CONSIDERAZIONI SUL SUPERBONUS

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

Un documento di ricerca della Fondazione Nazionale dei Commercialisti

Il governo sta usando strumentalmente gli effetti economici del superbonus per giustificarsi per una finanziaria che sarà cauta e non risponderà, se non per qualche piccolo risultato, alle grandi promesse fatte in campagna elettorale; ormai è la second legge di bilancio e, con le prospettive economiche dei prossimi anni, è difficile immaginare che le prossime legislature possano rispettare le promesse elettorali fatte. Giorgetti a proposito del superbonus ha parlato di “mal di pancia”, forse però il male maggiore di cui soffre è l’amnesia per il ruolo ricoperto come ministro nei governi che hanno gestito il provvedimento messo sotto accusa.

Ma vediamo alcune conclusioni tratte dai commercialisti nella loro ricerca:

Sulla base di tali dati, il modello CNDCEC-FNC stima una spesa indotta dal Superbonus 110% per gli anni 2021 e 2022, cioè investimenti aggiuntivi nel settore costruzioni e, per il sistema delle interconnessioni settoriali, in tutti gli altri settori dell’economia, pari a 96 miliardi di euro. A tale spesa indotta corrisponde un costo lordo per lo Stato, rappresentato dalle detrazioni fiscali maturate in aggiunta a quelle ordinarie, pari a poco più di 97 miliardi di euro. Di conseguenza, anche se in un orizzonte temporale più ampio corrispondente a circa un quinquennio, si stima un incremento di Pil di quasi 91 miliardi di euro e di gettito fiscale di circa 37 miliardi di euro. Pertanto, a regime, il costo netto per lo Stato del Superbonus 110% è stimato pari a 60 miliardi di euro e, quindi, nettamente inferiore all’incremento del Pil.

Quindi lo Stato sostiene un costo lordo di circa 97 miliardi che fanno aumentare il PIL di 91 miliardi e un gettito fiscale di circa 37 miliardi riducendo il costo netto per lo Stato a 60 miliardi. Il documento conclude che   “il costo netto per lo Stato del Superbonus 110% è stimato pari a 60 miliardi di euro e, quindi, nettamente inferiore all’incremento del Pil.”

A mio avviso dire che il costo netto è inferiore all’incremento del PIL è una conclusione deviante, nel senso che fa apparire un effetto positivo che non esiste, effetto positivo poi esaltato dal documento, quando aggiunge che:

“se si considera adeguatamente l’effetto di retroazione fiscale, l’impatto del Superbonus 110% sulle finanze pubbliche è addirittura positivo, nel senso che l’incremento di Pil generato comunque a debito, cioè facendo deficit, sarebbe superiore all’impatto sul debito, migliorando, in termini percentuali, il rapporto debito/pil”.

Ora in questa affermazione c’è una ipocrisia profonda che ignora che il miglioramento nel rapporto debito/pil non dipende dalla positività del provvedimento ma dalla situazione di partenza del rapporto stesso: ovvero il saggio migliora o peggiora non per la virtuosità del provvedimento ma dallo stato del rapporto debito/pil.

Si pensi a tre situazioni: a) il saggio debito /pil sta al 145%, ovvero 2755 di debito e 1900 di pil, b) rapporto debito/pil 100%, ovvero1900 di debito e 1900 di pil, c) rapporto debito/pil 50%, ovvero 950 di debito e 1900 di pil. Si faccia un provvedimento che comporta un aumento del debito di 100 e un aumento del pil di 100; avremo allor, nel primo caso un debito di 2855 e un pil di 2000 pari quindi ad un rapporto del142%; nel secondo caso un debito di 2000 ed un pil di 2000con un invariato rapporto pari al 100%; nel terzo caso avremo infine un debito di 1050 ed un pil di 2000 con un rapporto debito/pil pari a 52%.

Il saggio debito pil è migliorato chi aveva la situazione più pesante, non è mutato per chi aveva un rapporto pari al 100% ed è peggiorato per chi aveva il rapporto più virtuoso. La riduzione del tasso debito/pil nel nostro caso non dipende dalla virtuosità del provvedimento ma dal fatto che il nostro paese ha un alto rapporto debito/pil.

Le conclusioni del documento sono poi contestabili se si considera, come altri studi hanno fatto, un elemento concreto anche se di più problematica determinazione; si tratta cioè di scindere l’effetto del provvedimento determinando una discriminazione tra l’incremento degli investimenti che si sarebbero effettuati senza bonus da quelli che sono invece frutto effettivo del bonus: l’effetto positivo dell’incremento del pil andrebbe allora calcolato solo sugli investimenti che sono frutto effettivo del bonus; le conclusioni sarebbero allora di diverso tenore.

