di Franco Astengo |
Al momento dell’esito delle elezioni svoltesi il 25 settembre 2022 alti lai furono elevati all’indirizzo delle evidenti distorsioni presenti nella formula elettorale, in particolare al riguardo dell’impossibilità da parte dell’elettrice/elettore di indicare diversamente la propria preferenza tra la parte uninominale e quella proporzionale in cui era suddivisa la scheda.
Esaurita l’emozionalità del momento e preso possesso dei seggi conquistati la “vox clamantis” denunciante l’ingiustizia si è acquietata e il dibattito politico sembra aver dimenticato la problematica.
Soltanto in un piccolo angolo della sinistra e del fronte democratico si pensa di continuare a combattere questa battaglia della quale è ormai da anni indiscusso animatore il milanese prof. Felice Besostri, già senatore dell’Ulivo, che in ben due circostanze ha strappato alla Corte Costituzionale sentenze decisive l’una per affossare la legge Calderoli del 2005 e l’altra progettata dal governo Renzi nel 2014 e votata attraverso la fiducia dal Parlamento ma mai entrata in vigore proprio per via del pronunciamento della Corte.
Proviamo allora a riassumere alcuni elementi per i quali il tema della formula elettorale che traduce i voti in seggi è questione fondamentale della vita democratica del Paese.
1) Dal 1976, momento della massima espansione elettorale del sistema dei partiti, ad oggi la percentuale della partecipazione al voto è risultata in costante calo: un segnale evidente non solo di disaffezione dal punto di vista sociale ma soprattutto dal punto di vista del complesso dell’educazione politica. Per eseguire questo lavoro abbiamo preso in considerazione alcune tappe dell’itinerario storico delle elezioni svoltesi in Italia e cominciamo allora ad esporre la percentuale dei partecipanti di volta in volta al voto: 1976 (punto di massima concentrazione del voto nei 2 grandi partiti di massa che assieme assommavano circa 27 milioni di voti) 93,39%; 1994 ( prima prova della formula mista con scorporo) 86,31%; 2006 (momento culminante del bipolarismo) 83,62%; 2018 (prima prova dell’attuale formula mista senza voto disgiunto) 72,94% 2022 63,79%.
Da notare che dal 1994 non è più esistita la possibilità di espressione della preferenza (unica dal referendum del 1991) : collegio uninominale abbinato a lista bloccata (di diversa lunghezza);
2) Le cifre che appariranno di seguito sono state elaborate in questo modo:
a) elezioni 1976, per lista singola;
b) elezioni 1994 per coalizioni con i voti ottenuti nella quota maggioritaria sommando i seggi tra quota maggioritaria e quota proporzionale;
c) elezioni 2006 per coalizioni sommando i seggi per le singole liste;
d) elezioni 2018 e 2022 per coalizioni sommando i seggi per la quota maggioritaria e quella proporzionale.
L’interrogativo al quale dovrebbe essere fornita una risposta è questo:
considerata l’impossibilità di scegliere il singolo candidata/o come elemento di privazione di una parte importante della possibilità di scelta per l’elettrice – elettore quanto è possibile sopportare, per un sistema democratico, un determinato livello di disparità nella possibilità – per le singole liste o coalizioni di accedere al Parlamento ?
I dati sono riferiti all’elezione per la Camera dei Deputati e al territorio nazionale esclusa la Valle d’Aosta (dove vige il sistema uninominale secco).
Procediamo semplificando:
Elezioni 1976 (sistema proporzionale con sbarramento ai 300.000 voti su tutto il territorio nazionale e al conseguimento di un quoziente pieno in almeno una circoscrizione): la DC ottiene la maggioranza relativa con 14.209.519 voti e 262 seggi, per un seggio la DC paga 54.234 voti. Il PCI secondo partito più votato ottiene 12.614.650 voti con 228 seggi, ciascun seggio vale 55.327 voti, con uno scarto di 1.003 voti. Dieci liste superano il “quorum”: esclusa la SVP che gode del vantaggio dovuto alla concentrazione territoriale, l’ultima lista a ottenere la rappresentanza parlamentare fu in quell’occasione il Partito Radicale che con 394.439 voti ottenne 4 seggi; 98.609 voti per ciascheduno. In sostanza il divario tra il costo-voto della DC e il costo – voto del PR correva l’81,82%.
