PEGGIO DI COSI’ SAREBBE STATO DIFFICILE

di Mauro Scarpellini – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI |

La Costituzione della nostra Repubblica, in vigore dall’1.1.1948, all’art. 119 stabiliva: <<Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali>>. Questa norma non c’è più, sparita nel 2001 quando furono introdotti il federalismo e l’autonomia differenziata per le Regioni da parte del Parlamento italiano.

 La maggioranza parlamentare del tempo era una coalizione di Democratici di sinistra, Margherita, Socialisti democratici italiani, Italia dei Valori – uniti nell’Ulivo – di Comunisti italiani, di Federazione dei Verdi, di Udeur.

Il Governo in carica era guidato da Giuliano Amato, indipendente proposto dai DS. Quella maggioranza modificò la Legge Costituzionale n. 3/2001 [riforma Titolo V della Costituzione (artt. 114–132 Cost.)] perché voleva seguire e inseguire la Lega Nord sul federalismo, sull’autonomia; per speranza di recupero elettorale. Le materie che allora la Lega sosteneva invocando anche la secessione dall’Italia.

Ora vedremo come sia stato un errore formidabile l’aver fatto quelle modifiche perché la maggiore autonomia di alcune Regioni può influenzare e modificare tanto i principi di parità dei diritti di cittadinanza degli italiani quanto il funzionamento di alcuni fondamentali servizi pubblici nazionali, come la scuola pubblica e la sanità in modo più evidente e grave. Non so quanto ne sappiano i cittadini.

Ci sono utilità e disutilità nel maggiore decentramento di funzioni verso le Regioni. Il decentramento può avvicinare il governo locale ai cittadini, favorendo il controllo della spesa da parte dei cittadini stessi, per cui gli amministratori eletti si dovrebbero sentire più attenti e responsabili nelle scelte e nelle decisioni; questo in teoria. Al contrario la distribuzione di competenze può creare diseconomie di scala; può determinare forme di iniquità fra cittadini e incentivare un fenomeno conosciutissimo, quello della mobilità dei cittadini per le prestazioni sanitarie. Conosciamo bene il fenomeno dei pazienti che da determinate Regioni vanno a farsi visitare in altre.

I cittadini di Bolzano, Trento e Valle d’Aosta (in misura più contenuta quelli del Friuli Venezia Giulia) hanno un migliore trattamento rispetto agli altri italiani: in quelle Regioni i livelli pro-capite di spesa pubblica corrente ed in conto capitale sono nettamente superiori alla media nazionale. Ciò concorre ad altro tipo di fenomeno, la richiesta di trasferimento di Comuni da una Regione ad un’altra; fenomeno poco conosciuto.

Il Comune veneto di Sappada ha ottenuto di passare al Friuli Venezia Giulia nel 2017, per star meglio, proprio perché questa Regione è a statuto speciale e gode di privilegi che non ha la Regione Veneto a statuto ordinario confinante. I Comuni di Cortina d’Ampezzo, Livinallongo del Col di Lana e Colle Santa Lucia iniziarono a chiedere di passare dal Veneto alla Provincia autonoma di Bolzano nel 2007 e due mesi fa – visti i sondaggi elettorali nazionali – hanno rilanciato la richiesta sostenuta peraltro da un referendum consultivo locale favorevole di allora. Quei Comuni hanno già nominato i nuovi rappresentanti nel comitato referendario che sostiene il passaggio alla Provincia autonoma di Bolzano.

La riforma costituzionale del 2001 ha ridotto la differenza fra le competenze delle Regioni a statuto speciale e ordinario ma le disparità nelle modalità di finanziamento di queste Regioni sono ancora in atto. La riforma del 2001 prevede che possano essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario ulteriori competenze in 23 materie elencate all’articolo 117: tre materie perfino fra quelle di esclusiva potestà statale. Indico, per ragioni di tempo, solo alcune materie – cosiddette della potestà legislativa concorrente – per sottolineare l’incongruenza di quel che hanno fatto. Tutela e sicurezza del lavoro : si raggiungeranno condizioni di tutela e di prevenzione da malattie professionali e da infortuni diverse. Istruzione : non so immaginare cosa potrà generare il pluralismo educativo. Previdenza complementare e integrativa : tipici strumenti dello stato sociale diventano strumenti di differenziazione, di vantaggio o svantaggio, di disuguaglianza sociale ed economica.

