FASCISMO E INCOMPATIBILITA’ COSTITUZIONALE

di Franco Astengo| La derubricazione a “Italiani” dei martiri delle Fosse Ardeatine (senza nemmeno la capacità di trovare la scorciatoia di “patrioti”) rappresenta una sorta di punto terminale nella determinazione di una evidente incompatibilità costituzionale della presidente del Consiglio e del suo partito. Si tratta di un tema che nella sua gravità era già evidente da tempo e che l’insieme delle forze politiche non ha saputo o voluto affrontare con sufficiente determinazione nel corso della campagna elettorale. Adesso si tratta di porre una vera e propria “questione costituzionale” al centro del dibattito politico e culturale, aggregando attorno ad esso le forze necessarie per una incisiva opposizione nel Parlamento e nel Paese. Occorre ricordare le ragioni fondamentali per una iniziativa di questo tipo, partendo da una seria valutazione sulle origini ideologiche del partito di maggioranza relativa e dalla riaffermazione della natura della Costituzione Italiana dal punto di vista delle idealità. La Costituzione italiana è una costituzione compiutamente antifascista, non perché è stata scritta da antifascisti desiderosi di vendicarsi dei lutti subiti; al contrario per voltare definitivamente pagina rispetto alla triste esperienza del fascismo e della guerra. I costituenti sentirono il bisogno e seppero farlo, di rovesciare completamente le categorie che avevano caratterizzato il fascismo. Come il fascismo era alimentato da uno spirito di fazione e assumeva la discriminazione come propria categoria fondante (sino all’estrema abiezione delle leggi razziali), così i costituenti hanno assunto l’eguaglianza e l’universalità dei diritti dell’uomo come fondamento del loro ordinamento. Come il fascismo aveva soppresso il pluralismo, perseguendo una concezione totalitaria (monistica) del potere, così i costituenti hanno concepito una struttura istituzionale fondata sulla massima distribuzione, articolazione e diffusione dei poteri. Come il fascismo aveva aggredito le autonomie individuali e sociali, così i Costituenti le hanno ripristinate, stabilendo un perimetro invalicabile di libertà individuali e di organizzazione sociale. Come il fascismo aveva celebrato la politica di potenza, abbinata al disprezzo del diritto internazionale e alla convivenza con la guerra, così i costituenti hanno negato in radice la politica di potenza, riconoscendo la supremazia del diritto internazionale e ripudiando le nozze antichissime con l’istituzione della guerra. I principi fondamentali della Costituzione sono antitetici rispetto a quelli proclamati o praticati dal fascismo. L’osservare fin qui spirito e lettera della Costituzione ha reso fin qui impossibile ogni forma di “dittatura della maggioranza”. Proprio per questo motivo si reiterano i tentativi per modificarla che ancora risulteranno all’ordine del giorno: la Costituzione è vissuta come un impaccio, una serie di vincoli fastidiosi, di cui sbarazzarsi per restaurare l’onnipotenza dei decisori politici ed è questo il punto che ci divide da chi non può, per propria cultura intrinseca personale e collettiva, dichiararsi antifascista. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL PIANO DI PACE CINESE (PARTE 3)

Continua l’esame del documento di pace cinese. 3. Cessare il fuoco e smettere di combattere. Non ci sono vincitori nelle guerre di conflitto. Tutte le parti dovrebbero mantenere razionalità e moderazione, non aggiungere benzina sul fuoco, non intensificare i conflitti, impedire che la crisi ucraina si aggravi ulteriormente o addirittura vada fuori controllo, sostenere Russia e Ucraina affinchè si incontrino, riprendere il dialogo diretto non appena possibile, promuovere gradualmente l’allentamento e il rilassamento della situazione e raggiungere infine un cessate il fuoco globale. L’auspicio contenuto nel terzo punto sembrerebbe essere l’auspicio di tutti, ma non lo è; mi riferisco alle parole “non aggiungere benzina sul fuoco, non intensificare i conflitti, impedire che la crisi ucraina si aggravi ulteriormente o addirittura vada fuori controllo” e penso alla recente notizia secondo la quale la Gran Bretagna starebbe inviando proiettili all’uranio impoverito. Faccio una domanda ingenua: la Gran Bretagna avrà consultato gli Stati Uniti prima di prendere questa iniziativa? E secondo voi gli USA che hanno risposto? E continuo; la Gran Bretagna avrà consultato il nostro governo (beh non esageriamo) avrà consultato l’Unione Europea? E per finire: quale sarà la reazione di Putin? Dall’ovvia risposta a queste domande discende l’urgenza che l’Europa, o almeno l’Italia, si faccia capofila della de-escalation, per esempio inviando in Ucraina (così come diceva il primo decreto del governo Draghi) non materiali bellici ma ospedali da campo, aiuti alimentari, medicinali, tende, generi di conforto, proposte di cessate il fuoso e campane pronte ad annunciare la pace. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

TAVOLO DI CONCERTAZIONE

COMUNICATO STAMPA Si è costituito a Roma oggi 25 marzo 2023 il TAVOLO NAZIONALE DI CONCERTAZIONE con il precipuo fine di costruire un nuovo soggetto politico di ispirazione socialista, percorso che prevede incontri, dibattiti, iniziative pubbliche, finalizzati alla nascita di un grande partito della sinistra in Italia. L’obiettivo comune è quello di provare a costruire una realta’ per il Socialismo in Italia, aperta e inclusiva, che racchiuda in un’unica prospettiva lavoro, giustizia sociale, ecologia. I Firmatari SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

È CHIUSA LA PARTITA DI UNA STRATEGIA COMUNE DELLA SINISTRA?

