BRANCACCIO E REALFONZO SUL FINANCIAL TIMES

Nella foto l’economista Emiliano Brancaccio |

 

di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

Datato 12 febbraio 2021 |

In questo articolo Brancaccio e Realfonzo sostengono le seguenti due posizioni:

● ciò che l’Italia riceverà dall’Europa con il NGEU “is a very modest sum when compared to a crisis that destroyed over 160 bn of GDP last year alone, much more than past recession”

● “Draghi policy will be a schumpeterian laissez-faire rather than Keynesian expansion”

Sul primo punto

Circa la prima affermazione il ragionamento fatto dai due autori è, grosso modo, il seguente: contrariamente a quanto affermato dalla stampa o dai politici di comodo e a quanto ritenuto dal senso comune corrente i 209 miliardi di euro che ci dà l’Europa, sembra una cifra enorme che viene paragonata addirittura al piano Marshall dell’immediato dopoguerra, ma in verità è un aiuto molto modesto. E’ da ricordare che gli aiuti statunitensi erano veri e propri aiuti, da non restituire, quindi a titolo gratuito anche se finalizzati a fidelizzare gli stati beneficiati agli USA e a costruire un promettente mercato per gli stessi.

Il NGEU in effetti ci presta 127 miliardi e ci sussidia con 82 mld a fondo perduto. Ora questi 82 miliardi sono il 21% dei totali sussidi a fondo perduto erogati dall’Europa ai paesi membri pari a 390 miliardi, e vanno quindi ad incidere sul bilancio dell’Europa che dovrà poi riaddebitare questo deficit tra tutti i paesi europei quando calcola il contributo dovuto da ciascun paese. Questo riaddebito avviene sulla base delle quote di partecipazione di ciascun paese nel bilancio della UE, e la nostra quota è del 12%. Dovremo quindi ripagare 47 miliardi (390*.12) con una differenza a nostro favore di 35 miliardi (82 ricevuti meno 47 da ripagare).

In fondo dicono gli autori sono solo 6 miliardi l’anno per 6 anni. Una cifra ridicola se pensiamo che nel solo 2020 abbiamo perso 160 miliardi di PIL.

Non un cenno è fatto dagli autori al fatto che la quota sussidi (superiore alla quota prestiti) costituisce, per la prima volta nella storia dell’Europa, un indebitamento comunitario, rappresentano quegli eurobonds che per anni si invocavano nella politica comunitaria. Questo fatto è invece, a mio parere, un enorme passo in avanti fatto dall’Europa di Ursula che è destinato a modificare profondamente il futuro della politica comunitaria.

Ma l’obiezione principale che mi sento di fare all’affermazione degli autori riguarda il fatto che ci si attenderebbe un “regalo” (da chi e perché?) senza considerare invece che i prestiti, se ben investiti, generano i risparmi che serviranno alle prossime generazioni e che quindi più che sui regali sarebbe bene puntare al “come” usare i fondi che dovremmo ricevere.

Passiamo così al secondo punto

Ed è proprio su questo secondo punto che ci si misura sull’utilizzo dei fondi del NGEU. Che significa accusare il governo di voler privilegiare il laissez faire schumpeteriano anziché l’espansionismo keynesiano? Scrivono Brancaccio e Realfonzo: “Draghi ha esortato i governi a sostenere una – distruzione creativa – da libero mercato. Questo non è Keynes, ma una versione laissez faire di Schumpeter. Se il finanziamento europeo della resilienza non è più generoso, il governo Draghi potrebbe configurarsi come poco diverso dall’austerità dei tecnocrati che l’hanno preceduto”.

I due autori, quindi, preferirebbero inondare il paese di liquidità al fine di incrementare in modo sostanziale la domanda aggregata e quindi stimolare l’effetto Smith quale fattore positivo della produttività. Se non ci fossero i limiti e le indicazioni dell’Europa, che indicano gli obiettivi della digitalizzazione e dell’ecologia, sembrerebbe che gli autori indicherebbero addirittura una specie di helicopter money. E ciò senza chiedersi se la struttura attuale del nostro sistema produttivo è in grado di rispondere a questa spinta espansiva senza orientarla verso l’importazione.

Vedo invece nel nome di Schumpeter l’economista che considera l’innovazione come variabile endogena al sistema per cui la concorrenza avviene con l’introduzione di nuove tecnologie o nuovi prodotti, introduzione che spiazza la concorrenza e permette momentanee posizioni di monopolio. Nel nostro caso è il governo/parlamento che scelgie gli investimenti che, schumpeterianamente, devono tendere all’innovazione ed alla tecnologizzazione, recuperando quella produttività che per ben trent’anni ha segnato un tasso di incremento pari a zero. Considero quindi auspicabile un intervento schumpeteriano che, peraltro essendo guidato dal governo/parlamento, mi sembra tutt’altro che laissez faire.

L’approccio keynesiano eternizzerebbe una economia a basso contenuto tecnologico ancora una volta basata sul basso costo del lavoro; l’approccio schumpeteriano vedrebbe invece l’intervento pubblico spingere verso l’innovazione di processo o di prodotto, ad un recupero della competitività che urge al nostro sistema. L’importante mi pare che questi interventi non siano sotto forma di sussidi, agevolazioni, sconti, regali ma rimangano come partecipazioni statali, preservando nell’ambito della comunità i sacrifici dei contribuenti presenti e futuri.