Alla fine del 2018 il processo di richiesta di ulteriori competenze si è aperto in concorrenza tra i Presidenti delle Regioni. Richieste e proposte sono state presentate nel tempo da Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, Toscana, Marche e Umbria; mozioni e ordini del giorno sono stati assunti dai Presidenti di Lazio, Campania, Basilicata e Puglia.

Nella legislatura 2018-2022, la delega governativa del Presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte fu attribuita alla Ministra Erika Stefani (vicentina, della Lega Nord). Nell’attuale Governo è attribuita a Roberto Calderoli, senatore della Lega Nord, estensore della legge elettorale che lui definì “porcellum”, bocciata poi dalla Corte Costituzionale. La materia è in mani competenti. La Ministra Stefani preparò le bozze. Il Consiglio dei Ministri del 21.12.2018 – bicolore Movimento 5 stelle e Lega Nord – presieduto dall’Avvocato Giuseppe Conte, annunciò la firme delle Intese da sottoporre successivamente al voto parlamentare per il 15.2.2019. L’iter non si concluse e poi intervenne la crisi di Governo in agosto.

Diligentemente ci pensò il Governo presieduto da Paolo Gentiloni a firmare i preaccordi con Lombardia,Veneto ed Emilia Romagna.

Ecco i preaccordi.

Il 28.2.2018, pochi giorni prima delle elezioni generali del 4 marzo, il Governo Gentiloni, per tramite del Sottosegretario di Stato Gianclaudio Bressa (di Belluno; appartenente all’epoca al gruppo parlamentare del PD) concluse con ciascuna delle tre Regioni una Pre-Intesa. Si ripeté l’insipienza del 2001 a pochi giorni prima delle elezioni, come allora, per inseguire la Lega Nord sul suo terreno, illogico e dannoso. Le tre pre-intese sono simili.

Prevedono una durata decennale e la modificabilità solo di comune accordo. Riguardano cinque delle 23 materie: politiche del lavoro, istruzione, salute, tutela dell’ambiente, rapporti internazionali e con l’Unione Europea. Per quanto attiene alle risorse stabiliscono all’articolo 4 che esse andranno determinate da un’apposita Commissione paritetica Stato-Regione, sulla base “di fabbisogni standard, che dovranno essere determinati entro un anno dall’approvazione dell’Intesa e che progressivamente, entro cinque anni, dovranno diventare, in un’ottica di superamento della spesa storica, il termine di riferimento, in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturato nel territorio regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali, fatti salvi gli attuali livelli di erogazione dei servizi”. Stabiliscono anche, senza meglio specificare, che “Stato e Regione, al fine di consentire una programmazione certa dello sviluppo degli investimenti, potranno determinare congiuntamente modalità per assegnare, anche mediante forme di crediti d’imposta, risorse da attingersi da fondi finalizzati allo sviluppo infrastrutturale del Paese”. Ho ricordato poco fa che l’articolo 119 originario stabiliva che dovesse essere favorito lo sviluppo del Mezzogiorno. <<Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali>>.  Ora il Mezzogiorno non c’è più, ma c’è la nuova possibilità di assegnare fondi attinti da quelli nazionali ma alle Regioni firmatarie dell’autonomia differenziata.

Domando: è chiaro chi ci guadagna e chi ci perde ?

Per onestà intellettuale devo aprire una parentesi sulle responsabilità politiche personali.

Nel 2001 i Segretario dei partiti che approvarono la modifica del titolo V della Costituzione erano : Valter Veltroni dei DS, Pierluigi Castagnetti della Margherita, Enrico Boselli dello SDI, Antonio Di Pietro di Italia dei Valori, Clemente Mastella dell’UDEUR, Oliviero Diliberto dei Comunisti italiani e Grazia Francescato della Federazione dei Verdi.

Nel Governo del 2001 sedevano, senza batter ciglio, oltre il Presidente Giuliano Amato, Sergio Mattarella, Enrico Letta e Dario Franceschini per la Margherita, Ottaviano Del Turco e Gianfranco Schietroma per lo SDI, Piero Fassino, Domenico Minniti, Franco Bassanini e Pier Luigi Bersani per i DS, Alfonso Pecoraro Scanio e Carla Rocchi per i Verdi.  

Al tempo del Governo Conte il Coordinatore del 5 stelle era Di Maio e Grillo era l’eccelso.

