L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE, RIFLESSIONI DI MASSIMO CACCIARI

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

In due recenti interventi televisivi, il primo a proposito del salario minimo ed il secondo a proposito dell’IA, il filosofo Massimo Cacciari ha affrontato un tema di rilevanza storica per il futuro dell’umanità. Nella prima intervista Cacciari riteneva che l’argomento del salario minimo sia un piccolo obiettivo di carattere difensivo che, al momento, ha il solo pregio di costituire un campo comune delle opposizioni (qualcosa di simile ho scritto nel mio pezzo, apparso su questo sito, nel quale affermavo di non essere convinto della questione dei 9 euro). Nella seconda intervista, il filosofo, poneva due questioni importanti: di fronte all’IA che rischia di poter cancellare in un futuro non lontano dai 4 agli 8 milioni di posti di lavoro:

 a) non si pensi in alcun modo di porre freni o limiti allo sviluppo della scienza che è il cammino dell’uomo, la sua missione e la sua ragione di essere;

 b) si pensi piuttosto alla funzione della politica, quella con quattro P maiuscole, che di fronte ad un prodotto della scienza che rende obsoleto e antieconomico il lavoro comandato, e che se da una parte rischia di dividere l’umanità in due razze: quella tecnologica e quella esclusa dalla tecnologia destinata ad essere ridotta ad una specie di nuova plebe, dall’altra potrebbe trasformare umanità eliminando la schiavitù di enormi masse di popolazione costretta a vendere il suo lavoro, gran parte della sua vita, per poter sopravvivere.

La tematica proposta dal filosofo Cacciari ci pone veramente di fronte a scelte politiche di enorme portata, ad una di quelle scelte che segnano il futuro dell’umanità e per le quali varrebbe la pena di dedicare tutte le forze per un progresso autentico dell’umanità.

Quello che mi perplime tuttavia in questo ragionamento è il fatto che questa tematica è già contenuta nel programma steso da Socialismo XXI a Rimini nel 2019, ragionamento che non è stato sviluppato né approfondito eppure esso era, ritengo, ben argomentato.

Riporto una parte del capitolo “economia e lavoro” di quel programma:

Economia 4.0 e Lavoro

I processi di automazione e robotizzazione dell’economia ci pongono di fronte ad un capitalismo che si appropria  del knowledge oggi risiedente nelle nozioni che stanno dietro ai processi di robotizzazione, automazione, intelligenza artificiale.

Una forza Socialista nel XXI secolo deve prevedere una socializzazione dei frutti di questi processi di automazione e robotizzazione, poiché è il pubblico tramite la nostra scuola, la nostra università, il nostro sistema di ricerca a permettere che si possa sviluppare in pieno una simile evoluzione nel nostro sistema di produzione. 

Occorre prevedere modelli che incentivino questa socializzazione dei frutti della produzione tramite un moderno piano Meidner per il lavoro.

Allo stesso tempo, dobbiamo costruire una forza politica capace di essere strumento non di mera rappresentanza, costruendo un nuovo patto tra coloro che producono ricchezza tramite nell’economia reale, contrapponendolo al patto tra rendita e finanza.

Dal mezzo di lavoro all’automazione

L’introduzione in atto ormai da 40 anni dei mezzi di produzione automatizzati ha mutato profondamente il “modo di produzione” riducendo il tempo di lavoro necessario per la produzione dei beni e servizi, in cui il ruolo dei lavoratori è quello di supervisore e controllore dell’operato delle macchine stesse.

In questa fase assistiamo ad una grande contraddizione: il prodotto del cervello sociale, ovvero il risultato dell’azione delle forze produttive organizzate, viene utilizzato per ridurre i tempi di lavoro necessario.

Oggi il meccanismo è a grandi linee il seguente:

la collettività, tramite fiscalità, finanzia il sapere generale, che a sua volta crea nuove tecnologie che vengono utilizzate per ridurre il tempo necessario per la produzione. Ma la riduzione del tempo necessario per la produzione significa meno posti di lavoro, più disoccupazione: in sintesi la collettività finanzia la riduzione dei posti di lavoro, cui pure ad essi ambirebbe.

Qui si misura la capacità dei governanti di predisporre un sistema economico, produttivo e sociale consono alle nuove esigenze. Nel concreto oggi la mancata corrispondenza delle competenze dell’aspirante lavoratore ed i bisogni del datore di lavoro è una contraddizione che l’attuale politica è incapace di affrontare.