di Riccardo Lombardi | Il compagno Giorgio Napolitano sul!’ «Unità» del 17 scorso invita, nei modi civili che gli sono consueti, ad un confronto del quale importa, credo, cercare di capire finalità e limiti. Ma anch’io, come egli fa, vorrei «innanzitutto sbarazzare il terreno, se possibile, da inesattezze ed equivoci». Inesattezza ed equivoco sarebbe per Napolitano l’attribuzione da me fatta al PCI di un interesse a che il PSI si dichiari disponibile «per l’appoggio a un centro-sinistra pallido o sanguigno che sia». Io ho tratto (e continuo a trarre) tale giudizio da una considerazione assai semplice che riassumo come segue: primo punto: il PCI a conclusione o quasi delle trattative per il nuovo governo DC -PSDI-PRI ha deciso e preannunciato, come è suo diritto, l’opposizione. Secondo punto: al tempo stesso il PCI dichiara di ritenere inutile e dannoso lo scioglimento anticipato del Parlamento e preannuncia, per facilitarne la continuità, una opposizione «costruttiva e responsabile» al governo che si formasse. Terzo punto: il solo modo politicamente praticabile perché quel nuovo governo si formi evitando le elezioni anticipate è il sostegno diretto o indiretto, col voto o almeno con l’astensione, del Partito Socialista; su di ciò non esistono dubbi, dato che il PSI si è unanimemente dichiarato disponibile a sostenere solo un governo detto di unità nazionale. Conclusione: passare all’opposizione (vale a dire rendere impossibile un governo o una maggioranza di unità nazionale) e nello stesso tempo deprecare lo scioglimento delle Camere sono per il PCI due obiettivi contradittori che possono essere resi conciliabili esclusivamente dalla decisione socialista di sostenere, in uno dei modi indicati, il futuro governo. Mi dica il compagno Napolitano se l’attribuire, come io ho fatto, al PCI interesse a sospingere il PSI verso il sostegno di un centro-sinistra pallido o sanguigno, sia una interpretazione arbitraria e non invece una traduzione fedele, ma provvista di una conclusione sottaciuta, della posizione ufficialmente da esso espressa! Quella or ora esaminata è tuttavia questione minore: ne esistono altre nel discorso di Napolitano che non possono essere catalogate come inesattezze ed equivoci da cui sbarazzare il terreno perché coinvolgono la natura e i rapporti reciproci fra i due partiti storici della sinistra: rapporti che è essenziale collocare nella giusta ottica se si vuole preservare, come io fermamente credo, il massimo di collaborazione operativa di una sinistra aspirante ad essere sinistra di governo. Napolitano si duole che io attribuisca al suo partito aspirazioni egemoniche sull’area di sinistra e ritorce l’accusa al PSI di farsi guidare da un spinta concorrenziale con l’obiettivo di modificare i rapporti di forza nel campo di sinistra. Ma vivaddio l’una cosa e 1′ altra, spinta egemonica del PCI e spinta concorrenziale del PSI per accrescere la sua forza, sono entrambe pienamente legittime e necessarie considerare, come ho fatto, il comportamento comunista come dettato anche da intenzioni egemoniche non è affatto fargliene addebito o colpa! E’ quel che il PCI ha sempre fatto e, aggiungo, che non può non fare un partito che tende a legare prioritariamente se non ad identificare la sua forza e la sua crescita con quelle del movimento operaio; come altrettanto legittima (anche se non consustanziale con la sua teoria del partito) è da parte socialista lo sforzo ad aumentare forza e rappresentanza nella sinistra che esso a torto o a ragione ritiene oggi ingiustamente sproporzionate (anche per sua colpa) non tanto ai suoi interessi di parte quanto all’interesse globale di una sinistra di governo. Pretenderebbe forse qualcuno che al PSI sia interdetta la ricerca di nuovi consensi e di nuovi elettori anche nel campo della sinistra, un campo lasciato con troppa noncuranza esposto a chi non si peritava di autorevolmente esortare «a raccogliere nell’ orto del vicino»? La vera questione non è dunque quella della «concorrenza» ma delle regole che devono presiedervi in modo che essa non sia distruttiva ma comporti una crescita ideale e politica di tutta la sinistra, della quale importa l’unità non la confusione. Importante a tal fine sembra essere non l’attutimento di ciò che fa diversi i due partiti, ma la sua ricognizione e attualizzazione (rispetto a motivi oggi sorpassati e ad altri oggi sopravvenuti). Da tale punto di vista la disponibilità al dibattito e al confronto (che non è mai mancato per la verità ma che Napolitano ripropone con maggiore impegno unitario) va, a mio giudizio, attentamente considerato: sotto due aspetti diversi. Il primo riguarda quello che è stato chiamato dibattito ideologico. A parte gli eccessi polemici, le forzature e le ingenuità inevitabili del resto in un dibattito disperso, a più voci (e non solo a due) e — fortunamente — sprovvisto di regia, quel che preme stabilire è che non sono ammissibili interdizioni e tabù. Se, come sembra, quel che fra socialisti e comunisti viene oggi posto in discussione non è più solo la differenza nei metodi pur nella identità del fine, ma anche tale identità (la «società socialista» certo, ma quale?) non giova ad alcuno rimuovere l’argomento neanche per la preoccupazione (infondata a mio giudizio) che esso sia incompatibile con una politica di sinistra per il cui successo è ne-cessaria la cooperazione ma non l’identificazione delle forze concorrenti. A tal fine non necessitano (e neanche sono utili) nuove sedi interpartitiche di dibattito, giacché le sedi naturali esistono (e funzionano) e sono i libri, le riviste, i convegni (sedi non sospette a vincoli «rispettosi») e gli stessi dibattiti interni che sottendono nei diversi partiti l’elaborazione delle loro politiche. Mentre per ciò che riguarda le tattiche, quotidiane o no, le intese, le consultazioni e il tentativo di concordare posizioni comuni è fra i nostri partiti una consuetudine che è divenuta via via funzionale alla operatività da entrambi e che certo va rafforzata e possibilmente «istituzionalizzata», ma non inventata. Il piano invece al quale mi sono riferito è quello della elaborazione e messa a punto di un programma comune delle sinistre, fra i partiti «storici» ma anche fra quelle fra le nuove sinistre che intendono operare nell’ambito della Costituzione repubblicana. Un programma comune, ben inteso, che pur partendo da concezioni dello …

