DELEGA AL GOVERNO PER LA RIFORMA FISCALE


di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

Mi sono letto le trenta pagine di delega di quella che si autodefinisce riforma fiscale che trovo criticabile per le ragioni che cerco di condividere nei paragrafi seguenti.

Imposizione e welfare

La prima riflessione riguarda quanto riportato all’art.2 quando si afferma che tra gli obiettivi della riforma esiste la finalità di “stimolare la crescita economica attraverso (…) la riduzione del carico fiscale”. In questa impostazione, secondo la quale la riduzione del carico fiscale stimola la crescita economica, c’è il consolidato pregiudizio dell’imposta negativa in sé, vale a dire l’imposta grandine che poca o tanta che sia è sempre un danno; questa impostazione porta allo slogan “meno tasse per tutti” che affascina tanti politici e non solo di destra. Altra era la visione di chi vedeva nelle imposte una cosa bellissima in quanto strumento per attuare collettivamente ciò che da soli non si è in grado di attuare.(Non penso certo al ponte sullo stretto di Messina)

Il pregiudizio della negatività delle imposte tace sul fatto che una minor imposizione si traduce, quasi automaticamente, in un minor finanziamento delle politiche di welfare, di quella giustizia sociale che caratterizza lo stato sociale moderno.

Flat tax e progressività

L’art. 5, a proposito di imposta sul reddito delle persone fisiche IRPEF, preannuncia una graduale riduzione della stessa “nel rispetto del principio di progressività e nella prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica”.

Ora è evidente la contraddizione palese tra il rispetto della progressività e l’obiettivo dell’aliquota unica; è una contraddizione evidente che solleva una questione di incompatibilità con l’art. 53 della Costituzione. E non mi lascio incantare dal fatto che una quasi-progressività possa essere ottenuta adottando una no tax area uguale per tutti.

La transizione all’aliquota impositiva unica si concretizza nella riduzione degli scaglioni e, quindi delle aliquote impositive, da quattro a tre (recentemente sono state ridotte da cinque a quattro, all’origine gli scaglioni erano una quarantina e l’aliquota massima era del 72%), non vedo in questa rimodulazione nessun elemento rivoluzionario, ma soltanto un ulteriore passo verso la definitiva flat tax.

La difesa del principio costituzionale della progressività (riservandomi di poter argomentare sulle basi teorico filosofiche che stanno dietro a questo principio) non sta, a mio parere, tanto nel contrastare la riduzione degli scaglioni (personalmente sono favorevole ad una formula matematica che renda superflui gli scaglioni) quanto ad estendere la progressività a tutte le fattispecie impositive. Mi riferisco a tutte quelle imposte sostitutive che hanno sottratto alla progressività tutti i redditi diversi dai redditi di lavoro e dalle pensioni.

Se esiste la necessità tecnica (per competere con la fiscalità internazionale) di attuare la dual income tax, la si può attuare prevedendo per i redditi diversi da quelli di lavoro, una imposizione, anche patrimoniale, progressiva.

Sempre all’art.5 segnalo al punto 2.4 la proposta di un’altra imposta sostitutiva di IRPEF e addizionali, che vada a colpire un imponibile pari alla differenza tra il reddito del periodo e quello più alto tra quelli dei tre anni precedenti, una specie di premio al merito di chi riesce a guadagnare di più, un elemento meritocratico che confligge con la solidarietà sposando appieno la competitività neoclassica.

Equità orizzontale

Si intende per equità orizzontale quel principio che richiede che i redditi di pari ammontare paghino lo stesso importo di imposte indipendentemente dalla natura del reddito guadagnato.

Ricordo che i redditi da titoli di stato pagano il 12,5% flat, quelli da locazione di immobili pagano il 21% flat, se le locazioni sono concordate pagano il 10% flat, i forfettari fino a 85.000€ di fatturato pagano il 15% flat, i forfettari esordienti per i primi 5 anni pagano il 5% flat; evidentemente il problema esiste ma è ancora più esteso se pensiamo ai redditi delle multinazionali, a quelli agricoli etc.

Ma ciò che è più significativo riguarda il tema per il quale è fallita la riforma fiscale impostata dal governo Draghi; come ricorderete il tema dei redditi da fabbricati da rivedere con una revisione totale delle rendite catastali fu quello cui si oppose la Lega ottenendo la precisazione che l’eventuale revisione non avrebbe avuto alcun riflesso fiscale. Ebbene l’art 5 alla lettera c prevede:” per i redditi da fabbricati la possibilità di estendere il regime della cedolare secca agli immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo”. Quindi silenzio assoluto, anzi estensione delle iniquità orizzontale.

IRES e IRAP

L’art. 6 prevede una riduzione dell’aliquota IRES (imposta sui redditi societari) mentre l’art.8 prevede un graduale superamento dell’IRAP (imposta regionale delle attività produttive). La graduale eliminazione dell’IRAP da attuarsi con priorità per le società di persone e per le associazioni (ma successivamente anche per le società di capitale) andrebbe sostituita con una sovrimposta all’IRES. Ne deriva un alleggerimento dell’imposizione complessiva delle due imposte.

