L’ALTRO 18 APRILE (1993)

di Franco Astengo |

L’esito della votazione avvenuta al Parlamento di Bruxelles sulle misure “europee” nel merito della crisi provocata dall’emergenza sanitaria, le minacce di chiusura dei “confini” pronunciate da alcuni presidenti di regioni meridionali, la vicenda della sanità lombarda, l’evidente fallimento delle molteplici task – force a livello governativo stanno segnando sicuramente il momento più basso, ai limiti del disfacimento, raggiunto in questi giorni dal sistema politico italiano.

Un sistema del resto ormai da tempo in crisi verticale.

Una crisi per la quale si può individuare una simbolica data d’inizio con il 18 aprile 1993, ventisette anni fa.

Nella storia d’Italia la data del 18 aprile ha rappresentato per ben due volte l’occasione per segnare una svolta epocale: nella prima occasione, quella del 1948 quando si svolsero le elezioni per la Prima Legislatura Repubblicana con il successo della Democrazia Cristiana e la sconfitta del Fronte Popolare.

In un’occasione successiva, quella del 1993, le urne furono aperte per un referendum che (tra altri convocati in quell’occasione) interessava la legge elettorale del Senato.

Di seguito, considerata l’importanza dell’affermazione ottenuta dal quesito, si aprì una stagione di profonda riforma proprio in campo elettorale. La riforma elettorale era considerata allora la chiave di volta per modificare l’intero assetto del sistema politico.

C’era chi, come il movimento capeggiato da Mario Segni oppure parte del PDS proclamava che l’adozione di un sistema elettorale maggioritario avrebbe semplificato il sistema, resa stabile la governabilità, fatta giustizia della corruzione, reso trasparente il rapporto tra eletti ed elettori.

Mai promesse da marinaio come quelle enunciate all’epoca hanno causato una vera e propria distorsione nella capacità pubblica di disporre di una corretta visione politica. Sulla base dell’esito referendario si realizzò un vero e proprio riallineamento dell’intero sistema.

In quel tempo ci trovavamo in una fase di grandi trasformazioni: la caduta del muro di Berlino, Tangentopoli, la stipulazione del trattato di Maastricht.

In Italia era in atto da tempo un forte scollamento tra la società civile e il sistema dei partiti.

Una fase di scollamento che si era mostrata evidente nell’occasione del referendum sulla riduzione a una sola delle preferenze esprimibili nell’elezione per la Camera dei Deputati, svoltosi nel Giugno del 1991 e osteggiato da parte della DC, dal PSI e dalla Lega Nord che, in quel momento, stava accelerando fortemente il suo processo di crescita.

Il referendum del 1993 passò a grande maggioranza e si aprì così la strada a quella stagione che è stata definita come delle “transizione italiana”.

Questi i dati finali:

Votanti 36.922.390 77,01% Voti validi
34.971.387
Schede bianche 1.207.710 Schede non valide (bianche incl.) 1.951.003
28.936.747 82,74% No 6.034.640
17,26%

“Tangentopoli” e “caduta del Muro di Berlino” rappresentarono i fattori decisivi perché ogni modello di forma – partito vigente fosse travolto, assieme ai resti del meccanismo dello “spoil system”.

La vittoria degli abrogazionisti impresse una svolta in senso maggioritario al dibattito e fu affrettatamente letta come una “chiara” indicazione proveniente dalla base del Paese a favore dell’abbandono del sistema proporzionale.

L’esito complessivo di quella vicenda, con l’evidente crisi a livello europeo della democrazia liberale classica, credo possa, a distanza di tanti anni, rendere giustizia al merito di chi, pur in netta minoranza, seppe in allora battersi contro quella che appariva già come una vera e propria illusoria furia iconoclasta.

In quel modo si cercò di abbattere, mortificando la Costituzione Repubblicana, alcuni dei pilastri della nostra democrazia sul terreno della rappresentatività politica e della centralità del Parlamento.

Si era così aperta la strada a uno dei periodi più mortificanti della nostra vita democratica.

Va sempre tenuto in conto l’operato di coloro che isolati e ignorati, in tempi successivi seppero combattere la battaglia contro formule elettorali chiaramente incostituzionali chiedendo e perorando il giudizio dell’Alta Corte che in ben due (storiche) occasioni ha bocciato l’operato del Parlamento e del Governo.

I giudizi della Corte Costituzionale rappresentarono vere e proprie vittorie della democrazia da non dimenticare quando si analizzano le vicende di questi anni tormentati.

L’esito referendario del 18 aprile 1993 significò invece un punto di vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo democratico del nostro Paese, considerato che dalle elezioni del 1994 in avanti il corpo elettorale non ha mai avuto la possibilità concreta di scegliere i propri rappresentanti.

Si è passati da un sistema misto di collegi uninominali e liste proporzionali bloccate a un sistema proporzionale interamente formato da liste e, dopo aver tentato addirittura di proporre un sistema che avrebbe fornito la maggioranza assoluta con liste bloccate senza alcuna soglia da raggiungere sul modello della legge fascista Acerbo del 1924, ad un altro sistema misto con collegi uninominali e liste ancora bloccate.

Una serie di passaggi di vera e propria involuzione anti-democratica nel procedere dei quali si sono via via affermati soggetti politici di natura padronale, personalistica, di destra populista e sovranista, di antipolitica travolgendo un già debole sistema dei partiti.

Sistema dei partiti dal quale sono scomparse le strutture ad integrazione di massa, a suo tempo decisive per la ricostruzione del Paese travolto dalla guerra fascista.

Quella presente nell’attualità non può essere che giudicata come una situazione sconfortante.

Purtuttavia dobbiamo ritrovare il coraggio almeno di testimoniare la presenza di una capacità alternativa di ricostruzione di una azione politica fondata sulla ripresa dell’idea della rappresentanza, della sua proiezione istituzionale, del recupero di ruolo delle assemblee elettive, di pienezza della democrazia repubblicana.