LA DE-DOLLARIZZAZIONE

In un mio recente intervento, LA TERZA GUERRA MONDIALE, sostenevo che la fase di politica internazionale che stiamo attraversando vede in atto la terza WW e che questa, fortunatamente per ora, vedeva un uso limitato, pur sempre inaccettabile, delle armi, ma che è combattuta anche a livello di tecnologia e soprattutto a livello monetario. Il paese che è riuscito ad imporre o a far accettare la sua moneta come moneta di scambio universale e come moneta di riserva nei depositi delle banche centrali gode di quello che Giscard d’Estaing ha definito un “esorbitante privilegio”. Tale privilegio, tecnicamente definito come “signoraggio”, comporta vantaggi enormi per il paese che emette questa moneta:  a) poter denominare le proprie passività sull’estero nella propria moneta scaricando quindi sui paesi terzi l’onere di aggiustamento degli squilibri rispetto alla moneta dominante; b) spuntare, nei prestiti internazionali, tassi di interesse più bassi proprio per il minor rischio che il prestatore corre; c) essere in grado di esportare le crisi finanziarie interne come è successo al dollaro dopo la crisi del 2007. Se un paese terzo esporta beni in un altro paese terzo, se ad esempio l’Italia esporta beni in un paese africano non gradisce essere pagato con la moneta locale del paese importatore perché ciò comporta un rischio di svalutazione e comunque quella moneta potrà essere utilizzata solo per eventuali importazioni fatte da quello stesso paese. Stabilire il pagamento in dollari (andrebbero bene anche gli euro) ha il doppio pregio che l’Italia potrà usare quella valuta per pagamenti internazionali verso qualsiasi paese e che il paese importatore avrà necessariamente dollari nelle sue banche perché anche lui conosce le regole della finanza internazionale. Se poi devo mettere nella banca centrale delle riserve di valuta, certamente preferirò accumulare dollari che danno più garanzie di mantenimento del valore di ogni altra moneta (anche del franco svizzero). In questa fase della terza WW, uno degli strumenti usati dal blocco Russo Cinese è quello di erodere spazi di azione al dollaro, proporre per esempio il renminbi come moneta con le stesse caratteristiche del dollaro. Il fenomeno viene definito come DE-DOLLARIZZAZIONE parola che sentiremo usare molto spesso nel futuro. Per approfondire il tema sto leggendo un saggio di Gian Cesare Romagnoli, docente all’Università Roma Tre, da cui vorrei condividere con voi quanto scritto alle pagine 14 e 15 con relativa nota. Secondo il generale cinese (Quiao – One belt one road) ciò (ovvero tentativi di de-dollarizzazione) si è manifestato con le guerre irachene contro Saddam Hussein (1990 e 2003) che aveva deciso di denominare in euro le sue vendite di petrolio (anche se le motivazioni formali delle due invasioni sono state date rispettivamente dall’invasione irachena del Kuwait e dalla produzione di armi di distruzione di massa), con le sanzioni contro l’Iran che aveva proposto di istituire una Borsa del greggio in euro nel 2005 (anche se la motivazione formale dell’erogazione delle sanzioni è stata la dissuasione dalla produzione di armi nucleari) e infine con il rovesciamento del leader libico Muammar Gheddafi nel 2011, che aveva deciso di passare all’euro nel pagamento del petrolio, prima di introdurre il dinaro d’oro per sostituire la moneta europea (anche se in questo caso la motivazione ufficiale dell’intervento NATO era stato quello della guerra civile). In nota 25 sempre a pagina 15 continua: Il governo russo ha tenuto una riunione sulla de-dollarizzazione nella primavera 2014, in cui il Ministro delle Finanze annunciò un piano per aumentare le quote di accordi in rubli e il conseguente abbandono del dollaro. Inoltre nell’agosto 2014 una società controllata da Gazprom ha annunciato la disponibilità ad accettare il pagamento in rubli di 80.000 tonnellate di petrolio, estratto da giacimenti artici, da inviare in Europa, mentre il pagamento del petrolio fornito dall’oleogasdotto “Siberia orientale – Pacifico” potrà essere in renminbi. Nel maggio 2015, in occasione del vertice di Shangai, la delegazione firmò il cosiddetto “affare del secolo” per l’acquisto, nei prossimi 30 anni, di 400 miliardi di dollari di gas russo dalla Cina, pagati in renminbi. Altrettanto vale per i futuri progetti infrastrutturali russo-cinesi come la ferrovia Mosca-Pechino e la linea ad alta velocità Mosca-Kazan. Lo scorso agosto, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che “il sistema dei petrodollari dovrebbe diventare storia” e che “la Russia discute l’uso di monete nazionali nelle transazioni con un certo numero di Paesi”. La de-dollarizzazione è argomento di discussione e accordo anche nei rapporti bilaterali fra Russia ed altri Paesi. Il governo russo sta sostituendo il dollaro con monete nazionali nei suoi rapporti con l’Iran, Cipro, Egitto e sperava di farlo anche con la Turchia prima degli incidenti nella guerra di Siria. Queste misure adottate di recente dalla Russia, si accompagnano alla acquisizione della Crimea e alla destabilizzazione dell’Ucraina orientale che hanno motivato l’adozione di sanzioni economiche da parte dell’Occidente. Negli ultimi mesi, anche la Cina si è attivata in questa campagna “anti-dollaro”, firmando accordi con Canada e Qatar per denominare i loro scambi nelle valute nazionali. Per questa ragione, il Canada è diventato il primo hub oltreoceano del renminbi in Nord America. Questo fatto, da solo, potrebbe raddoppiare o addirittura triplicare il volume degli scambi commerciali tra i due paesi, dato che il volume dell’accordo di cambio stipulato tra Cina e Canada è pari a 200 miliardi di renminbi.  L’accordo della Cina con il Qatar sul currency swap diretto tra i due paesi equivale a 5,7 miliardi di dollari ed è diventato la base per l’utilizzo del renminbi nei mercati del Medio Oriente. Inoltre, la Cina sta stringendo degli accordi con Iran e India per pagare le materie prime  in valuta cinese. Quindi nella lotta tra il dollaro, che rimane ancora la valuta dominante, e il renminbi quest’ultimo potrebbe avere la meglio nel medio periodo, anche se con alta volatilità. I paesi produttori di petrolio del Medio Oriente hanno scarsa fiducia nel dollaro, a causa della esportazione di inflazione, quindi altri paesi dell’Opec  potrebbero firmare accordi con la Cina. Nella regione del Sud-Est asiatico la creazione di un centro di compensazione a Kuala Lumpur che promuoverà …