Al tempo del Governo Gentiloni il Segretario del PD era Matteo Renzi.

Confesso che provo motivato e forte fastidio quando quelli ancora in azione politica tra i sunnominati elargiscono – oggi – prediche politiche in televisione per il bene dell’Italia e degli italiani. Girano tante facce di bronzo.

Riferendosi alla modifica costituzionale del 2001 Giuliano Amato si giustificò puerilmente così nel 2014 : «Quando questo accadde, il centrosinistra si era dotato di un leader, candidandolo come candidato alle successive elezioni, e questo leader non era il presidente del Consiglio in carica». Non era lui, Amato, ma era Francesco Rutelli, colui che in precedenti elezioni comunali di Roma aveva promosso una lista che la stampa romana definì “beatiful”.

Ancora Amato :«il nuovo leader della coalizione ritenne che per galvanizzare la maggioranza in vista delle elezioni fosse necessario portarla ad un successo parlamentare contro l’opposizione, e così spinse perché il titolo V venisse approvato, e venisse approvato dalla maggioranza contro l’opposizione. La nostra opinione di governo non era favorevole a questo». La maggioranza modificò la Costituzione con due voti di scarto al Senato; ricordo bene quella fase politica e non ci fu alcuna galvanizzazione popolare ma tante critiche; Rutelli perse le elezioni.

Insomma, la colpa è di quell’altro. Miserevole.

Torniamo al testo delle pre-intese. Ho ricordato che la Ministra Stefani non arrivò in fondo. Approfondiamo un punto veramente critico, deleterio.

Cosa vuol dire che per il “superamento della spesa storica” il termine di riferimento sono la “popolazione residente e il gettito dei tributi maturato nel territorio regionale” ? Vuol dire che il Veneto, per fare un solo esempio, come da sua delibera del novembre 2017, si terrebbe il 90 % delle risorse fiscali riscosse. Ciò riduce inevitabilmente, matematicamente, le risorse gestite dallo Stato e dalle altre Regioni e chiedetevi lo Stato nazionale chi lo regge. Lo Stato ridurrà tutte le spese contabilmente comprimibili e cioè, nell’ordine, la spesa sanitaria, la spesa per l’istruzione, la spesa per i trasporti pubblici e via di seguito.

Che fine fa il principio costituzionale di eguaglianza fra tutti i cittadini italiani , indipendentemente dalla loro residenza ?

Con le iniziative sull’autonomia differenziata si concretizza la “secessione dei ricchi”, come l’ha definita un autorevole docente barese che insegna all’Università di Bari.

Le risorse finanziarie nazionali da trasferire per le nuove competenze saranno parametrate, dopo un primo anno di transizione, a fabbisogni standard calcolati tenendo conto anche del gettito fiscale regionale, come prima detto. E’ scritto nelle pre intese che il livello dei servizi può solo migliorare.

Il gettito fiscale non è stato mai alla base dei calcoli dei fabbisogni standard perché il collegamento, ovvio, è con la demografia del territorio e con le caratteristiche del territorio stesso. Il collegamento col gettito fiscale prestabilisce che i servizi per la salute e per l’istruzione in Puglia e in Basilicata, ma non solo in queste Regioni, saranno più bassi che in Veneto, per esempio, perché più basso è il reddito medio pro-capite.

Salta il principio di uguaglianza dei cittadini, contrariamente alla Costituzione.

I costi standard vanno definiti in altro modo, peraltro non facile e devono derivare da scelte politiche conosciute dai cittadini. Invece cosa dicono le pre intese firmate dal Presidente Gentiloni ?

Dicono che i criteri saranno stabiliti da una commissione paritetica tecnica fra Stato e ogni Regione. Ogni Regione porterà i propri dati e si avranno criteri difformi da Regione a Regione in barba al principio di uguaglianza dei cittadini.

Tocchiamo un altro punto veramente critico, preoccupante. La Costituzione prevede all’articolo 117.II.m che lo Stato abbia l’onere della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, i cosiddetti LEP. L’articolo 120.II della Costituzione, richiede poi che sia mantenuta “la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Ciò è per garantire a tutti il godimento degli stessi diritti di cittadinanza.