Il superamento dell’IRAP ha creato molta preoccupazione per il fatto che quell’imposta regionale è tra le maggiori fonti di finanziamento della spesa sanitaria, opportunamente il testo della delega prevede che il superamento dell’IRAP “ deve comunque garantire il finanziamento del fabbisogno sanitario e il gettito in misura equivalente per le regioni che presentino squilibri di bilancio sanitario”.

Sarà interessante vedere come i decreti delegati riusciranno a coniugare questa serie di contraddizioni.

IVA

L’IVA, come noto, è una imposta europea e la delega prevede infatti di adeguarsi ulteriormente alla normativa europea.

Un punto che non è coperto è l’idea di avere una aliquota IVA unica che permetta di evitare la grande evasione attuata giocando con le aliquote all’acquisto e quelle alla vendita. Questo suggerimento nasce da V.Visco che già a suo tempo aveva proposto, a scopo antievasivo, l’uso della fatturazione elettronica finalmente recepita dal governo Renzi. Molte altre proposte antievasione sono state prospettate da Visco, ma la riforma non pare volerle prendere in considerazione.

L’aliquota unica penalizzerebbe i beni che oggi scontano le aliquote IVA più basse, ma si potrebbe pensare alla proposta fatta da Nicola Scalzini di agevolare i poveri ad esempio con una carta come ad esempio si fa in Danimarca ove esiste una aliquota unica.

EVASIONE

Per quanto riguarda l’evasione (e l’elusione) che costa alle casse dello stato circa 100 miliardi ogni anno la legge delega prevede al punto 3 del paragrafo e): “perseguire la riduzione dei fenomeni di evasione e di elusione fiscale massimizzando i livelli di adempimento spontaneo dei contribuenti”.

Evito ogni commento.

Viene anche previsto al punto 2 del paragrafo f: “per i soggetti di minore dimensione l’introduzione del concordato preventivo biennale a cui possono accedere i contribuenti titolari di redditi di impresa e di lavoro autonomo”.

Una specie di resa del fisco che scende a trattativa con la categoria responsabile dell’evasione per il 60% dei redditi loro attribuibili, fonte di discrezionalità e di attività corruttive.

E RISCOSSIONE

Negli anni duemila il fisco ha accumulato un monte imposte dichiarate o accertate ma non riscosse pari a circa mille miliardi (metà del debito pubblico); la riscossione è forse il punto più disastrato della nostra amministrazione e giustamente l’art. 18 contempla le riforme in questo campo.

Tra gli altri provvedimenti segnalo che per evitare che si accumulino imposte non riscosse a livelli inaccettabili il punto 2 prevede: “il discarico automatico, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento delle quote non riscosse”.

Anche qui evito ogni commento.

LA FINE DEL GLOBALISMO

L’attuale fase economica mondiale riscontra la fine del globalismo; da una fase in cui “dove transitano le merci non transitano i soldati” si è passati alla guerra economica alla cui base sta la de-dollarizzazione. Il primo settore a risentire di questa rottura è stato il settore energetico dove riscontriamo la fine dell’importazione del gas dalla Russia e il passaggio al gas liquido con la conseguenza che il costo energetico della produzione europea è cinque volte più alta del costo energetico dei produttori USA. A fianco riscontriamo che la Cina acquista petrolio dai paesi arabi pagando in reninmbi (esempio lampante di de-dollarizzazione). Se ciò non bastasse Biden con l’IRA Inflation reduction act, reintroduce i dazi contro le importazioni di auto da tutto il mondo e l’Europa risponde modificando le norme sugli aiuti di stato.

La costituzione di un fondo per contrastare l’offensività dell’azione statunitense è sicuramente meglio di una revisione della normativa degli aiuti di stato che penalizzerebbe i paesi con alto debito pubblico come il nostro, ma la posizione tedesca sembra destinata a prevalere.

Sul come comportarsi in questo frangente la riforma fiscale non dice nulla, si intuisce che si vorranno rivedere i 120 miliardi spesi ogni anno in “tax expenditures” che costituiscono la vera gestione corporativa del nostro fisco, ma contemporaneamente si insiste all’art. 3 a prevedere come strategia fiscale “la concessione di incentivi all’investimento”.

Su questo fronte, fermo restando il consenso al rafforzamento delle imprese con missione alla Mariana Mazzucato, rimane la mia ferma convinzione che questi aiuti siano dati sotto forma non di regalo al capitale, ma come partecipazione azionaria della comunità dei contribuenti ( e ciò a partire dagli incentivi Calenda). Si tratta infine di riconoscere alla comunità dei contribuenti gli stessi diritti che spettano ad un investitore terzo, operazione che qualcuno potrebbe interpretare come un inizio di socializzazione dei mezzi di produzione.