RIZZOTTO ASSASSINATO ANCHE PERCHE’ SOCIALISTA

Il 10 marzo del 1948, a Corleone, il giovane sindacalista della Cgil, nonchè esponente del Partito Socialista, Placido Rizzotto si sta recando ad una riunione del suo partito: è quasi buio, viene aggredito e rapito da un gruppo di mafiosi e sarà poi ucciso brutalmente. Il motivo del suo omicidio è da rintracciare nel suo convinto e coraggioso impegno a favore dei contadini siciliani, penalizzati e ridotti sul lastrico dalla sistematica espropriazione che le cosche mafiose ponevano in essere verso le campagne ed i campi coltivabili. Rizzotto incita i contadini a reagire, ad occupare le terre ed a difenderle, convinto che il lavoro e la giustizia sono due valori assoluti, che devono andare di pari passo e che devono rappresentare il fondamento e l’essenza di ogni vita umana. Da Segretario della locale Camera del Lavoro Placido Rizzotto convince i contadini addirittura ad organizzarsi per occupare le terre già espropriate dai mafiosi: non si limita ad organizzare la reazione ma la guida in prima persona, assumendo su di sè la responsabilità giuridica del gesto e, soprattutto, esponendosi personalmente alla ritorsione dei capi locali. Col suo impegno a favore della gente onesta, Rizzotto infatti si ritrova contro tutte le fazioni mafiose e criminali, ed entra in grave contrasto anche con un giovane di Strasotto che farà una grande carriera in Cosa nostra: Luciano Liggio. La mafia organizza la reazione: nel maggio del 1947 avviene la terrificante strage di Portella della Ginestra, mentre qualche mese dopo, come visto, c’è il rapimento di Rizzotto il cui corpo fu ritrovato solo anni dopo, nelle foibe di Rocca Busanbra, dove fu gettato proprio dall’acerrimo nemico Luciano Liggio. Un bambino (il piccolo pastorello Giuseppe Letizia) assistette al barbaro assassino, ma venne ucciso anche lui: la mafia non tollera occhi indiscreti, anche se giovani. Per l’assassinio del piccolo fu incolpato il boss Michele Navarra. Le indagini, coordinate da un giovane Carabiniere che diventerà poi Prefetto di Palermo, Carlo Alberto dalla Chiesa, portano all’arresto di due mafiosi corleonesi: Vincenzo Collura e Pasquale Criscione. Confessarono per poi ritrattare, e vennero assolti per insufficienza di prove. La stessa sorte processuale toccherà per questo reato a Luciano Liggio, che rimase latitante fino al 1964. UN APPUNTO A CURA DI EMANUELE MACALUSO Caro direttore, io non ho ancora visto il film «Placido Rizzotto» di Pasquale Scimeca e non posso dare un giudizio sull’opera, ma sono uno dei pochi sopravvissuti che ha conosciuto Rizzotto (in quegli anni ero segretario della Cgil siciliana) e con lui ebbi rapporti intensi, a Corleone e a Palermo, fui io a commemorarlo nella sua città. Le scrivo perché mi ha stupito la risposta del regista ad Ottaviano Del Turco (mi riferisco al «Corriere della Sera» 16 ottobre 2000) il quale faceva notare che nel corso del film non si dice mai che Rizzotto era socialista. La risposta di Scimeca è questa: «Non mi sembra così importante chiarire l’appartenenza ad una sigla». Il Psi non era una sigla e per ricostruire una storia l’appartenenza politica non è irrilevante anche perché – ecco il punto – se il regista avesse letto la relazione di minoranza alla commissione antimafia (febbraio 1976) redatta da Pio La Torre, forse non avrebbe risposto così. Infatti La Torre scriveva: «Nel corso della campagna elettorale (1948) furono commessi alcuni dei più efferati delitti di mafia contro esponenti del movimento contadino. Voglio ricordare in modo particolare tre episodi: Placido Rizzotto a Corleone, Epifanio Li Puma a Petralia, Calogero Cangelosi a Camporeale, dirigenti contadini di queste 3 zone fondamentali della provincia di Palermo, e socialiste. Perché tra i socialisti? Gli assassini si susseguirono a distanza di giorni. Vi era stata la scissione socialdemocratica e il movimento contadino restava, invece, unito; occorreva dunque dare un colpo al movimento e la mafia sviluppò una campagna di intimidazione verso i dirigenti socialisti». Se l’analisi di La Torre era giusta, l’appartenenza non era irrilevante. Lo stesso La Torre in quella relazione ricorda che nel processo contro gli assassini di Rizzotto l’imputato Luciano Liggio venne difeso da un avvocato del Psdi, Rocco Gullo. E, aggiungo io, la parte civile fu sostenuta da un avvocato socialista turatiano, Francesco Taormina. Un segno dei tempi. Ma la storia è questa. Emanuele Macaluso Video Rai.Tv – TG2 13:00 del 10/03/2018 70 anni fa la mafia uccideva il sindacalista socialista Placido Rizzotto   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

