteneva grazie ai doni dei deputati, le sottoscrizioni, le tombole e i tornei a calcio balilla (biliardino) e ai versamenti inviati dalla direzione nazionale.

Tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta, mio padre ha vissuto con mia madre in una casa popolare al rione Japigia di Bari. Il dirimpettaio era Peppino Caldarola, che era molto più giovane di mio padre. Caldarola lo seguirà nel PSI, poi nel PSIUP e infine nel PCI.

Mio padre fu eletto nelle file del PSIUP e poi del Partito Comunista Italiano nel consiglio della Regione Puglia. Donava metà del suo stipendio di consigliere al partito. Ricordo anche le sottoscrizioni per comprare a prezzo maggiorato il quotidiano «l’Unità». Senza dimenticare il lavoro di noi tutti (gratuito) alle “Feste dell’Unità” o i doni alla sezione del nostro rione.

I miei genitori si separarono nel 1970, due anni dopo la mia nascita. Con mia madre e i miei fratelli, più grandi di me, andammo a vivere in un palazzo dell’INA, un ente a partecipazione statale, abitato per lo più da pensionati o impiegati pubblici. Mia madre lavorava per la Provincia di Bari. Quanto a mio padre, egli traslocò in un monolocale che gli veniva affittato a prezzo politico da una coppia di contadini del PCI.

Negli anni Settanta la nostra situazione economica era così precaria che subimmo una confisca di beni per dei debiti non assolti di mia madre.

Lo stile di vita di mio padre aumentò di molto quando lasciò la politica attiva per divenire vice-presidente nazionale del consorzio cooperativo ed oleificio CIOS.

Per lui, come per tanti altri della sua generazione, la politica era al tempo stesso passione, lavoro, amicizie, amori, cene, solidarietà, fratellanza, discussioni. Tutte cose che si vivevano nella stanza della sezione o nella cucina o il salotto di casa.

La nostra casa non fu solo una sorta di sezione del partito o un dopolavoro (quello in sezione appunto) per tanti compagni di partito (tra cui un giovane D’Alema), ma anche un luogo di accoglienza. Nel 1973 (avevo 5 anni) ricevemmo un gruppo di rifugiati cileni. Negli anni Ottanta fummo tra quelle famiglie che ospitarono su iniziativa della CGIL i figli dei minatori gallesi in sciopero da mesi contro la Thatcher. Inoltre per almeno un mese soggiornò a casa nostra la madre di Giuliano Naria, un giovane di “Lotta continua” ingiustamente accusato di aver preso parte alle BR. Il giovane era di Genova ma il processo fu spostato a Bari, poiché era rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Trani. Ci fu una campagna innocentista a cui aderì anche il PCI che chiese tra i compagni baresi chi fosse disponibile ad accogliere Matilde, la mamma di Naria. Giacomo Princigalli si fece avanti senza esitare. Molto tempo dopo, Naria fu assolto e rimesso in libertà grazie alle pressioni del Presidente Pertini e di 200 parlamentari.

Riguardo al suo impegno pacifista nelle vesti di dirigente del PSIUP, mio padre aveva partecipato ed organizzato varie attività contro la guerra nel Vietnam. Vi sono a riguardo le testimonianze di Peppino Caldarola e Alba Sasso. Ma vorrei riportare quella di Luigi Magnifico. Nel 1968 egli era un ventiduenne della provincia di Bari la cui prima tessera di partito fu quella del PSIUP. Mio padre aveva 38 anni ed era il segretario della federazione barese. Invitò il giovane Magnifico ad una riunione a Roma, dopo la quale, a sera ormai inoltrata, lo convinse a seguirlo all’ambasciata americana. Arrivati di fronte alla cancellata, mio padre tirò fuori una bandiera vietnamita. La teneva nascosta sotto la maglietta. Disse a Magnifico che dovevano arrampicarsi per appendere la bandiera. Il giovane era un po’ restio, ma poi obbedì. Ci riuscirono, ma ecco che la security si accorse degli intrusi e si diresse verso di loro, i quali scesero velocemente dal cancello. Mio padre però rimase con i pantaloni incastrati (bucati) da un’asta appuntita della cancellata. Magnifico era già sotto e lo invitava a far presto. Mio padre allora si buttò giù, ma provocando uno strappo ai suoi jeans. Riuscirono entrambi a fuggire, anche se papà correva con i pantaloni strappati.

Molti anni dopo, negli anni Ottanta, fu corealizzatore della marcia della pace Gravina – Altamura. Partecipò a una missione di pace in Israele al fianco dei pacifisti ebrei americani. Nel marzo del 1991, durante la prima guerra del Golfo, fece parte della delegazione di pacifisti che intendeva recarsi a Bagdad, ma furono fermati ad Amman. Tra gli altri delegati c’erano lo scrittore e giornalista Michele Gambino, il sociologo e attivista Alberto l’Abate e gli attivisti Anna Luisa Leonardi, Francesco Clemente e Giovanni Esposito.

