IL SOCIALISMO ITALIANO RAPPRESENTA UN SECOLO DI STORIA”

di Giorgio Ruffolo |

In questi anni a sinistra non è cambiato nulla. Ne è la riprova uno dei tanti articoli (questo è del 1998) che stiamo riproponendo rispolverandoli dall’archivio. Si sono prodotte situazioni che sono andate nella direzione opposta alla ricostruzione della sinistra italiana di ispirazione socialista. Il senso della riproposizione di questo articolo verte nel rimarcare, appunto, tutti i fallimenti di questi anni. E’ illusorio pensare che il “piccolo compromesso storico” che ha generato il pd da una parte e i vari “arcobaleni” dall’altra siano la continuazione storica e politica di quello che furono i due soggetti politici rappresentanti il Movimento Operaio ovvero il Psi e il Pci.

Anche in questi giorni di ennesimi fallimenti e tracolli osserviamo articoli con panegirici di parole e attese di comodi riposizionamenti quando semplicemente definire ciò che manca e per ciò che occorra lavorare oggi in Italia è per la costruzione di una grande forza SOCIALISTA UNITARIA!

Vincenzo Lorè – Responsabile comunicazione di Socialismo XXI


IN MEMORIA DI GIORGIO RUFFOLO

Avrei diritto al copyright. Scherza l’on. Giorgio Ruffolo, economista, esponente dell’area socialista. E stato lui un anno fa a parlare di «Stati generali» della sinistra. Ora che l’appuntamento è fissato per metà febbraio a Firenze può esserne soddisfatto. Quella sarà la pista di decollo del nuovo partito della sinistra a cui da tempo stanno lavorando D’Alema e altri protagonisti della sinistra fra cui Ruffolo.

Onorevole dopo tanti rinvii questa sembra la volta buona. La «Cosa 2» dopo tante oscillazioni e frenate ora dovrà uscire dal generico e assumere i contorni precisi di nuovo partito della sinistra che ha l’ambizione di diventare più grande e più forte di quanto oggi la sinistra non sia. Ne è contento?

«Certo. Sarei più contento se poi ne nascesse effettivamente la Costituente. Senza passare per il terrore perché abbiamo già dato».
Battute a parte però le polemiche è i mal di pancia non mancano.

«E come l’ingresso dell’Italia nella moneta unica. Quando non ci credeva nessuno sembrava che tutto fosse pacifico, invece la prospettiva diventa concreta e imminente allora vengono i mal di pancia soprattutto di quelli che ne avevano creduto, né avevano voluto. E così anche nei riguardi di questa impresa storica. All’inizio c’è stata indifferenza e incredulità. E adesso che l’appuntamento è fissato vengono fuori conflitti, tensioni, reticenze, rigetti e paure che non si erano manifestati nella fase di incredulità. E una cosa abbastanza naturale e va fronteggiata senza sfuggire ai contrasti».

Appunto le tensioni, le incomprensioni. Giuliano Amato andrà a Firenze, ma ha anche detto che non se la sente di stare con chi, il riferimento è soprattutto per i pidiessini, pensa che il passato dei socialisti sia vergognoso. E un tasto spinoso che evoca tanti rancori.

«Penso che Amato abbia molte, valide ragioni. Per quanto riguarda il tema della rimozione del socialismo italiano credo che abbia ragioni da vendere. Nessuno vorrebbe partecipare ad un partito ad un’impresa politica nella quale ha l’impressione di essere tollerato, perdonato o assolto da qualche cosa che non ha commesso e della quale non si sente in alcun modo responsabile. E soprattutto nessuno vi vorrebbe entrare se non fosse riconosciuto, con chiarezza e senza masticare le parole, la tradizione della quale è portatore».

Si riferisce a episodi in particolari?

«Qualche volta quando si parla di socialisti c’è la traccia di un imbarazzo che un socialista non può tollerare. Non può si parlare di socialista senza aggiungere azionista, laico, cattolico, cristiano, progressista, liberale. E ridicolo che questo aggettivo che rappresenta cento anni di storia debba essere sempre velato da cortine eufemistiche. Non possiamo essere presentati in pubblico se non abbiamo un corteo di accompagnatori. Siamo un pò infastiditi di questo C’è una cosa che si chiama socialismo, di cui i comunisti sono stati partecipi per un terzo del percorso e che e parte integrante della storia della sinistra e dell’Italia, che non può essere messa in un’insalata nizzarda con tante altre cose per poter essere commestibile».

Amato riconosce che il vertice del Pds ha fatto grandi passi in avanti e che le ostilità seminai vengono dalla base. C’è una strada per colmare questo divario?

«Nei percorsi innovativi c’è sempre distanza tra chi sta all’avanguardia, e sono soprattutto le vette più illuminate della classe dirigente e chi ancora e legato non soltanto ai miti, ma anche ai rancori. Questo non sorprende. Però è tanto più necessario che chi ha la responsabilità di guidare illumini gli strati più sordi e non li lasci alloro rancori. E quindi importanti che un’azione di chiarimento ci sia. Il fatto che sul socialismo italiano ci sia silenzio non aiuta quelli che hanno maggiori riserve ad uscire dal loro stato di diffidenza e ostilità. Non aggiunge nulla e toglie molto a questa nuova esperienza politica nella quale si entra se ci si è liberati dalle scorie di un passato che è passato, ma che non deve essere dimenticato. Per potere mettere in archivio la storia bisogna poterla chiarire, spiegare».

