di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

Di fronte all’impennata dell’inflazione che sta sconvolgendo le economie europee, la soluzione prospettata dal senso comune può riassumersi nella seguente proposizione recentemente pubblicata:” Non c’è via di uscita, per frenare l’inflazione, non potendo aumentare il debito pubblico, occorre pagare un prezzo, occorre ridurre i consumi, soprattutto certi lussi che di questi tempi non possiamo più permetterci di avere”.

L’affermazione riportata è di un deprimente buon senso che tuttavia rifugge dall’esaminare le cause e le colpe di chi questa inflazione ha generato. Cerchiamo di approfondire il fenomeno, ricerchiamo anzitutto le cause del fenomeno:

● ritengo che tutti si possa convenire che la causa principale dell’inflazione sia nell’aumento del prezzo del gas iniziato anche prima dell’invasione russa in Ucraina. Infatti, l’aumento del prezzo del gas è iniziato prima del febbraio 2022 e va ricondotto al Marginal Price System, un sistema scelto dall’Europa che rimanda l’indicizzazione dei prezzi al TTF, un mercato dominato dalla speculazione finanziaria. Si fosse lasciato il metodo di indicizzazione precedente i prezzi avrebbero riflesso il vero costo di acquisto del gas che tenga cioè in considerazione i prezzi a lungo termine stipulati dagli importatori, prezzi fissi e legati alla clausola del take or pay. Quindi la prima colpa va addebitata all’Europa e alla sua scelta di indicizzazione dei prezzi del gas.

● Certo che sui prezzi del gas ha influito la strategia della Russia di minacciare, se non attuare in taluni casi, il blocco della fornitura del gas. La colpa sarebbe quindi di Putin. Va tuttavia considerato che Putin reagiva a delle sanzioni che noi abbiamo posto e che hanno portato come conseguenza la ritorsione russa. Si può dire che coscientemente abbiamo accettato il rischio di un aumento del prezzo del gas come conseguenza della nostra posizione sull’invasione dell’Ucraina. Si può quindi ritenere che la politica di solidarietà con l’Ucraina comporti il possibile rischio, in qualche modo avveratosi, di una inflazione importata. Va anche detto però che, a stare ai sondaggi, la maggioranza degli italiani non è favorevole all’invio di armi in Ucraina, né alle sanzioni che comportano di conseguenza l’aumento del prezzo del gas. L’Ungheria ha operato in tal senso. Quindi come seconda causa possiamo concludere che l’inflazione è stata conseguenza di una nostra (?) scelta.

● Più a monte negli anni 70, ci fu lo stesso problema di inflazione importata a causa della crisi del petrolio. Anche allora ci fu una notevole inflazione importata che mise in difficoltà il nostro sistema, occorre riconoscere però che allora programmammo la costruzione di 80 centrali nucleari per renderci indipendenti dalla dipendenza dall’estero per la nostra energia. Fummo poi noi (non io che votai contro) che con un referendum approvammo di abbandonare il nucleare. Fu così che tornammo dipendenti in campo energetico rendendoci deboli su un fronte strategico. Fatto sta che alla Francia, che ha realizzato le centrali nucleari, le ritorsioni di Putin non hanno effetto da noi invece sono deleterie. Ma quanti investimenti sono previsti dalla legge di stabilità Meloni per le fonti alternative eoliche e/o solari? Come terza causa metterei quindi l’insipienza dei nostri governanti, le nostre scelte referendarie e l’assenza di programmazione.

● Ma l’inflazione non è generata solo dal prezzo del gas, buona parte è generata dal superbonus del 110% che ha causato un aumento generalizzato dei prezzi nell’edilizia “tanto paga lo stato”, un provvedimento che ha sforato di 30 miliardi e che il governo Meloni ha esteso, al 90%, anche per gli anni futuri.

E ora passiamo ai “sacrifici” che dobbiamo sopportare per far fronte all’inflazione. Quando si parla di sacrifici, anche se non esplicitato, si intende che occorre evitare una rincorsa prezzi-salari-prezzi, che in anni passati (quando c’era la contingenza) scatenò un infernale spirale al rialzo. Allora bisogna essere chiari: la contingenza non c’è più; il protocollo Ciampi (sulle conclusioni dell’economista Tarantelli) prevede un adeguamento dei soli minimi contrattuali per l’inflazione, esclusa però quella causata dai costi energetici, e un adeguamento per i contratti di secondo livello commisurato alla produttività programmata e realizzata. Il protocollo Ciampi, peraltro abbandonato dal governo Berlusconi per quel che riguarda la “concertazione”, non prevede un adeguamento dei minimi contrattuali per la parte derivante dai costi dell’energia e quindi non innesca alcuna spirale prezzi-salari-prezzi. Ne consegue che il fenomeno inflattivo incide pesantemente sui salari che subiscono in tal modo le conseguenze delle colpe viste al paragrafo precedente.