La solidarietà e l’internazionalismo maturarono in lui nel corso della sua militanza socialista nei lontani anni Cinquanta, in particolare durante i viaggi e le partecipazioni ai vari festival della gioventù. Durante un viaggio diretto a Praga, in un vagone del treno, divenne amico della rivoluzionaria cubana Amparo Cespedes.

A questo proposito vorrei aprire una breve parentesi. Nel 2004 mi recai per la prima volta a Cuba. Mio padre mi diede il suo numero e così la andai a trovare. Nel suo salotto vidi una fotografia identica ad una che si trovava in casa di mio padre, che lo raffigurava in un vagone di un treno, all’età di forse 26 anni circa, assieme ad altri giovanotti tutti sorridenti ed entusiasti. Non ho mai saputo la storia di quella foto. Ma come mai una copia si trovava a Cuba a casa di Amparo? Amparo stessa mi svelò l’arcano. Fu proprio lei a scattare quella fotografia su un treno che andava a Praga, dove Amparo, giovane militante comunista, si recava per chiedere asilo politico. Negli ultimi anni della dittatura di Batista, fu incaricata del PC cubano (allora clandestino) di recarsi in casa dei fratelli Castro per convincerli ad entrare nel partito. La sorella di Fidel e Raul presero in disparte Amparo e le consigliarono di non mettere queste strane idee in testa ai suoi fratelli. Quando mi raccontò questo episodio ci mettemmo tutt’e due a ridere. Amparo sarà anche l’assistente di Che Guevara quando questi divenne ministro dell’economia. Me lo descrisse come severo, carismatico e bellissimo!

Molti anni dopo sarà proprio lei a chiedere a mio padre, ormai nei ranghi del PSIUP, di trasportare dei documenti riservati per il governo cubano. Il caro amico di mio padre, Roberto Barbera, mi ha raccontato però che mio padre perse il libretto sui cui arrivavano i compensi da parte dell’ambasciata cubana e così non raccolse mai il danaro a lui destinato. Barbera mi ha detto anche che quando la Cespedes stette male di salute, egli assieme a mio padre portavano pacchi di medicine al Vaticano da dove venivano spediti a Cuba.

Negli anni Cinquanta Nenni temeva una svolta autoritaria. Fu uno dei motivi che lo spinsero ad andare al governo con Moro. Nel 1973 con il rovesciamento drammatico in Cile del Presidente socialista Salvador Allende, Enrico Berlinguer temette una soluzione cilena anche in Italia. Infatti il piano eversivo “Solo” ed il tentativo di golpe da parte di Borghese risalgono rispettivamente al 1956 ed al 1970. Mia madre mi ha raccontato che mio padre una volta ricevette una telefonata da alcuni compagni che gli raccomandavano di non dormire nella stessa casa per i giorni seguenti. Non so però se fu ai tempi del Piano Solo o del golpe Borghese.

Mio padre, come tanti altri, passando dal PSI al PSIUP e poi dal PCI alla sinistra DS, non ha fatto altro che dimostrare un profondo travaglio e una turbolenza interiore. Essi furono al tempo stesso vittime ed artefici del male cronico della sinistra italiana: lo scissionismo. Eppure in tutto ciò c’era una coerenza ed una continuità: restare a sinistra, conciliare riformismo e radicalismo, negoziazione e lotta, marxismo e socialdemocrazia. Si trattava di arrivare all’obbiettivo della conquista sociale tanto con lo sciopero, scendendo in piazza, quanto entrando nelle istituzioni per varare nuove leggi e riforme. Mio padre partecipava al tempo stesso alle occupazioni delle terre e ai lavori in Consiglio regionale per varare la riforma agraria.

In conclusione, mi ritorna in mente un ricordo di mio padre che l’ex dirigente socialista pugliese Gianvito Mastroleo mi mandò non molto tempo fa per iscritto: «Giacomo, che mi fu amico e compagno, era un uomo che “credeva” in quello che diceva e faceva. Giacomo ha creduto nel Socialismo nelle diverse declinazioni organizzative. Fu nel PSI da giovane, poi nel PSIUP, poi nel PCI, alla fine non so più dove fosse. Penso che lui “credesse” nel Socialismo (maiuscola non a caso!) ma non l’abbia trovato dovunque l’avesse cercato».

A parziale consolazione, credo che mio padre abbia trovato e costruito il socialismo per lo meno nel suo quotidiano, nelle sue amicizie ed affetti, nei suoi gesti concreti. Un socialismo fatto in casa, una casa aperta a tutti e a tutte.

*Giovanni Princigalli ha militato nella FGCI e nel Movimento studentesco La Pantera (di cui fu uno dei delegati all’assemblea nazionale di Firenze). È stato un dirigente pugliese dell’ARCI e rappresentante degli studenti eletto in una lista di sinistra nel c.a. dell’Università di Bari e del consiglio di laurea di Scienze Politiche. Attualmente è membro della Red Unial che si occupa di cinema per l’infanzia e l’adolescenza in America Latina con sede a la Avana. infine è membro del partito di sinistra Quebec Solidaire e del partito socialdemocratico canadese il NPD.