L’importanza dei livelli essenziali delle prestazioni è anche nella legge 42/2009 attuativa del federalismo fiscale. Tale determinazione non è però mai stata fatta, dal 2001 ad oggi. Nessun partito e movimento politico si è preoccupato di spiegare l’importanza e la portata di questa omissione, né proporre iniziative per la loro determinazione. La quantificazione dei livelli essenziali delle prestazioni, tutti da identificare, deve essere preliminare a quella dei fabbisogni standard per i servizi pubblici, altrimenti non ci sarebbe la garanzia dei diritti di cittadinanza per tutti.

Qual è il senso di garanzia delle pre intese ?

Esse stabiliscono che per dieci anni non sarà possibile far modifiche se il Parlamento approverà il riconoscimento delle intese. Non sarà possibile il referendum abrogativo.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 69/2016, ha affermato che “il parametro del residuo fiscale non può essere considerato un criterio specificativo dei precetti contenuti nell’articolo 119 della Costituzione”. Dice la Corte che il residuo fiscale è una stima, non un dato oggettivo.

Però vanno avanti. Il Ministro Calderoli ha convocato informalmente i Presidenti delle Regioni il 26 settembre scorso e li ha avvisati che lui andrà avanti presto ed ha presentato il disegno di legge; il 2 novembre ha incontrati i Presidenti di Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Piemonte, Marche per proseguire l’esame dei passi da fare per giungere alla conclusione.

Le richieste di autonomia differenziata di Lombardia e Veneto riguardano tutte le 23 materie previste dall’art. 116.III: è una sostanziale riscrittura dell’articolo 117 della Costituzione.

Vi riferisco due pareri in materia di sanità. La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici ritiene che queste richieste “non faranno che aumentare le disuguaglianze nella qualità delle prestazioni e negli accessi alle cure”. la Fondazione Gimbe ritiene che “le ulteriori autonomie concesse dal regionalismo differenziato da un lato indeboliranno le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, dall’altro accentueranno iniquità e diseguaglianze disgregando definitivamente l’universalismo del SSN”. Non è solo la mia opinione, né quella dell’Associazione Socialismo XXI secolo. Tuttavia i governi a guida PD e 5 stelle, tutti, sono stati inattivi e non vado oltre con i giudizi politici perché non ce n’è bisogno.

Sull’istruzione. Quale situazione si configurerà per i concorsi di personale docente e non docente ? Quali saranno i programmi d’insegnamento ? Quanto sono stati tenuti in considerazione gli avvertimenti dati dai sindacati dei docenti due anni/tre fa al governo PD-5Stelle e al governo Draghi ?

I cinque sindacati del settore dell’istruzione hanno diffuso questa valutazione : “Tale progetto, invece di consolidare il carattere unitario e nazionale, ad esempio del sistema pubblico di istruzione, rafforzando la capacità di risposta dello Stato di cui si è avvertita l’estrema necessità durante la recente pandemia, ripropone un’ulteriore frammentazione degli interventi indebolendo l’unità del Paese, col rischio di aumentare le disuguaglianze senza garantire la tutela dei diritti per tutti i cittadini e ampliando i divari territoriali”.

Vi riferisco il giudizio dello studio della autorevole SVIMEZ, firmato dal suo Presidente, il Prof.Adriano Giannola e dal professor Gaetano Stornaiuolo della Federico II di Napoli, pubblicato nel 2018. Nell’analisi compiuta si manifestano “molte perplessità sulle modalità di finanziamento dell’autonomia differenziata: la pretesa di trattenere il gettito fiscale generato sui territori è infondata, inconsistente e pericolosa.”Secondo lo studio SVIMEZ l’autonomia differenziata è “da promuovere se è adeguatamente motivata e se aumenta l’efficacia e l’efficienza nell’uso delle risorse, senza compromettere il requisito di solidarietà nazionale”.

Le richieste di autonomia avanzate dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, cui faranno seguito a ruota altre regioni del Nord, “in assenza di riforme costituzionali”, potrebbero innescare un percorso verso un sistema confederale, nel quale alcune Regioni si fanno Stato, cristallizzando diritti di cittadinanza diversi in aree del Paese differenti” mettendo così a rischio l’unità nazionale. Così scrive lo SVIMEZ.

Insomma l’intera operazione dell’autonomia differenziata determina diversi diritti di cittadinanza in base alla residenza. Rompe la parità fra i cittadini. Rompe i servizi essenziali nazionali. Rompe l’unità nazionale. Questa è la valutazione dell’Associazione Socialismo XXI secolo.