STORICO E’ STATO LO STRAPPO NON QUEL COMPROMESSO

di Marco Zanier | Nel 1985, a un anno dalla morte di Enrico Berlinguer, Francesco De Martino, l’ex segretario del PSI scomparso oltre vent’anni anni or sono, in questa lunga intervista rilasciata a Candiano Falaschi della redazione dell’Unità, faceva il punto sul suo rapporto personale e politico conil Segretario del PCI e sul rapporto che intendeva instaurare da tempo con quel partito. Nell’ottica dell’affermazione di un’alternativa di sinistra che avrebbe dovuto essere sostenuta da socialisti e comunisti. Decisiva a riguardo per De Martino era stata la presa di distanza di Berlinguer dall’Urss in un suo fondamentale discorso in cui rivendicava la scelta della linea democratica del PCI, mentre carattere episodico e non certamente storico avrebbe dovuto avere, secondo lui, il compromesso fra comunisti e democristiani. Nonostante il parere contrario dell’allora segretario del PSI Bettino Craxi, le ragioni dell’alternativa di sinistra per De Martino restavano tutte in piedi, perché erano stati superati i presupposti della scissione di Livorno del 1921 ed il PCI aveva confermato la sua scelta democratica all’interno delle istituzioni. Sono queste le tesi che rendono, a mio avviso, ancora più attuale oggi la prospettiva di una ricostruzione della Sinistra in Italia che veda protagonisti sia coloro che si richiamano ai valori del socialismo storico che coloro che si rifanno alle scelte democratiche del comunismo italiano. Marco Zanier STORICO E’ STATO LO STRAPPO NON QUEL COMPROMESSO di Francesco De Martino Lungo tutto l’arco  politico dell’ultimo annosi è parlato spesso, molto spesso di “effetto Berlinguer”. E con questa espressione, vaga come tante altre espressioni del linguaggio, politico, ci siè riferiti di volta in volta tanto all’onda di emozione provocata dalla lunga agonia di Padova e al generale rimpianto per la scomparsa del segretario del PCI, quanto al risultato ottenuto poco dopo dai comunisti italiani nelle elezionieuropee. Su questo modo di vedere le cose, Francesco De Martino ha qualcosa dadire in via preliminare: Se ha un senso parlare di “effetto Berlinguer” egli obietta , bisogna dire chequesto fenomeno, questo “effetto”, si è verificato proprio perché si trattavadi Enrico Berlinguer e cioè di una personalità caratterizzata da certi inconfondibili tratti umani e politici. Il punto sta proprio qui. Parlare quindi della sua scomparsa in quei termini, lungi dallo sminuire la figura, contribuisce invece a rafforzarla e a sottolinearne il rilievo. Per quanto mi riguarda, la morte di Berlinguer mi colpì  molto di più di quanto avrei potuto credere. Ne ho sofferto, anche se purtroppo sono abituato da tempo alla perdita di uomini cui ero legato. E’ stato come perdere un amico. Mi ero incontrato con Enrico qualche mese prima della sua morte ed avevamo parlato a lungo. Il punto più dibattuto tra di noi era sempre quello della valutazione dell’attuale politica socialista. Egli parlava con me sapendo bene di raccogliere l’opinionedi un dirigente socialista abbastanza critico nei confronti della situazione esistente e metteva l’accento sulla necessità di superare questa fase. Anch’io, è ovvio, ero convinto di questa necessità e quindi consapevole dell’esigenza diuna maggiore unità a sinistra: non ero però incline a vedere possibilità nuove in tempi brevi. La divaricazione tra i partiti della sinistra la giudicavo profonda, dal momento che non eravamo dinanzi a un mero espediente tattico dell’attuale gruppo dirigente socialista, ma ad un insieme di vedute (la cosiddetta scelta riformista) che avrebbe avuto bisogno di un periodo di tempo non certo ridotto per sperimentare le proprie possibilità. Era, ed è, una scelta di ordine teorico e strategico. Berlinguer mirava ad un miglioramento dei raporti tra PCI e PSI e sperava che ciò potesse avvenire sotto la spinta delle cose; non mi pareva che egli considerasse il PSI, pur criticandolo, una forza estranea alla sinistra. Si trattava di uno scambio di opinioni del tutto disinteressato, dal momento che io, dopo il nuovo corso socialista, non ho incarichi di partito attraverso i quali poter influire direttamente e in modo decisivo. Non c’era da parte di Berlinguer, nessuna interferenza, nessuna iniziativa condotta in modo improprio contro gli attuali dirigenti del PSI. Egli era discreto e aveva molto stile: era impensabile che potessero venire daparte sua iniziative del genere. Ma una discussione tra il segretario del PCI e De Martino non poteva limitarsi all’attualità politica. In essa entravano in campo, come è naturale, anche aspetti più generali. Io –ricorda De Martino- avevo manifestato un consenso pieno all’azione di Berlinguer, che ha valore storico, volta a stabilire la più completa autonomia rispetto all’Unione Sovietica. Gli avevo espresso la più grande soddisfazione. Non si trattava solo, io credo, dell’esaurimento della spinta propulsiva, perchè sempre in un processo rivoluzionario l’ondata tende a esaurirsi, madella stabilizzazione delle caratteristiche proprie di uno Stato autoritario innetta antitesi con la concezione democratica del socialismo che il PCI praticae che Berlinguer più di altri ha teorizzato. E in che termini parlavate delle prospettive della sinistra, in Italia e inEuropa? C’erano anche questi aspetti nelle nostre discussioni. Dopo il cosiddetto “strappo, conseguente alle polemiche sui fatti polacchi, in un’intervista a Panorama io affermai tra l’altro che ormai potevano considerarsi cadute le premesse della scissione del 1921. Ricordo che quell’intervista interessò molto Berlinguer. L’Unità la riprese con rilievo, pur evitando di fare confusione tra le varie posizioni esistenti nell’ambito della sinistra. Del resto, anche Pietro Nenni, in un altro momento, aveva dato un parere analogo al mio sull’esaurirsi delle premesse della scissione. Ora, io mi rendo conto che questo giudizio di fondo che davo non modificava certo la situazione di fatto. Anche perché ognuno portava fatalmente il peso della propria eredità e della propria storia. Mi sembrava, e mi sembra, paradossale, però, che ogni volta che il PCI compie un passo avanti nel senso auspicato dai socialisti nel corso di una ormai lunga vicenda storica, i rapporti tra i due partiti tendano a peggiorare o almeno non migliorino. Ciò che Berlinguer ha fatto su questo terreno ha un’importanza decisiva, specie se si pensa a come sono nati i comunisti  e a quale coraggio esiga avanzare in quella direzione. Occorre soprattutto coerenza, fermezza, lucidità. Per quanto mi riguarda, io ho accolto le prese …