Il documento riporta inoltre gli effetti positivi sull’occupazione; si legge

 “ I dati Istat sul mercato del lavoro mostrano, nel triennio 2020-2022, sempre in termini cumulati, un incremento di occupazione di 353 mila unità nel settore delle costruzioni rispetto al calo generale di un milione e 289 mila occupati”.

E’ di una incredibile banalità riscontrare che quando lo Stato regala alle famiglie 97 miliardi di euro perché esse ristrutturino casa avendo un rimborso pari al 110% della spesa effettiva, ciò rilanci l’edilizia e quindi l’occupazione. Ci troviamo di fronte ad un fraintendimento del keynesismo, alla famosa affermazione della positività del pagare operai perché scavino e quindi ripristino una buca; Keynes con questa provocazione, affermava che, in presenza di non piena occupazione dei fattori della produzione, un incentivo statale metteva in moto la domanda aggregata e quindi scattava un moltiplicatore che, nel tempo, faceva mettere in moto più attività produttiva, più domanda, più investimenti, più occupazione fino all’auspicabile raggiungimento del pieno utilizzo dei fattori della produzione.

Il documento conclude con le seguenti considerazioni:

Considerando che gli effetti induttivi degli investimenti in edilizia della spesa agevolata dal Superbonus 110% hanno una valenza intersettoriale, oltre che intertemporale, tale per cui, oltre all’effetto diretto nel settore costruzioni, si genera anche un effetto indiretto negli altri settori dell’economia in base alle relazioni input-output, i dati Istat appena richiamati mostrano l’elevata capacità delle spese agevolate in edilizia di produrre effetti positivi sul Pil, sull’occupazione e sul bilancio pubblico. Pertanto, sebbene non si possa dire che le agevolazioni in edilizia si ripaghino totalmente, si può certamente asserire che tali agevolazioni hanno una elevata capacità di attivazione economica e fiscale con importanti ricadute in termini ambientali e occupazionali e, alla luce di quanto sopra evidenziato, anche sui fondamentali di finanza pubblica.

Ma una seria analisi sugli effetti del moltiplicatore keynesiano dovrebbe proiettare in un arco di anni a venire gli effetti moltiplicativi che il provvedimento preso potrà mettere in moto. Ma nel documento non si trova nulla di ciò; si trova una accurata fotografia di quel che è successo negli ultimi tre anni, ma non ci sono proiezioni atte a calcolare se auspicabilmente l’investimento effettuato potrà, nel ragionevole tempo di efficacia del moltiplicatore, ripagare l’investimento fatto, nei suoi risultati economici ed occupazionali.

Nel nostro caso, invece, il provvedimento ha messo sì in moto, nell’immediato (e come avrebbe potuto non farlo) l’industria edilizia e il suo indotto, ma nel tempo non ha lasciato alcun moltiplicatore, perché finiti gli incentivi le imprese non hanno nessun nuovo lavoro da fare, la loro produttività è crollata in quanto si sono inventate migliaia di nuove imprese edilizie senza professionalità e con manovalanza a bassa specializzazione chiuse alla fine degli incentivi; i nuovi assunti, quasi tutti a tempo determinato, alla fine dei lavori sono tornati ad essere disoccupati; l’improvviso aumento della domanda ha innestato un processo inflattivo difficile da sradicare. Insomma un ignorante keynesismo populista dopo un scioccante ed effimero boom, lascia strascichi di seria gravità.

Il nuovo governo, nel quinquennio della sua possibile vita, vedrà ridotte le sue entrate di imposte dalle banche (quelle che hanno comprato la maggior parte dei crediti di imposta) di circa ( 97/5) 19 miliardi ogni anno, contro un gettito normale di 32 miliardi, un’impresa ingestibile.       

Ora il bonus 110% ha speso, al netto del maggior introito ficale, 60 miliardi che sono il costo che la legge ha destinato alla riduzione dell’emissione di CO2. Questo è il rapporto costo/risultato, ovvero quanta CO2 produrremo in meno avendo speso quella cifra, che dovremmo prendere in considerazione; quanti altri miliardi dovremmo spendere per ridurre a zero l’emissione di CO2 prodotta dalle abitazioni; l’analisi del provvedimento dovrebbe quindi focalizzare questo rapporto e paragonarlo con investimenti alternativi, per esempio cosa sarebbe successo se quei 97 miliardi fossero, ad esempio, investiti in uno stabilimento per la produzione di pannelli fotovoltaici. Questo è un lavoro economico che ha un senso.