IL SOCIALISMO NEL XXI SECOLO

di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

La fine del liberismo

Tutto ha inizio con il veto posto dalla Commissione europea al progetto di fusione Alstom-Siemens, ovvero con un progetto la cui ambizione era quella di creare un gruppo ferroviario mondiale. Tale ambizioso progetto fu soffocato dalla solerte applicazione di Margrethe Vestager delle norme antitrust europee. L’idea franco-tedesca era creare un campione europeo capace di tenere testa al colosso statale cinese CRRC, il maggior produttore di veicoli ferroviari del mondo.

A seguito di questo fatto il duo franco-tedesco Merkel-Macron redasse un dossier che prospettava il futuro della politica comunitaria. All’epoca del Trattato di Aquisgrana dell’accordo franco-tedesco passò quasi inosservata l’appendice del Manifesto franco-tedesco per una politica industriale adatta al XXI secolo, un documento dove venne messo nero su bianco la volontà di rendere le aziende europee (in primis francesi e tedesche) capaci di competere con successo, dentro e fuori la UE,  in tutti i settori industriali della competizione globale.

L’obiettivo del manifesto è favorire la creazione di grandi aziende europee in grado di reggere la concorrenza delle multinazionali non europee sostenute (direttamente e indirettamente) dagli apparati statali, in particolare dalle grandi potenze continentali, quindi: Cina, e Stati Uniti su tutti.

Riporto alcuni passi del Manifesto citato:

At a time of increasingly fast changes globally, Europe must pool its strengths and be more united than ever.
Europe’s economic strength in the coming decades will be hugely dependent on our ability to remain a global manufacturing and industrial power.

The industrial sector of the 20th century is changing before our eyes due to digitalization. Brand new industrial sectors are appearing such as those linked to artificial intelligence, others are changing at great speed such as the car or railways sectors, and other traditional sectors will continue to be essential such as steel or aluminium.
If Europe still wants to be a manufacturing powerhouse in 2030, we need a genuine European industrial policy. The investments required to enable Europe to compete on the global stage and the development of long-term industrial strategies aiming inter alia at a carbon-neutral economy are so      important that we can only succeed if we pool our funding, our skills, and our expertise.
The choice is simple when it comes to industrial policy: unite our forces or allow our industrial base and capacity to gradually disappear. We consider the future European industrial strategy should be built around following pillars:

–   Massively investing in innovation:
We will only succeed if we are the ones creating, developing and producing
new technologies.
Ø To become world leaders on Artificial Intelligence.

Ø To ensure our financial markets support innovation in industry.: That is why we need to complete the Capital Markets Union and give our industry the possibility of financing themselves more easily, especially when they grow in scale.”

Volendo risalire alla dottrina economica sottesa a questa impostazione non possiamo non riandare ai testi di Mariana Mazzucato, in particolare a Lo stato imprenditore e Al valore di tutto. In quei testi l’autrice evidenzia come il futuro dell’economia sia caratterizzato dalla presenza di stati-continente come Cina e USA, ove la ricerca scientifica si pone come punto focale critico dello sviluppo economico. Tale ricerca richiede ingenti investimenti, propensione ad investire in aree dove la percentuale di successo è bassa e che comunque quand’anche conclusa con successo, richiede tempi che confliggono con il shortismo del capitalismo odierno.

La Mazzucato evidenzia come i fenomenali imprenditori, conclamati ed osannati per le recenti innovazioni tecnologiche siano semplicemente degli sfruttatori di una ricerca seria fatta a monte da enti statali nell’ambito di una programmazione lungimirante atta a raggiungere l’egemonia tecnologica; ricorda, ad esempio, che il www nasce al CERN di Ginevra, il GPS al pentagono statunitense. Così come accade sul fronte del computer quantistico e dell’Intelligenza Artificiale la presenza di ricerca pubblica è all’origine di quanto poi le start up companies ereditano e diffondono nel mondo del capitale privato.

Lo stato del conflitto economico

Non è un caso che la proposta di una rivoluzione nella politica europea che mette in mora le posizioni liberiste e di libero mercato sia stata fatta da due paesi come Francia e Germania che più delle altre si rendono conto della crescita dello scontro, chiamiamolo tecnologico, tra i paesi-continente. Quei due paesi sono quelli che più degli altri hanno incrementato la produttività delle loro produzioni e hanno da tempo recuperato la perdita di PIL causata prima dal fallimento del capitalismo finanziario del 2008 e successivamente dal Covid.

La Cina continua ad investire cifre notevoli nella ricerca (si pensi ad esempio agli sviluppi nella fusione nucleare) guidata da uno stato forte, notevole programmatore, estremamente capace di politiche ad ampio raggio; si pensi che nonostante l’immensa disponibilità di mano d’opera anche formata e specializzata, la Cina è tra i primi produttori ed utilizzatori di robots.

