di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |
La faccenda Intel offre molti punti di riflessione sul come si coniuga oggi lo sviluppo economico, il caso INTEL, come sta reagendo l’UE, come si muove il governo italiano, come reagiscono le forze politiche.
1 – Come funziona lo sviluppo economico:
L’investimento in tecnologia è decisamente l’elemento economico che differenzia le economie che guardano al futuro, che hanno una visione a lungo termine da quelle che perdono progressivamente capacità di competizione. In questo filone di sviluppo economico assume sempre più importanza il ruolo dello Stato, come ci dimostra dalle sue pagine de “Lo Stato innovatore” Mariana Mazzucato. E’ indubbio che Cina, USA siano all’avanguardia nel ruolo che lo Stato si pone come soggetto innovatore che investe nella ricerca, area che l’impresa privata, intrisa di shortismo, volentieri delega allo Stato facendosi invece avanti, anche tramite i venture capital, appena i risultati della scoperta cominciano a far individuare aree di profitto. I miliardi investiti dallo Stato USA (in particolare con le istituzioni del pentagono) o dallo Stato cinese (tramite il partito comunista) sono una forte componente dei bilanci di quegli stati, incomparabili con quelli investiti dagli altri paesi e soprattutto dall’Italia.
La filosofia della libera concorrenza, del libero mercato, dello Stato come incompatibile con le scelte economiche è da tempo una propaganda che vegeta nel senso comune frutto dell’egemonia culturale del post crollo del muro di Berlino. Altro che “non dare fastidio a chi produce”, la funzione dello Stato è richiesta di prendersi l’iniziativa di guardare avanti nel tempo, di individuare la strada che bisogna perseguire per attuare un progetto completo e globale, di essere il soggetto programmatore che sostituisce la razionalità alla decrepita mitologia del profitto; ridare primato ai valori d’uso rispetto ai valori di scambio.
2 – Il caso INTEL
Riprendo da un post di Michele Perrone, alcune note sul caso Intel che “lo scorso giugno ha annunciato che aprirà la sua prima fabbrica in Polonia. È stato poi il turno della Germania, che non soltanto sarà la nazione dove sorgerà il primo impianto europeo di TSMC, ma anche quella dove Intel aprirà la sua prima fabbrica, utilizzando processi produttivi di ultimissima generazione. C’è poi la Francia, dove dovrebbe sorgere un nuovo centro di Ricerca e Sviluppo che renderebbe la nazione la sede europea di Intel per High Performance Computing e intelligenza artificiale. Ultima ma non ultima l’Irlanda, dove il chipmaker statunitense espanderà i suoi impianti per portare nel continente il suo processo Intel 4. In tutto ciò, che fine ha fatto l’Italia? (…).
Le ultime notizie ufficiali sulla situazione fra Intel e Italia risalgono a giugno, quando il presidente del Veneto Luca Zaia affermava che il Veneto fosse pronto ma che fosse necessario “attendere la decisione di Intel, non su dove lo farà ma se lo farà davvero“. E dopo mesi di silenzio, si rischia la fumata nera per l’ambizioso progetto in casa italiana.(…)
Lo snodo cruciale sembrerebbe la componente economica. La trattativa partì nel 2022, quando il governo Draghi mise sul piatto 4,15 miliardi di euro tramite il Decreto-Legge 17 dell’1 marzo 2022. Intel annunciò di conseguenza un “potenziale investimento fino a 4,5 miliardi” per una fabbrica di packaging di nuova generazione che coinvolgerebbe “circa 1500 posti di lavoro in Intel e altri 3500 posti di lavoro fra fornitori e partner“.
Con il passaggio al governo Meloni, la situazione andò in stallo: il governo italiano avrebbe dovuto garantire il 40% dell’investimento di Intel, ma in questi giorni è arrivato il Decreto-Legge 104 dell’agosto 2023, che abbassa i fondi della legge Draghi da 4,15 a circa 2/2,5 miliardi.(…)
Non resta che attendere la pubblicazione del Piano nazionale della Microelettronica, che secondo il ministro Adolfo Urso “sarà alla base del Chips act italiano“, ma parliamo comunque di cifre insufficienti che potrebbero non soddisfare i requisiti di Intel. Nel suo investimento in Germania, Intel ha richiesto e ottenuto un aumento dei sussidi da 6,8 a 9,9 miliardi.”
3 – La posizione dell’UE
Per aiuto di Stato si intende qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche a favore di alcune imprese o produzioni che, attribuendo un vantaggio economico selettivo, falsa o minaccia di falsare la concorrenza.
Tranne in alcuni casi, gli aiuti di Stato sono vietati dalla normativa europea e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che disciplina la materia agli articoli 107 e 108.
Gli aiuti di Stato (concessi per via amministrativa o per legge) possono determinare distorsioni della concorrenza, favorendo determinate imprese o produzioni. Possono essere compatibili con il Trattato di Lisbona, solo se realizzano obiettivi di comune interesse chiaramente definiti.
Gli aiuti sono ammessi quando ad esempio (articolo 107/2 del Trattato):
● consentono di realizzare obiettivi di comune interesse (servizi di interesse economico generale, coesione sociale e regionale, occupazione, ricerca e sviluppo, sviluppo sostenibile, promozione della diversità culturale, ecc.);
Indubbia la strategicità dell’investimento nei chips, sia per l’Europa che diminuisce la sua dipendenza da Taiwan e dalla Cina ma aumenta quella verso gli USA, ma la possibilità pratica di erogare detti aiuti dipende evidentemente dalle disponibilità di bilancio dei vari paesi europei; la normativa europea non può non favorire de facto paesi come la Germania, che ha aumentato il suo aiuto a 10 miliardi di €, rendendo più problematica la situazione di paesi con bilanci stitici come quello italiano.
