COMMENTO AL DOCUMENTO POLITICO DI SOCIALISMO XXI

 

di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

Ho letto con molta attenzione la bozza di documento presentato dal direttivo di XXI secolo e ne ho apprezzato la serietà dell’analisi storica (storia come risultato della politica catarsi della filosofia) dell’ultimo secolo. Un documento che ben si solleva al di sopra del livello della discussione politica attuale, volgarmente intrisa di populismo ed elettoralismo. Voglio quindi dare il mio contributo costruttivo su alcuni punti:

1 – L’equiparazione nel periodo post ’29, e in particolare nei tre decenni postbellici, tra politiche socialdemocratiche e keynesismo, va, a mio parere, rivisto identificando nei due filoni, quello socialdemocratico e quello keynesiano, al di là di una coincidenza di politiche temporalmente condivise, una distinzione di fondo che semplificherei come segue. Keynes disvela le contraddizioni del liberismo ed indica nell’azione dello stato lo strumento per superare dette contraddizioni, ma in questa rivoluzionaria visione, Keynes salva il capitalismo usando lo stato e rimane coerentemente antisocialista. La socialdemocrazia condivide il nuovo protagonismo dello stato che individua come lo strumento più idoneo per una legislazione sul welfare di dimensioni mai conosciute su questa terra. La sua azione tuttavia si limita ad agire a livello sovrastrutturale sia nella creazione dello stato sociale sia nel limitare la sua azione nel controllo della struttura produttiva egemonizzata dal capitale. Ritorna la visione di Olof Palme del capitalismo come struttura da fortificare per meglio essere tosata per dare più benessere alle classi subordinate. Si accenna al periodo dell’IRI come fase in cui lo stato non si limita a “tosare” ma interviene anche nell’incidere sulla struttura produttiva. Ebbene penso che questo salto del ruolo dello stato che assume una nuova dimensione proprio nel modo di produzione vada approfondito.

2 – Il documento ad un certo punto recita:” Deve essere l’occasione per favorire legislativamente la individuazione e la promozione concertata tra le parti di una nuova organizzazione del lavoro e di nuove forme/contratti di lavoro compatibili con l’introduzione delle nuove tecnologie, ma ponendo al centro della attenzione i diritti dei lavoratori e dei cittadini in un equilibrato rapporto con le esigenze della competizione economica internazionale.”  Il punto che a mio parere è sottovalutato, è appunto quello “delle nuove tecnologie” che non richiedono solo nuove forme di contratti di lavoro ma che indicano allo stato una funzione fondamentale ed essenziale nel nuovo modo di produzione.

Parlo naturalmente della rivoluzione 4.0 che si basa su uno sviluppo delle tecnologie i cui livelli di produzione sono al di là delle possibilità del capitale privato per potente che sia. Mi rifaccio naturalmente ai testi di Mariana Mazzucato che spiegano in modo esauriente che tutte le meraviglie tecnologiche sviluppate negli USA dalle grandi come Amazon, Google, Apple etc. nascono da ricerche di base di apparati statali (pentagono, difesa, etc.) che possono investire in ricerche anche ad alto rischio di realizzazione e comunque in termini temporali inaccessibili al capitale privato. Ma è anche la realtà cinese che in pochi decenni da economia da ciotole di riso sta diventando la più potente realtà tecnologica (e quindi industriale) del mondo, e ciò grazie ad una programmazione precisa e determinata della politica statale.

Il caso Cina mette quindi a confronto l’efficienza di una programmazione centralizzata (con sovrastrutturale piuttosto dittatoriale) e una inefficienza della democrazia basata sulla libertà dei mercati. Quindi lo stato non può più limitarsi alla costruzione di un welfare generale senza porsi il problema di essere lo “stato-innovatore” soggetto detentore della responsabilità nella ricerca. Chiaramente questa nuova funzione mette in discussione la sovrastrutturale concezione della proprietà dei mezzi di produzione, anche perché questo nuovo modo di produzione creerà rivoluzioni sociali nei rapporti di lavoro (ivi incluse grosse esclusioni dal mondo del lavoro di milioni di lavoratori).

3 – Rimane completamente valido quanto scrive il documento relativamente alla cooperazione con il capitale privato che continuerà ad operare e che se inserito nei piani di una programmazione centrale, potrà avere “partecipazioni” dello stato, tenendo fermo il principio che i soldi che lo stato eroga sono soldi dei contribuenti e che quindi non possono essere regalati a fondo perduto, ma civilisticamente investiti nel capitale sociale con tutti i diritti di un investitore privato: dividendi e partecipazione al CdA, anche perché i dividendi debbono servire a finanziare un sistema di reddito di cittadinanza universale per gestire la rivoluzione occupazionale generata dalla rivoluzione industriale.