SOVVERSIVI IN TRATTORIA

Alle origini delle nostre comuni Radici Socialiste!La foto qui riportata è relativa all’osteria E Parlamintè di Imola, frequentata a quei tempi da Andrea Costa e altri compagni imolesi Socialisti che, da lì a qualche anno fonderanno, nel 1892, il Partito dei Lavoratori italiani, diventato PSI nel 1894.Nella stessa osteria ci trovavamo noi, allora giovani compagni delle FGCI negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. Daniele Scarpetti – Socialismo XXI Emilia Romagna Bologna, novembre 1871. Sono trascorsi pochi mesi dalla fine della Comune di Parigi, incredibile esperienza rivoluzionaria il cui eco risuona in tutta Europa. In una sala della trattoria-albergo Tre zucchette si riuniscono, nascosti da una coltre di fumo e dal chiacchiericcio degli avventori, un gruppo di sovversivi formato da ex garibaldini di ritorno dalla campagna di Francia e da giovani delusi dal Risorgimento in cerca di nuove idee rivoluzionarie. L’AUTORITÀ PUBBLICA sosterrà che il gruppo clandestino è composto da «un esercito di cosmopoliti, reclutato nei bassifondi dell’ignoranza» che «combatte con le armi dello sciopero e della violenza e non vedendo che oppressi e oppressori, vuole l’abolizione della ricchezza e della povertà». Si discute sulla necessità di costruire un’organizzazione che si faccia portatrice degli interessi delle classi subalterne e porti a una forma di autogoverno socialista e proletario, come la Comune parigina. Le prime organizzazioni operaie non dispongono di sedi proprie. Utilizzano le osterie per discutere di politica e organizzare riunioni più o meno carbonare. ALCUNI DEI PARTECIPANTI all’incontro clandestino hanno combattuto in prima persona nella difesa della Francia dall’aggressione prussiana. C’è anche chi ha vissuto l’incredibile esperienza comunarda. Guida il gruppo Erminio Pescatori – capocomico parmense, repubblicano, reduce garibaldino – che ha partecipato alla battaglia di Mentana nel 1867 (il garibaldinismo è elemento fondamentale delle origini del socialismo). Il militante mantiene stretti rapporti con un uomo ricercato dalle polizie di mezzo mondo che da qualche anno si aggira per le campagne italiane predicando rivoluzione e anarchia: l’agitatore russo Michail Bakunin. Al tavolo della trattoria si prende una decisione che si rivelerà molto importante per la storia del proletariato italiano: la fondazione de «Il fascio operaio», una società di lavoratori finalizzata all’organizzazione e all’emancipazione della classe operaia che persegue «l’unione e la solidarietà fra tutti i lavoratori d’Italia e di altre nazioni». Il fascio operaio di Bologna, a cui aderirà lo stesso Giuseppe Garibaldi un mese dopo la fondazione, diventa così la prima sezione emiliana dell’Associazione internazionale dei lavoratori, l’organizzazione degli operai fondata a Londra nel 1864 e passata alla storia come Prima internazionale. In pochi mesi i soci emiliani saranno più di 500. LE TRATTORIE DI BOLOGNA sono il luogo prediletto della cospirazione politica e le Tre zucchette è una delle preferite dagli internazionalisti. Durante il Primo congresso regionale internazionalista, fissato a Bologna dal 17 al 19 marzo 1872 per ricordare l’epopea comunarda, vi si ritrovano per un pranzo. A tavola si discute dello scontro tra Marx e Bakunin mangiando un bel piatto di pasta all’uovo e bevendo un sincero vino rosso. I commensali, naturalmente, difendono le posizioni dell’anarchico russo arrivato in Italia negli anni ‘60 nel tentativo di organizzare e sobillare i contadini del sud. Senza troppo successo. Il rivoluzionario russo è un omone con la barba bianca e la fronte larga, gran bevitore di vino, birra e naturalmente vodka. Anche in fatto di cibo la sua radicalità non è da meno: ha un appetito formidabile che sbalordisce i commensali. Nelle campagne italiane proletari e intellettuali, un po’ poveri e un po’ pauperisti, guardano con diffidenza quest’uomo che mangia e beve con estrema foga e ingordigia. SEMPRE ALLE Tre zucchette nel 1874 gli internazionalisti si riuniscono per organizzare un tentativo insurrezionale, una sommossa che deve scoppiare a Bologna per estendersi in tutta l’Italia centrale. Nei ricordi tramandati da vecchi anarchici si racconta che in questa occasione i sovversivi mangiano tagliatelle con ragù e piselli e coniglio arrosto con patate. Un menù tipicamente romagnolo che potrebbe essere il segno del peso politico della componente imolese. L’insurrezione del 7 e 8 agosto è un fallimento e porta all’arresto di 79 militanti che sconteranno 22 mesi di carcere. Alla fine saranno assolti. Tra i fermati figura Andrea Costa, ancora poco più che ventenne. Per la giovane età non ha potuto vivere le epiche battaglie risorgimentali al fianco dell’Eroe dei due Mondi, nonostante nel ‘66 ancora imberbe abbia tentato in tutti i modi di arruolarsi con Garibaldi. L’imolese Costa viene arrestato due giorni prima del tentativo di rivolta mentre Bakunin, giunto a Bologna per guidare l’insurrezione, riesce a scappare in Svizzera travestito da prete. ALTRO PERSONAGGIO di spicco che finisce in arresto è Teobaldo Buggini, detto Gigione, considerato dal prefetto di Bologna «uno dei più esaltati e pericolosi» e tra i principali istigatori dei moti. Anche Buggini è un garibaldino, ha partecipato alla terza guerra d’indipendenza ma soprattutto è andato volontario in Francia nell’armata dei Vosgi ritrovandosi sulle barricate di Parigi a difendere la Comune. Presente alla fondazione del Fascio operaio Gigione fa il cameriere nella trattoria del Foro boario, fuori porta Mazzini. Un posto frequentato da studenti e artisti, dove si può incontrare anche il professor Giosuè Carducci. La trattoria è soprattutto il luogo di ritrovo dei sovversivi che, sfruttando la confusione del mercato e l’arrivo dei contadini dalle campagne, si scambiano materiale utile alla propaganda. Proprio per questo Buggini è controllato con particolare attenzione dalla questura, la quale sospetta che il suo lavoro da cameriere sia solo una copertura per l’attività politica. Naturalmente anche gli internazionalisti frequentano la trattoria del Foro boario. Ai tavolini del locale avviene l’incontro tra Costa e un altro grande protagonista della vita politica della Bologna di fine secolo: Giovanni Pascoli. IL PASCOLI È STUDENTE a Bologna, segue le lezioni del Carducci, ama la buona cucina e i manicaretti preparati dalla sorella Mariù come il risotto alla romagnola, quello con funghi e fegatini che declamerà in una poesia: «Che buon odor veniva dal camino! / Io già sentiva un poco di ristoro, / dopo il mio greco, dopo il mio latino!». Il poeta è …