Si noti che questi aiuti sono, almeno questo mi risulta, esentasse, essi rappresentano cioè componenti positivi del reddito che vengono tuttavia esclusi dal risultato economico imponibile ai fini fiscali. L’aiuto è quindi doppio: ti regalo soldi e ti esento da imposte il regalo erogato.
Peraltro l’European Chips Act di Intel prevede espressamente di utilizzare tutti gli aiuti fiscali e non che ciascun stato può offrire. In un post di Hendrik Bourgeois, vicepresidente degli affari governativi europei di Intel, afferma infatti che “Oggi abbiamo visto cosa può succedere quando grandi idee e buoni politici si uniscono”, ed ha aggiunto che gli aiuti di Stato (o sussidi se preferite), sono un elemento centrale per concretizzare l’EU Chips Act e senza il quale Intel non potrebbe procedere con il suo progetto.
In particolare, Intel si dice felice della definizione di una tempistica di sei mesi per l’approvazione degli aiuti di Stato e di procedure rapide per le autorizzazioni nazionali.
Che l’aiuto sia erogato ad una impresa europea o extra-europea non sembra costituire motivo di discriminazione costituendo una attrattiva per gli investimenti esteri in Europa e una attività di notevole interesse strategico. Rimane comunque una netta scelta geopolitica nell’attuale fase degli equilibri mondiali.
Strategicamente quindi il Chips act è fondamentale per l’innovazione tecnologica che sta investendo tutta la metodologia produttiva mondiale, esso è parte di un arroccamento geopolitico teso a diminuire la dipendenza dalla Cina e da Taiwan, aumentando la solidarietà all’interno del blocco occidentale quasi un inizio di guerra fredda commerciale tra i due blocchi, senza dimenticare il nuovo assetto mondiale dopo l’allargamento dei Brics a 6 importanti paesi del mondo dei non-allineati.
4 – E il governo italiano?
Il governo Draghi aveva subito individuato l’importanza di essere parte attiva nel Chips Act Europeo, aveva stanziato più di 4 miliardi per dare sussidi all’Intel, ma recentemente, come abbiamo visto, lo stanziamento è stato dimezzato in previsione della elaborazione del bilancio dello stato, rischiando che Intel, che ha recentemente ottenuto dalla Germania un contributo quasi raddoppiato (da 6 a 10 miliardi), rinunci all’investimento nel nostro paese.
Immaginarsi poi se il sussidio che noi dovessimo riconoscere al gigante statunitense contenesse clausole tese a difendere i fabbisogni europei verso quelli statunitensi: penso ad esempio ad un aumento del fabbisogno statunitense che potrebbe essere soddisfatto diminuendo la quota dei chips prodotti in Italia (in Europa), oppure ad un risveglio del nazionalismo statunitense del tipo dell’IRA (inflation reduction act) che usasse i chips come strumento per sbilanciare a favore degli states la competitività del settore.
Ma il vero dilemma è se sia più opportuno far decadere l’accordo col colosso statunitense o aumentare ulteriormente la nostra dipendenza dal potere degli USA. La strada imboccata dalla Meloni sembrerebbe orientarsi sulla prima soluzione, non tanto per opporsi al servilismo verso gli Stati Uniti, quanto per miseri calcoli di bilancio. Infatti se avesse guardato agli interessi del nostro paese senza assoggettarsi ulteriormente allo strapotere statunitense, il governo avrebbe potuto dirottare la cifra destinata ad Intel al progetto catanese dell’italo-francese STMelectronics.
Rischiamo così di divenire carenti di mezzi produttivi fondamentali per il futuro delle nostre industrie condannate così ad un nanismo subalterno. L’aver scelto con l’obiettivo della flat tax di puntare su un assetto produttivo inadatto alle sfide mondiali, su un ceto di imprese e lavoro autonomo evasione-dipendenti costituisce, a mio avviso, la scelta più preoccupante dell’attuale governo italiano.
5 – E le forze politiche dell’opposizione?
Leggendo i giornali ed i dibattiti di questi giorni non mi pare che questo tema sia stato sollevato da nessuna forza politica, pur essendo stato affrontato dai media.
Al momento di scrivere è tutto fermo per quanto riguarda l’Italia, dove il piano prevedeva un impianto dedicato al confezionamento. In pratica, l’idea di Intel è distribuire il più possibile il processo produttivo, così da coltivare buoni rapporti con più Stati, ma soprattutto diversificare le fonti dei contributi.
È questo un punto sul quale dalle nostre parti non c’è molto ascolto. Dopo tre giorni in Europa passati appunto a mettere a punto di persona i dettagli sugli altri progetti, l’amministratore delegato di Intel Pat Gelsinger e il suo staff sono tornati in sede senza incontrare nessun esponente del Governo in Italia, e senza neppure programmi per il futuro. Come riporta però il Corriere della Sera online, il Ministero delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, fa sapere come i colloqui in realtà continuino, anche se nella massima riservatezza. A parte il chiedersi perché, vista la trasparenza delle operazioni condotte nel resto della UE, ufficialmente resta la disponibilità nel mettere a disposizione di Intel tre miliardi di euro, a fronte di un investimento di dieci miliardi. D’altra parte, non è un segreto invece lo scarso entusiasmo del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per la natura dell’impianto, considerato meno prestigioso rispetto agli altri.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.