CORONAVIRUS ED ECONOMIA

 

di Renato Costanzo Gatti –  Socialismo XXI Lazio |

 

Alla domanda: come andrà l’economia a seguito del Coronavirus? La risposta è facile: le cose andranno male!

Il fenomeno del Coronavirus spinge ad alcune riflessioni che mettono in discussione certezze acquisite e spingono a nuove riflessioni che spingono in avanti il pensiero, in questo caso economico, ma che si estendono necessariamente al campo politico.

Le tematiche che penso di svolgere riguarderanno:

● Andamento dell’economia mondiale e di quella italiana

● Globalizzazione come causa prima

● Che può fare l’Europa

● Che può fare la BCE

● Caduta del saggio di profitto

● Compito dei socialisti

Andamento dell’economia mondiale e di quella italiana

L’emergenza virus renderà necessario l’aumento delle spese sanitarie, incrementando la spesa pubblica e aumentando quindi sia il deficit che il debito di tutti i paesi mondiali. Si dovranno assumere più infermieri e medici, forse anche investire in edilizia e in macchinari per attrezzare ospedali per le terapie intensive. Quando fosse scoperto il vaccino si dovrà affrontare il tema se vaccinare tutti gratuitamente e se subire la prepotenza dell’industria farmaceutica che lo produce a meno che il vaccino sia scoperto dalla sanità pubblica ed allora potrebbe essere utilizzato senza royalties. Si dovrà spendere di più per l’assistenza domiciliare; per sanitanizzare locali, treni, stazioni, aeroporti, teatri etc.; si dovrà investire per permettere le lezioni scolastiche via rete per fare telescuola, insomma è facile prevedere un aumento della spesa pubblica, quindi del debito, degli interessi, dello spread e di conseguenza si dovranno aumentare le entrate pubbliche.

Ma i costi più alti saranno pagati a causa del calo della produzione e del commercio e ciò a livello mondiale. Scenderanno gli interscambi mondiali che già erano in crisi per la guerra dei dazi tra USA e Cina; purtroppo non è difficile prevedere che l’Europa meno coesa delle altre due potenze continentali, sarà destinata a soffrire più pesantemente, anche a causa del fatto che, congiunturalmente, le cose non stavano già andando bene, si pensi al calo della produzione automotive della Germania. Il calo degli scambi internazionali farà scendere il PIL mondiale e renderà più difficili i rapporti internazionali, basti pensare alle ripercussioni generate dalla produzione di petrolio con le ricadute inevitabili sui paesi importatori, senza dimenticare i riflessi sull’agricoltura e sulle imprese da essa dipendenti. Da non dimenticare poi gli effetti catastrofici che si abbatteranno sul turismo e sulle attività indotte.

Quindi ciò che dobbiamo temere, non è tanto quelle decine di miliardi che dovremo spendere come bilancio pubblico per far fronte all’emergenza virus, quanto ai riflessi nella divisione internazionale del lavoro.

Per quanto riguarda l’Italia la situazione è ancor più grave in quanto già la stagnazione stava per trasformarsi in recessione e questa ulteriore difficoltà proprio non ci voleva. Inoltre il nostro paese non ha quell’autonomia di azione che potrebbe avere un paese non vincolato a trattati europei e legato ad una moneta unica, non è una critica antieuropeista ma una ovvia considerazione.

Molto poi dipende dalla durata che questa emergenza potrà avere, per quanto tempo cioè dovremo subire gli effetti negativi del virus, prima di poter ripartire, sperando che la ripartenza sia programmata e preparata fin da ora per essere pronti quando il tempo verrà; tuttavia non si può sperare che l’epidemia duri pochi giorni, si dovrebbe pensare a una durata di almeno qualche mese, sperando che l’arrivo del caldo possa debellare il morbo.

Globalizzazione come causa prima

Tornando ai fatti economici rileviamo che le difficoltà nei commerci internazionali sono caratterizzati dalla globalizzazione, cioè da quel fenomeno che contraddistingue l’attuale distribuzione su tutto il globo della produzione di prodotti. Le varie componenti dei prodotti non sono infatti sempre prodotti nello stesso stabilimento ma le parti vengono prodotte in luoghi diversi nello stesso o anche in altri continenti, ad esempio nella produzione di auto lo stabilimento esegue generalmente l’assemblaggio di parti che provengono da tutto il mondo, in particolare dalla Cina, per cui se un paese entra in crisi per qualsivoglia ragione si crea una strozzatura che blocca tutta la linea, e ciò non solo per le auto, ma per tutti i prodotti che conosciamo.  L’interdipendenza della produzione mondiale è la causa di maggior preoccupazione per l’andamento del PIL mondiale anche per il fatto che il blocco della produzione si sposta nel tempo da un continente all’altro facendo dilatare i tempi di blocco combinato.