Questo e un percorso che non si può fare dall’oggi al domani.

«Indubbiamente. Infatti io sono molto critico nei riguardi di quelli che dicono che bisogna ancora aspettare. Ma aspettare che cosa? Un chiarimento si fa insieme. E dei tutto illusorio pensare che rinviando questa scadenza di Firenze si possa agevolarne ti percorso e il compimento. Al contrario. Più si rinvia e più i muri diventano alti e le barriere si fanno invalicabili. Non so se questo nuovo partito si farà e si farà come lo vorrei. Ma sono convinto che se non si farà o si farà male non saranno i socialisti o gli ex socialisti ad esserne colpiti. Sarà la sinistra intera che perderà l’occasione di costituire una forza pari per robustezza ed ampiezza, a quella degli altri grandi partiti della sinistra europea.
Torniamo alle critiche di quei socialisti che guardano ancora con diffidenza all’idea di fondare, insieme al Pds e ad altre forze della sinistra, un partito più grande e più forte della sinistra. Quanto di queste critiche condivide e non condivide?

«Mi trovo d’accordo con quanti fanno questo ragionamento. Ma come ? C’è un Pds che è l’erede del Pci, che abbiamo avuto sempre dall’altra parte quando il riformismo e la socialdemocrazia erano da loro considerate delle brutte parole, e che adesso si definisce riformista e socialdemocratico, ma vorrebbe entrare in Europa e nel socialismo europeo come se il socialismo italiano non esistesse. Questo non è possibile, non è ammissibile ed è anche un po’ ridicolo. Non si può avere un cappello a Bruxelles e un altro a Roma sussurrando a chi vuole sentire che il socialismo italiano è un altra cosa. No. Il socialismo italiano ha cento anni di storia. La storia bisogna ripercorrerla equamente onestamente non come fosse un’area di buoni e di cattivi.

E le cose che non condivide?

«Le posizioni opportunistiche. Mi si rimprovera di essere stato eletto con i voti dei comunisti. Ma da chi si sono fatti eleggere molti dirigenti di quel partito, il Si che si proclama erede del Psi e non ha ancora scelto la sua collocazione ?
Questo autonomismo socialista è comprensibile soltanto in un caso: che si voglia mantenere o ritornare al sistema proporzionale e resuscitare quel sistema di poteri di veto e di conservazione dei piccoli apparati che non ha niente a che fare con le grandi tradizione socialista. E che si scelga oggi di allearsi con tizio e domani con caio e dopodomani con sempronio, credo che non appartenga né all’efficacia, ne alla moralità politica. Questo non significa che io non auspichi di ritrovarci da socialisti tutti insieme»

Alla costituente di Firenze si arriva dopo il forum nazionale della sinistra A cosa e servita quella discussione?

«E stata un’esperienza erroneamente e ingiustamente sottovalutata. Quello che volevamo è che si costituisse un nucleo di pensiero e di proposta attorno al quale costituire le linee fondative del nuovo partito. Ma questo richiedeva che il dibattito fosse esteso a tutto il corpo politico della sinistra e prima di tutto al Pds. Invece siamo stati considerati come degli onesti e stimabili personaggi che mettevano dei messaggi in una bottiglia Il rischio e che tutto si riduca a politichese. Ma ci son anche dei segni incoraggianti opposti. Considero fra questi l’impegno che si è preso di costituire una nuova fondazione per il rinnovamento della cultura politica della sinistra. E un passo nella direzione di aprire il partito nuovo alla società e coglierne le istanze. Credo che sia una giusta mossa imprenditoriale a condizione però che questa fondazione non si chiuda in un’accademia dove gli intellettuali diventano le mosche cocchiere o i grilli parlanti»

Veniamo alle simbologie che scatenano sempre grandi passioni, scontati la quercia e la rosa, meno pacifica, anzi burrascosa e la discussione per scegliere il nome.

Nei giardini tra le rose e le viole si possono trovare delle combinazioni gradevoli. Il problema pero è che sia ben chiaro che a inizia un percorso. Allora il simbolo deve riflettere che vi sono forze diverse che convergono verso questo percorso e nelle stesso tempo si, riconoscono in una realtà che le accomuna tutte. E questa realtà non può non essere quella del socialismo europeo. Poi i grafici con la loro fervida immaginazione troveranno il modo di rappresentare queste esigenze. Se a Firenze non ci sarà ancora il partito della sinistra però deve essere chiaro che si inizia un percorso irreversibile verso un partito nuovo della sinistra e deve essere chiara qual e la collocazione entro cui questo percorso di pone».
Quindi in quel simbolo la parola socialista deve esserci.

«Certo. Proprio per le ragione che dicevo prima. Non si può essere socialisti a mezza bocca».

Intervista a cura di Raffaele Capitani – l’Unità Sabato 24 gennaio 1998