DELEGA AL GOVERNO PER LA RIFORMA FISCALE

Mi sono letto le trenta pagine di delega di quella che si autodefinisce riforma fiscale che trovo criticabile per le ragioni che cerco di condividere nei paragrafi seguenti. Imposizione e welfare La prima riflessione riguarda quanto riportato all’art.2 quando si afferma che tra gli obiettivi della riforma esiste la finalità di “stimolare la crescita economica attraverso (…) la riduzione del carico fiscale”. In questa impostazione, secondo la quale la riduzione del carico fiscale stimola la crescita economica, c’è il consolidato pregiudizio dell’imposta negativa in sé, vale a dire l’imposta grandine che poca o tanta che sia è sempre un danno; questa impostazione porta allo slogan “meno tasse per tutti” che affascina tanti politici e non solo di destra. Altra era la visione di chi vedeva nelle imposte una cosa bellissima in quanto strumento per attuare collettivamente ciò che da soli non si è in grado di attuare.(Non penso certo al ponte sullo stretto di Messina) Il pregiudizio della negatività delle imposte tace sul fatto che una minor imposizione si traduce, quasi automaticamente, in un minor finanziamento delle politiche di welfare, di quella giustizia sociale che caratterizza lo stato sociale moderno. Flat tax e progressività L’art. 5, a proposito di imposta sul reddito delle persone fisiche IRPEF, preannuncia una graduale riduzione della stessa “nel rispetto del principio di progressività e nella prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica”. Ora è evidente la contraddizione palese tra il rispetto della progressività e l’obiettivo dell’aliquota unica; è una contraddizione evidente che solleva una questione di incompatibilità con l’art. 53 della Costituzione. E non mi lascio incantare dal fatto che una quasi-progressività possa essere ottenuta adottando una no tax area uguale per tutti. La transizione all’aliquota impositiva unica si concretizza nella riduzione degli scaglioni e, quindi delle aliquote impositive, da quattro a tre (recentemente sono state ridotte da cinque a quattro, all’origine gli scaglioni erano una quarantina e l’aliquota massima era del 72%), non vedo in questa rimodulazione nessun elemento rivoluzionario, ma soltanto un ulteriore passo verso la definitiva flat tax. La difesa del principio costituzionale della progressività (riservandomi di poter argomentare sulle basi teorico filosofiche che stanno dietro a questo principio) non sta, a mio parere, tanto nel contrastare la riduzione degli scaglioni (personalmente sono favorevole ad una formula matematica che renda superflui gli scaglioni) quanto ad estendere la progressività a tutte le fattispecie impositive. Mi riferisco a tutte quelle imposte sostitutive che hanno sottratto alla progressività tutti i redditi diversi dai redditi di lavoro e dalle pensioni. Se esiste la necessità tecnica (per competere con la fiscalità internazionale) di attuare la dual income tax, la si può attuare prevedendo per i redditi diversi da quelli di lavoro, una imposizione, anche patrimoniale, progressiva. Sempre all’art.5 segnalo al punto 2.4 la proposta di un’altra imposta sostitutiva di IRPEF e addizionali, che vada a colpire un imponibile pari alla differenza tra il reddito del periodo e quello più alto tra quelli dei tre anni precedenti, una specie di premio al merito di chi riesce a guadagnare di più, un elemento meritocratico che confligge con la solidarietà sposando appieno la competitività neoclassica. Equità orizzontale Si intende per equità orizzontale quel principio che richiede che i redditi di pari ammontare paghino lo stesso importo di imposte indipendentemente dalla natura del reddito guadagnato. Ricordo che i redditi da titoli di stato pagano il 12,5% flat, quelli da locazione di immobili pagano il 21% flat, se le locazioni sono concordate pagano il 10% flat, i forfettari fino a 85.000€ di fatturato pagano il 15% flat, i forfettari esordienti per i primi 5 anni pagano il 5% flat; evidentemente il problema esiste ma è ancora più esteso se pensiamo ai redditi delle multinazionali, a quelli agricoli etc. Ma ciò che è più significativo riguarda il tema per il quale è fallita la riforma fiscale impostata dal governo Draghi; come ricorderete il tema dei redditi da fabbricati da rivedere con una revisione totale delle rendite catastali fu quello cui si oppose la Lega ottenendo la precisazione che l’eventuale revisione non avrebbe avuto alcun riflesso fiscale. Ebbene l’art 5 alla lettera c prevede:” per i redditi da fabbricati la possibilità di estendere il