E ciò nel tempo in cui la tecnologia 5G, alla base dell’invasione delle applicazioni IOT (internet of things), è acuita dalla lotta concorrenziale tra Stati Uniti e Cina per l’egemonia economica nel XXI secolo, con il restante mondo che arranca per stare alla pari e non essere colonizzato dalla scienza altrui.

Una economia completamente robotizzata

Può sembrare una curiosità da fantascienza, quella di immaginarsi una economia completamente robotizzata, in cui tutto è prodotto (anche meglio) nelle quantità (anche maggiori) oggi prodotte, senza l’intervento del lavoro (immediato) umano, nemmeno di quello digitalizzato e professionalizzato in quanto le macchine sono in grado di riprodurre macchine ancor più intelligenti.

Di fronte ad un simile nuovo modo di produzione sorgono spontanee alcune domande:

► siamo ancora in presenza di un modo di produzione industriale?

► quale modello redistributivo può essere coerente con questo nuovo modo di produzione?

Nel nuovo modo di produzione, i possessori dei mezzi di produzione non potranno ignorare a lungo che esiste una massa di ESCLUSI dall’innovazione, che, espulsi dal mondo del lavoro immediato ed in mancanza di un reddito purchessia, costituiranno una massa i cui bisogni di sopravvivenza dovranno in qualche modo essere soddisfatti, al fine di non ingenerare processi irrisolvibili se non mediante guerre.

Ecco che allora nasce la necessità di redistribuire il prodotto del processo produttivo in modo adeguato a non mettere in crisi il modo di produzione stesso.

Una soluzione socialista

Ci troviamo, come abbiamo visto, di fronte ad una prospettiva preoccupante cui i socialisti sono chiamati a dare una risposta per evitare il pericolo di un neo-schiavismo; una volta ancora ci troviamo di fronte all’alternativa: socialismo o barbarie.

Il percorso da intraprendere sin da ora, da subito è quello della socializzazione dei frutti della produttività. Ribadiamo che occorre partire da subito perché in caso contrario il processo di totale appropriazione del sapere sociale da parte del nuovo modello capitalistico ci porrà di fronte al fatto compiuto, rendendo sterile ogni tentativo tardivo di modificare il processo.

La socializzazione dei frutti della produttività inizia dalla presa di coscienza del fatto che la tecnologia (la digitalizzazione, la robotizzazione, l’internet of things, i big data, l’intelligenza artificiale, il machine learning etc.) è un prodotto sociale, è il frutto del sistema scolastico, delle università, dei centri di ricerca, è cioè il frutto di un investimento sociale finanziato con i soldi dei contribuenti.

Val la pena allora riportare l’art.42 della nostra Costituzione “La proprietà è pubblica o privata. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Rifacendosi al pensiero di Paolo Sylos Labini e di James Meade proponiamo una possibile socializzazione dei mezzi di produzione, quale presupposto per un nuovo modello redistributivo in cui il tempo sociale, liberato dal tempo necessario per la produzione (liberazione dal lavoro), viene impiegato per fini più consoni alla natura umana quali lo studio, la cultura, la crescita intellettuale, lo svago, l’arte, in una parola un nuovo umanesimo.

Come primo passo

Gli incentivi che oggi non hanno vincoli di sorta vanno trasformati in apporto di capitale sociale nelle imprese 4.0, mediante un Fondo di Investimento Sociale che rappresenti la proprietà sociale sui mezzi di produzione generati dal sapere sociale. Con questo sistema l’impresa ha il vantaggio di godere di un incentivo che non va al capitalista sotto forma di maggior dividendo, ma ad incrementare il capitale sociale di un nuovo socio rappresentato dal Fondo di Investimento Sociale.

Tale Fondo sarà alimentato da ogni beneficio fiscale quale la decontribuzione, i bonus, le defiscalizzazioni etc. così come potrebbe essere finanziato in occasione dei rinnovi contrattuali prevedendo clausole che destinano nuove risorse ad esso. Quest’ultimo punto è estremamente importante per coordinare la nostra proposta con le forze sindacali, rendendole così partecipi nella politica della produttività.

Altra fonte di finanziamento potrebbe essere una nuova imposta di successione rivisitata anche alla luce dell’insegnamento di Luigi Einaudi per quanto riguarda l’eguaglianza dei punti di partenza.

L’idea che proponiamo non è poi così nuova, se vogliamo trovare un precedente cui, lo confessiamo, ci siamo riallacciati, è il Piano Meidner de “Capitali senza padroni”.