Per quel che riguarda l’adeguamento, per i contratti di secondo livello, all’aumento della produttività programmata e realizzata dobbiamo registrare due dati di agghiacciante obiettività, dati rilevabili semplicemente consultando google:

● Nei venti anni del duemila i salari, corretti dall’inflazione, sono cresciuti in Europa del 22% (circa il 30% in Germania e Francia) mentre in Italia sono scesi del 2,9%;

● Nello stesso periodo la produttività è aumentata del 25/30% in Germania e Francia mentre in Italia è aumentata dello 0%.

Ne consegue la logica conclusione che, secondo la golden rule, i salari non aumentano perché non aumenta la produttività, se i salari aumentassero più della produttività, sempre secondo la golden rule, si genererebbe inflazione interna.

E allora a chi si richiederebbero i sacrifici? Ai lavoratori che operano con imprenditori che credono, non tutti per la verità ma nella stragrande maggioranza, di competere sul mercato internazionale puntando sul basso coto della mano d’opera. Sanno benissimo che con bassi salari non si aumenta la domanda interna e quindi lo sviluppo conseguente,  ma si preferisce consapevolmente praticare un “mercantilismo accattone” basato sui bassi salari, pratica in cui, tuttavia, eccellono (alla grande) i paesi ex-sovietici, neo entrati nella comunità.

E i lavoratori, che assieme ai pensionati finanziano la spesa pubblica, sono chiamati grazie ai sussidi 4.0 Calenda a regalare soldi al capitale perché innovi e investa in tecnologia. Insomma, una imprenditoria (per fortuna non tutta) stracciona deve essere finanziata dal mondo del lavoro perché metta in moto il positivo effetto più produttività più salari (ma che quando anche la produttività fosse realizzata non si trasforma in maggiori salari). Le regole di Ricardo (costo del lavoro vs. costo delle macchine) di Sylos Labini ( la frusta salariale come fattore scatenante la ricerca di produttività) la programmazione Tarantelli (concordare livelli di investimenti in innovazione, politica dei redditi, rivendicazioni sindacali) sono ignorate dalla politica italiana, dalla imprenditoria stracciona che preferisce rifugiarsi nella piccola impresa (il numero medio dei dipendenti in pochi anni è sceso da 4,4 a 3,9), nel dumping salariale contrattando con sindacati fasulli norme contrattuali da fame, nell’uso di lavoro precario, di lavoro nero.

Sacrifici a chi? Non certo alle imprese energetiche che hanno realizzato grazie alle regole europee extraprofitti di 40 miliardi. Il migliore dei migliori voleva tassare questi extraprofitti al 10% portando a casa 4 miliardi, poi sulla pressione dei 5S che volevano una tassazione al 100%, ha aumentato l’aliquota al 25% programmando un incasso di 10 miliardi. Un disastroso fallimento di Draghi, che vede naufragare il suo provvedimento. La legge di stabilità Meloni, infine, si accontenta di 2,5 miliardi, lasciando 37,5 miliardi alla speculazione.

Ma neppure sacrifici per i capital gains che, con l’art.27 della legge Meloni, possono pagare su plusvalenze minime alla data del 31 dicembre 2022, il solo 14%, mentre un muratore sul misero stipendio paga come minimo il 23%.

Ma neppure sacrifici ai lavoratori autonomi (professionisti in particolare) che con la nuova flat tax risparmiano fino a 10.000€ tra imposte e addizionali rispetto ai lavoratori e ai pensionati, ma neppure agli ordinari che con la flat tax incrementale risparmiano fino a 10.000€ tra imposte e addizionali.

E’ chiara la strategia del governo e dei benpensanti sdraiati, i sacrifici richiesti per affrontare l’inflazione li devono fare quelli seduti sul divano che percepiscono il reddito di cittadinanza.

Non mi stupirei di ritrovare, in autunno, una reazione sociale consona alle provocazioni perpetrate dalla situazione creatasi.