Concludo riassumendo brevemente i punti di massima gravità nei seguenti sette.

 Il primo punto grave è la modalità di finanziamento delle materie trasferite alle Regioni. Non sono stati rilevati i Livelli Essenziali delle Prestazioni che la Costituzione prevede e quindi non è possibile determinare costi standard che superino la spesa storica senza discriminare i cittadini. Non si comprende come il Governo Gentiloni abbia potuto firmare le pre intese. Il collegamento col gettito fiscale deforma l’impianto costituzionale e lo modifica introducendo discriminazioni a favore e contro. Pochi giorni fa è stata presentata la bozza di Disegno di legge del Governo Meloni, che all’art. 3, comma 2 ha dovuto tener conto delle regole costituzionali e, quindi, scrive che “Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono determinati i livelli essenziali delle prestazioni di cui al comma 1, secondo la procedura prevista dall’articolo 13, comma 4, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68. Decorso il termine di dodici mesi senza che sia stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al primo periodo, si provvede con atto avente forza di legge.”

Anziché il gettito fiscale sarebbe indispensabile la diretta connessione con una specificità territoriale, considerata requisito necessario per il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia, in quanto trattasi di una deroga al principio dell’unità nazionale che dev’essere convincentemente motivato.

Il secondo punto di gravità è proprio l’elenco delle 23 materie della legislazione concorrente. C’è di tutto. Invece sarebbe necessario e sufficiente rivedere la legge Bassanini sulle autonomie, adeguandola e far realizzare molti miglioramenti funzionali con legge ordinaria e con una intelligente strutturazione diversa di procedure e assetti burocratici, senza rompere l’unità del Paese.

Il terzo punto di gravità riguarda la prevista competenza di commissioni tecniche che si sostituiscono alla determinazione politica degli indirizzi e degli atti che non devono essere a svantaggio di alcuno e devono essere pubblici, noti ai cittadini.

Il quarto punto di gravità è che le pre intese riducono la funzione del Parlamento ad una mera presa d’atto dell’accordo tra il Governo ed una Regione. Ciò esautora il Parlamento e conferisce alla Regione un potere straordinario; essa avvia la richiesta di autonomia, indica le materie, porta nella commissione tecnica paritetica i dati che vuole, firma un’intesa non modificabile senza il suo consenso, assegna alla sua firma dell’accordo la non sindacabilità del Parlamento.

Il quinto punto di gravità è lo sgretolamento della sanità nazionale e dell’istruzione, quali servizi nazionali, così come è nei sistemi liberisti nei quali è tutto o quasi tutto privato e chi può ne usufruisce a pagamento.

Il sesto punto di gravità è l’assenza di forme di controllo degli effetti delle spese che le Regioni realizzeranno per le materie delegate. Ciò è nella logica della totale non considerazione di programmazioni, di crescite  equilibrate, di spinte allo sviluppo. Mancano solo le zone franche fiscali anche se parlamentari leghisti le hanno già chieste negli anni passati, coerentemente con il loro disegno dissolutorio.

Il settimo punto di gravità è rappresentato dalla esclusione del referendum abrogativo perché la costruzione fino ad ora fatta prevede una legge cosiddetta rinforzata che lo esclude.

Questa è la storia, questo è il quadro, queste alcune necessità di forte revisione.

Da questa storia si possono trarre le preoccupazioni ed anche le valutazioni politiche sul comportamento dei partiti e dei movimenti in ventuno anni di governo, nonché valutazioni sull’operato dei Presidenti delle Regioni che avranno un evidente pericoloso danno dalla differenziazione e che, anziché suggerire rimedi e modifiche alle leggi, si sono messi a rincorrere i Presidenti delle Regioni che avrebbero solo vantaggi. Se fosse possibile abrogherei tutto per ricominciare su basi diverse.

Ritengo che questo tema sia stato prodotto anch’esso dal degrado del modo di far politica in Italia.

Il partito di Fratelli d’Italia dovrà cambiare nome; potrà chiamarsi Parenti Lontani d’Italia, perché l’Italia non sarà più la stessa.

Anche questa disamina rafforza e motiva l’obiettivo di costituire un partito/movimento nuovo, che guardi avanti seriamente, che si ispiri e pratichi valori socialisti, ambientalisti e sanamente civici nel rispetto e nel recupero dei valori fondamentali e originari della Costituzione.

ALLEGATI