Gli Stati Uniti dopo aver stampato enormi quantità di dollari (Trump e Biden in particolare) per contrastare gli effetti del Covid si trovano ora in presenza di una inflazione da domanda che la Federal bank sta combattendo a colpi di rialzo del tasso di sconto. Sorvolo sulla correttezza dell’approccio figlio della religione del NAIRU (not accelerating inflation rate of unoccupancy) e sulla miope copiatura fatta dalla BCE in presenza di inflazione importata e non da consumi. Ma mi riferisco alla recente legge IRA (inflation reduction act).    

Si tratta dell’entrata in vigore negli Usa di un pacchetto legislativo di circa 400 miliardi di dollari, che dal primo gennaio 2023 agevola imprese e famiglie nella transizione green. Si tratta dell’IRA (Inflation reduction act), che stanzia una quantità di sussidi senza precedenti per convincere le imprese a tornare a investire negli Stati Uniti, oltre a concedere robuste agevolazioni fiscali alle famiglie per convincerle a «comprare americano», in testa le auto elettriche. Le industrie dell’auto tedesche e francesi temono di non poter reggere la concorrenza: basti dire che l’Ira prevede un credito d’imposta di 7.500 dollari per l’acquisto di un’auto elettrica nuova, e di 4mila dollari per una usata. Incentivi fuori portata in Europa.

Insomma, la battaglia tutt’altro che liberista o concorrenziale ma fondata sugli  incentivi e sui sussidi, sta iniziando una pericolosa escalation che rientra nelle classiche regole dell’imperialismo, riportando i rapporti indietro nel tempo rispetto alla libera trasferibilità dei prodotti e delle materie prime del tempo della globalizzazione.

Chiaramente il grosso confronto è fra Cina e USA, mentre Europa e Russia (che forse avrebbero interesse ad unirsi in un terzo polo continentale) sono in forte crisi che porta, come abbiamo letto nel Manifesto ad una scelta: The choice is simple when it comes to industrial policy: unite our forces or allow our industrial base and capacity to gradually disappear.

La situazione italiana

La nostra situazione è decisamente preoccupante; ricordo che la nostra produttività non aumenta da almeno trent’anni; conseguentemente non aumentano, anzi diminuiscono i salari; il nostro PIL è ancora inferiore a quello del 2007; non funziona la frusta salariale; la nostra capacità produttiva è inferiore di ben 20 punti a quella del pre 2007, la nostra forza lavoro è tra le meno formate a livello europeo; il nostro sistema scolastico segna carenze non indifferenti. In sintesi la tanto decantata piccola e media industria che è alla base del nostro sistema produttivo (le imprese con meno di 10 dipendenti sono esageratamente più presenti che negli altri paesi), costituiscono un peso allo sviluppo in tempi connotati dalla necessità della ricerca e dell’innovazione: sono una palla al piede che richiede una politica industriale inesistente se prescindiamo dai sussidi 4.0 di Calenda che alla fin fine non hanno migliorato la nostra produttività neppure di un minimo.

Lo stato (quello che per la teoria main stream dovrebbe non impicciarsi dell’economia) si è sempre più dedicato ad intervenire a salvare, aiutare, sussidiare le imprese vittime dei fallimenti del mercato. La serie di bonus oggi concessi dallo stato sono lì a testimoniare questa missione elemosiniera dello stato senza che però faccia dello stato nulla più di un benefico bancomat. Questo atteggiamento che coinvolge il diritto dei contribuenti quali investitori a fondo perduto, porta alla discussione fondamentale sugli “aiuti di stato”, la cui natura, funzionamento, assetto proprietario andrebbe rielaborata dalla base avendo presente il concetto di appropriazione del plusvalore tramite fiscalità.

Il socialismo del XXI secolo

A mio parere, alla luce di quanto sopra esposto, il socialismo del XXI secolo deve affrontare questi nodi:

● quello dell’obsolescenza del liberismo e della libera concorrenza;

● quello del piano europeo proposto da Gentiloni per un fondo europeo per la creazione di campioni europei;

● quello della pianificazione degli investimenti in campioni europei;

● quello della gestione di questi campioni;

● quello della proprietà di questi campioni, come si chiede Gentiloni bisogna scegliere se i finanziamenti sono a fondo perduto o sono prestiti restituibili o, come invece Gentiloni nega possano essere, gli investimenti sono finanziati con le imposte dei contribuenti e quindi debbono essere di assetto proprietario che rispecchia l’investitore;

● quello degli “aiuti di Stato”;

● quello di una socializzazione della scienza come patrimonio comune dei cittadini, che implichi partecipazione e corresponsabilità nella gestione di una rivoluzione tecnologica che implica temi di sopravvivenza, di indipendenza, di liberazione dal lavoro, di redistribuzione del tempo, delle risorse, della qualità della vita.