Ecco allora un punto critico di riflessione, ovvero l’inadeguatezza del sistema di produzione attuale rispetto alla globalizzazione della produzione delle varie parti componenti il prodotto finale. Se internet ha superato i problemi di spazio nella rete mondiale, la produzione fisica risente di una debolezza nella rete comunicativa che rischia di creare intoppi e bottle-necks nella catena. Forse le stampanti 3D permetteranno di superare almeno parzialmente queste difficoltà.

Che può fare l’Europa

L’Europa non ha la forza delle altre potenze continentali per affrontare congiuntamente problemi come quello che stiamo attraversando. Può fare qualcosina come ha fatto come per esempio considerare non strutturale lo sforamento del deficit che uno stato membro dovesse fare per affrontare la crisi del Coronavirus. Ciò significa che lo sforamento per esempio dei 7 miliardi che il governo italiano prospetta non viene considerato strutturale ma eccezionale e quindi non varia i parametri in base ai quali la gestione del deficit viene operata. Ma siamo tutti convinti che lo sforamento di 7 miliardi è solo il primo passo per affrontare le maggiori spese per interventi sanitari e sociali ritenuti necessari in questa prima fase. A mio parere, se l’emergenza durerà qualche mese, serviranno altri stanziamenti specialmente quando le strutture sanitarie non saranno più in grado di sostenere il peso di terapie intensive per grandi numeri di pazienti. Pensiamo ad esempio cosa potrebbe comportare anche una piccola percentuale di casi necessitanti terapie intensive, se il virus dovesse diffondersi su tutto il paese, ipotesi tutt’altro che remota. Dovremmo allora pensare a decine di miliardi.

Ma la parte più difficile sarà per quei fondi che il governo dovesse stanziare per aiutare i lavoratori, le imprese, i commercianti ovvero per ridare ossigeno ad un paese in terapia economica intensiva. Si deciderà l’Europa a dismettere la sua funzione di notaio-ragioniere che gestisce senza strategia indici e zerovirgola? Si deciderà ad assumere quel ruolo programmatorio che l’infelice piano Juncker aveva cercato di abbozzare? Non c’è molto da aspettarsi su questo fronte stante il livello dei politici europei e i sistemi decisionali previsti per il mutamento dei trattati o anche di soli orientamenti politici. Per quanto riguarda il MES non siamo nelle situazioni in cui esso debba essere applicato, ovvero grave crisi di un paese o di una banca, tuttavia, visto che è in discussione, sarebbe il caso di metterne in discussione gli aspetti più contestabili almeno per dare un segno di mutamento e di riscossa al conformismo europeo.

Che può fare la BCE

La BCE può fare molto come fece per il Q.E., ma occorre tener conto che non c’è più Draghi anche se il basso tasso di inflazione potrebbe giustificare ancora una immissione di liquidità. Certo che però dovrebbe essere mutata la direzione verso la quale la liquidità è indirizzata, per esempio dovrebbe andare verso la BEI quale finanziatrice di un programma europeo di investimenti. Ma a Francoforte c’è la Lagarde di cui non conosciamo i propositi e le forzature sullo statuto della BCE non possono essere pensate più di tanto. Certo pensare agli eurobonds non sarebbe una cosa azzardata in questo frangente.

 Caduta del saggio di profitto

In questo scenario, non sono le borse che crollano e gli speculatori che giocano al ribasso a preoccupare più di tanto quanto la caduta del saggio di profitto che scatenerà il capitale alla ricerca di ritrovare i margini cui aspira, e li ricercherà nello Stato nella sua mansione di salvatore di ultima istanza, di socializzatore delle perdite e elemosiniere per i profitti. La reazione del capitale scaricherà, come prima reazione, le sue difficoltà sul mondo del lavoro sia a livello salariale che in termini di posti di lavoro, incurante che ciò comporti ovviamente un crollo della domanda. Si rafforzeranno le imprese più forti e molte piccole saranno costrette al fallimento, si scatenerà una nuova battaglia per combattere la recessione e ritrovare la strada della ripresa principalmente utilizzando lo strumento dello Stato. Ci saranno potenti pressioni affinchè lo stato si inventi aiuti e stimoli a carico della collettività a favore del capitale.

Compito dei socialisti

Di fronte alle difficoltà che ci troveremo a dover affrontare, vedrei con favore un tele-convegno di tutti i partiti socialisti europei che lavorino insieme per portare in Europa e nel nostro paese, una strategia di uscita dalla crisi che coinvolgendo le imprese punti su una politica di programmazione a livello europeo e locale capace di disegnare una strategia di rilancio delle attività produttive e dell’occupazione. Una ripresa basata su investimenti pubblici che coinvolgano tutto il mondo del lavoro, ma che sia frutto della coordinazione della comunità, della ricerca di scelte condivise razionalizzate e programmate. Opponendosi all’economia del trickle-down ma rivolgendosi ad un mercato regolato.

Sarebbe importante pensare anche allo strumento della moneta fiscale come mezzo per finanziare, senza ricorrere ai mercati, i progetti di rilancio dell’economia, anche a livello nazionale onde ridare una certa autonomia alla politica economica italiana costretta tra regole europee che sarebbero degne di una radicale revisione in senso socialista.