regime della cedolare secca agli immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo”. Quindi silenzio assoluto, anzi estensione delle iniquità orizzontale. IRES e IRAP L’art. 6 prevede una riduzione dell’aliquota IRES (imposta sui redditi societari) mentre l’art.8 prevede un graduale superamento dell’IRAP (imposta regionale delle attività produttive). La graduale eliminazione dell’IRAP da attuarsi con priorità per le società di persone e per le associazioni (ma successivamente anche per le società di capitale) andrebbe sostituita con una sovrimposta all’IRES. Ne deriva un alleggerimento dell’imposizione complessiva delle due imposte. Il superamento dell’IRAP ha creato molta preoccupazione per il fatto che quell’imposta regionale è tra le maggiori fonti di finanziamento della spesa sanitaria, opportunamente il testo della delega prevede che il superamento dell’IRAP “ deve comunque garantire il finanziamento del fabbisogno sanitario e il gettito in misura equivalente per le regioni che presentino squilibri di bilancio sanitario”. Sarà interessante vedere come i decreti delegati riusciranno a coniugare questa serie di contraddizioni. IVA L’IVA, come noto, è una imposta europea e la delega prevede infatti di adeguarsi ulteriormente alla normativa europea. Un punto che non è coperto è l’idea di avere una aliquota IVA unica che permetta di evitare la grande evasione attuata giocando con le aliquote all’acquisto e quelle alla vendita. Questo suggerimento nasce da V.Visco che già a suo tempo aveva proposto, a scopo antievasivo, l’uso della fatturazione elettronica finalmente recepita dal governo Renzi. Molte altre proposte antievasione sono state prospettate da Visco, ma la riforma non pare volerle prendere in considerazione. L’aliquota unica penalizzerebbe i beni che oggi scontano le aliquote IVA più basse, ma si potrebbe pensare alla proposta fatta da Nicola Scalzini di agevolare i poveri ad esempio con una carta come ad esempio si fa in Danimarca ove esiste una aliquota unica. EVASIONE Per quanto riguarda l’evasione (e l’elusione) che costa alle casse dello stato …

CONTINUO LA MIA ANALISI DEI 12 PUNTI DEL PIANO DI PACE CINESE

2 DI 12 | 2. Abbandonare la mentalità della guerra fredda. La sicurezza di un paese non può andare a scapito della sicurezza di altri paesi e la sicurezza regionale non può essere garantita rafforzando o addirittura espandendo i blocchi militari. I legittimi interessi e le preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi dovrebbero essere presi sul serio e adeguatamente affrontati. Problemi complessi non hanno soluzioni semplici. Dovremmo aderire a un concetto di sicurezza comune, globale, cooperativo e sostenibile, concentrarci sulla stabilità a lungo termine del mondo, promuovere la costruzione di un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile e opporci all’instaurazione della sicurezza nazionale sulla base dell’insicurezza di altri paesi e prevenire la formazione di scontri di campo. Salvaguardare congiuntamente la pace e la stabilità del continente eurasiatico. Nella prima frase “Abbandonare la mentalità della guerra fredda” leggo una critica al comportamento della NATO in particolare dopo il 1999 quando, infrangendo gli accordi orali con Gorbachev, Clinton mutò la missione della NATO. Quella organizzazione nata per difendere l’occidente dal comunismo, con il crollo di quest’ultimo, non aveva più ragione di essere; l’alleanza tra i paesi ex-sovietici era stata sciolta e si stava operando per una coesistenza pacifica. Berlusconi a Pratica di Mare riscontrò un successo irripetuto. E’ comprensibile che i paesi ex-sovietici si rivolgessero all’occidente inteso come Unione Europea e NATO, ma la loro richiesta di ammissione poneva una scelta inequivoca. Stando allo statuto della NATO, le richieste di adesione non hanno valore in quanto sono i paesi aderenti alla NATO che all’unanimità INVITANO i paesi ad entrare nella NATO sempre che ciò contribuisca ad accrescere la sicurezza. Ora scegliere di invitare tutti i paesi ex-sovietici ad entrare nella NATO invece di considerare le reazioni e la contrarietà della Russia, ha snaturato la natura difensivistica della NATO in un organismo di potere che, fra le altre cose, ha appannato il ruolo dell’ONU. Quando il documento cinese segnala il “rafforzamento o addirittura espandendo i blocchi militari” a questo si riferisce. Forse una fascia di paesi “finlandizzati” interposta tra paesi NATO e Russia sarebbe stata una opzione più lungimirante. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it