L’EDITTO DI UN DITTATORE SULLA NATO

di Silvano Veronese – Ufficio di Presidenza Socialismo XXI |

Non so se la famosa affermazione di Pietro Nenni “politique d’abord ” – con la quale motivava scelte a volte discutibili per vari compagni –  abbia ispirato la decisione del Presidente Draghi nel condividere il compromesso di Madrid al vertice NATO con il quale si è ottenuto il “placet” del dittatore Erdogan all’ingresso di Svezia e Finlandia a fronte dell’estradizione in Turchia di profughi curdi residenti nei due Paesi baltici.

La politica prima di tutto”,  secondo il compagno Nenni, consisteva nel non aver pregiudiziali tattiche rispetto alle grandi scelte politiche e che un leader che puntava a grandi obiettivi non doveva farsi condizionare sui mezzi da impiegare.

Ritengo però che questa massima non possa essere compatibile con questo compromesso. Una alleanza, pur militare (detta anche “di difesa”), dovrebbe associare Paesi con comuni valori e principi e sistemi politici comuni da difendere e tutelare, altrimenti è un’altra cosa!

Lo “scambio politico” intervenuto con la Turchia  – penso su pressione anglo-americana – appare semplicemente osceno e se la Svezia procederà all’instradamento verso la Turchia di esuli curdi residenti, in quanto rifugiati, nel suo Paese ciò rappresenterà una macchia nera su questa grande democrazia, per noi spesso un esempio di socialità, di accoglienza, campione di diritti civili.

Sono sicuro che Olof Palme, avendolo conosciuto ed apprezzato il suo pensiero, non avrebbe accettato e concordato un simile fatto. Gli USA non sono nuovi, invece, a compromessi del genere con i peggiori personaggi del mondo per raggiungere i propri obiettivi, ma l’Europa occidentale ha dimostrato tutta la sua crisi anche valoriale oltre che di ruolo accettando la pretesa turca di un’inaccettabile contropartita affinchè Erdogan togliesse il suo veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO.

I Paesi europei hanno accettato un diktat da parte di una nazione sul cui sistema di brutale repressione interna  del dissenso hanno piu’ volte manifestato profonda avversione negando ad Ankara qualsiasi eventuale richiesta di entrare nella U.E., una nazione- quella turca – con una economia disastrata con il 73 % di inflazione e con una moneta “carta straccia” tanto che sarà costretta quanto prima a richiederci aiuti economici per evitare un pauroso “default”.

Una pretesa di questo genere sarebbe stata impossibile fino a qualche anno fa, ora il fatto che possieda il secondo esercito, dopo gli USA, della NATO per uomini e mezzi, con il quale – a differenza della U.E. – argina la potenza russa in Siria che sostiene il dittatore Assad ed in Libia dove i russi appoggiano il regime secessionista di Bengasi e Tobruk contro Tripoli, permette ad Erdogan di dettare legge agli europei, arrivando anche a trivellare gas nelle acque territoriale di Cipro, Paese della U.E.

La debolezza dell’Europa, in parte dovuta anche ad un certo declino sul piano economico, deriva particolarmente da una divisione tra i suoi  Paesi aderenti sul piano della politica estera e sull’assenza di una propria forza militare unitaria e perciò incapace di svolgere un ruolo e di sopportare impegni nei teatri bellici e/o instabili del Medio Oriente, avendo delegato agli USA tale funzione  ma , con ciò, relegandosi ad  un ruolo subalterno.

Di questo declino ne ha preso consapevolezza anche la Russia che – nella crisi ucraina – non ha dato minimamente retta ai ripetuti interventi fatti da Germania, Francia ed anche dell’Italia che si erano proposti come possibili sollecitatori di un “cessate il fuoco” nel martoriato Paese.

E’ possibile, certamente sarebbe auspicabile, che dopo  un “cessate il fuoco” in Ucraina o per facilitarlo, grazie anche ad un eventuale impegno della Cina, che si apra una Conferenza mondiale che – sulle ceneri dei vecchi accordi di  Yalta – porti ad un grande intesa  per una nuova “governance” del pianeta tra le grandi potenze, con il coinvolgimento di nuovi importanti attori, tra sistemi di alleanze politico-militari tale da assicurare un minimo di coesistenza pacifica nel globo.

In questo contesto l’Europa non potrà  essere presente solamente come entità unitaria monetaria o economica perché, diversamente – il suo ruolo politico non potrà che essere marginale e subalterno. Il prossimo Consiglio Europeo – se non vorrà giungere ad un nuovo fallimento – dovrà fare un deciso passo in avanti sul piano dell’unità politica della U.E., in particolare sul piano delle relazioni e dei rapporti internazionali e della comune difesa.