Elezioni 1994 (Formula mista proporzionale – maggioritario al 75% maggioritario. Scorporo, sbarramento al 4% e liste bloccate). Esce dalle urne un sistema tripolare. Il futuro centro – destra presenta una doppia alleanza: al Nord “Polo della Libertà” con Forza Italia e Lega Nord; nel centro – sud “Polo del Buon governo” con Forza Italia e Alleanza Nazionale (in quel momento espressione elettorale del MSI). Sommando i dati il centro destra ottiene 16.588.162 voti con 366 seggi, ciascun seggio vale 45.322 voti (circa 10.000 in meno rispetto alla DC’76) l’alleanza tra i Progressisti, progenitrice del futuro centro- sinistra ottiene 13.308.244 voti con 213 seggi, per ciascun seggio sono serviti 62.480 voti. Il terzo polo composto da Patto per l’Italia e Partito Popolare (gli eredi più diretti della DC) tocca i 6.098.986 voti con 46 seggi: 132.586 servono per un seggio, il 192,54% in più di quanto è servito al centro – destra. Il massimo delle disuguaglianza che indica il profilo nettamente bipolare insito nella formula adottata in quel momento e comunemente definita “Mattarellum”.
Elezioni 2006 (premio di maggioranza, sbarramento e liste bloccate). Anche in questo caso il nostro riferimento è alle coalizioni sommando i seggi ottenuti dalle singole liste che le componevano. Centro – sinistra 19.002.588 340 seggi, ciascun seggio 55.889 voti; Centro – destra 18.977.843 voti per 277 seggi, pro- quota 68.512 voti. Il minimo della differenza considerato – ovviamente – l’esito strettamente bipolare: 12.622 voti. Per fornire un esempio della valenza maggioritaria di quella formula elettorale (poi, come già riferito, bocciata dalla Corte Costituzionale) si riferisce anche dell’esito delle elezioni successiva, 2008, dove il quadro di partenza presentava una quadripartizione del campo. Il centro – destra (perduta l’UDC) ottenne 17.064.506 (un calo di quasi 2 milioni di voti) per 340 seggi (50.189 voti per seggio, 18.000 voti in meno rispetto a due anni prima); l’alleanza PD-IdV (perdute le liste di sinistra ed ecologiste racchiuse nell’Arcobaleno che non ottenne il quorum) 13.689.330 per 239 seggi, 57.277 voti per seggio. L’UDC : 2.055.229 per 36 seggi, 57.089 per seggio, mentre l’Arcobaleno disperdeva direttamente 1.124.298 voti. Questi numeri dimostrano come il combinato disposto di premio di maggioranza (senza soglia) e lo sbarramento (al 4%) producano un effetto di riduzione della rappresentanza alterando di poco il costo/seggio per le coalizioni in grado di ottenere seggi ( nel caso: centro-destra 50.189; PD-IDV 57.277; UDC 57.089).
Elezioni 2018-2022 ( Misto maggioritario – proporzionale con liste bloccate, impedimento al voto disgiunto, sbarramento al 3%): questa formula è quella che forza maggiormente la tendenza alla governabilità costringendo a coalizioni spurie oppure nel caso di forte equilibrio tra diverse coalizioni e/o liste alla scomposizione e al trasformismo, com’è accaduto nella scorsa legislatura e come potrebbe accadere nella presente con l’inserimento del terzo polo nell’area di governo.
Queste le cifre riguardanti i due turni elettorali in questione.
2018: centro-destra 12.152.345 voti per 262 seggi (46.382 voti/seggio); M5S 10.732.066 voti per 225 seggi (47.698 voti/seggio); Centro – Sinistra 7.506.723 voti per 114 seggi (65.848 voti/seggio), LeU 1.114.789 voti 14 seggi (79.627voti/seggio). Ogni seggio di Leu è stato pagato 33.245 voti in più rispetto a quelli del Centro – Destra (71,67%).
2022: centro-destra 12.300.244 voti per 235 seggi (52.341 voti/seggio più 6.000 rispetto al 2018); centro-sinistra 7.337.975 voti per 80 seggi (91.724 voti/seggio, con una differenza rispetto al centro – destra di quasi 40.000 voti seggio, a dimostrazione della differenza del peso nelle proporzioni interne alle coalizioni) M5S 14.333.972 voti per 51 seggi (281.058 voti/seggio) Centristi 2.186.747 voti per 21 seggi (104.130 voti/seggi). Appare evidente la grande distorsione provocata dal voto nei collegi uninominali.
In sostanza questa carrellata sui numeri, condotta sicuramente in modo arbitrario, ci riconduce a due interrogativi di fondo:
a) può un sistema democratico in costante arretramento dal punto di vista della partecipazione, almeno dal punto di vista elettorale, sopportare ulteriormente l’assenza di meccanismi di scelta dal punto di vista soggettivo della rappresentanza politica?;
b) può un sistema democratico in costante arretramento dal punto di vista della partecipazione, almeno dal punto di vista elettorale, sopportare l’esito di una formula elettorale che intende privilegiare la governabilità soffocando la rappresentanza anche al prezzo di costringere le forze politiche a coalizioni spurie esposte a spericolate incursioni di trasformismo e di incoerenza?
Questi sono i due elementi sui quali si dovrebbe riflettere per impostare la battaglia per ripristinare una formula in grado di produrre maggiore equità tra esigenza di governabilità e necessità di rappresentanza politica e territoriale.
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