di Ezio Vigorelli* |
Nell’atto di consegnare il manoscritto all’editore Arnoldo Mondadori, compio sessant’anni. L’età dell’uomo che lavora per sé, per il proprio avvenire, è finita. La brevità del cammino che rimane consente una piú grande libertà: e – prima fra tutte – la libertà dalla paura, perché nulla piú, veramente, si ha da temere: non la morte che in ogni caso è vicina e appare perfino col volto della liberatrice; non la vita che per una sola ragione merita di essere vissuta: per farne dono all’avvenire dei giovani, i quali faranno quello che noi non saremo riusciti a fare.
Quanti sono gli italiani di buona fede e di buona volontà che ci hanno confidato il loro turbamento? «Anch’io mi sento socialista …» «Quando vedo tante ingiustizie, sono socialista anch’io» «Se vedessi chiaro cosa volete, sarei felice di darvi il mio appoggio …» «Ma se questo è il socialismo, mi faccio anch’io socialista, al cento per cento … E quante volte siamo rimasti perplessi e turbati di fronte a questi discorsi e la nostra anima socialista avrebbe voluto trovare la forza della persuasione; e quante volte ci siamo domandati perché mai, per quali vicende e disavventure, per quali colpe di uomini, l’Italia – privata di un forte Partito Socialista – non possa camminare al passo con i piú civili paesi d’Europa.
So bene: questo, di chi non ha un orientamento o non sa imporselo, è un socialismo all’acqua di rose, velleitario e sentimentale. Ma non è già un passo avanti rendere cosciente quello che è nel subcosciente? E non è nostro compito diffondere fra gli italiani la coscienza della nostra idea a cominciare dai simpatizzanti, anche se lo siano piú per intuito che per meditazione? E non è forse consolante toccare con mano che gli italiani sono socialisti, anche se non lo sanno?
In tutto il mondo il socialismo si «fa» ogni giorno contro le vecchie impalcature che cadono a una a una; e lo si «fa» nei Paesi socialisti e nei Paesi che socialisti non sono, tanta è la sua forza d’attrazione; e dentro i confini si realizza con l’intervento economico dello Stato e con l’organizzazione della sicurezza sociale; e nei rapporti internazionali, con la trasformazione dei vecchi imperi coloniali in comunità e in confederazioni di popoli liberi.
Questa pubblicazione vuole appagare l’attesa degli italiani che desiderano vedere chiaro: non ha la presunzione di addentrarsi nelle teorie e nelle strutture; di formulare programmi su tutte le cose che sono da fare senza indugio; di avere pronte su ogni problema le verità che non si discutono. Con la consapevolezza dei limiti delle nostre forze, abbiamo voluto tracciare uno schema, opinabile ed emendabile, da proporre per discussioni proficue, per un’azione politica attinta ai principi – vorrei dire al sentimento – del socialismo, ma aderente alla realtà viva e palpitante del nostro tempo.
Su questo schema altri costruiranno, specialmente se riusciremo a portare i nostri uomini maggiori e migliori, dal chiuso delle frazioni – dove ci si logora in dispute vane – alla grande aria, dove gli italiani attendono di sapere se il nostro movimento è finalmente pronto a marciare in testa alle forze fresche del Paese. Per questo chiediamo un programma serio e concreto, che respinga nettamente le suggestioni massimalistiche e la pigra invocazione dei «sacri testi» e delle formule antiche; che ponga a fuoco i problemi essenziali e ne suggerisca le soluzioni possibili nel giro di una legislatura; che sia capace di vincere la tensione sociale prima che esploda brutalmente.
Animati da questi propositi i deputati del P.S.D.I., nella seduta di Gruppo del 14 settembre 1951, deliberavano la costituzione di alcune Commissioni miste di studio, chiamando a farne parte – con criterio nuovo – anche studiosi estranei alla Camera. Queste Commissioni hanno il compito di approfondire i problemi sociali politici ed economici attuali e di proporne le soluzioni al Parlamento, che rimane pur sempre la palestra piú efficace per la difesa dei diritti e degli interessi dei lavoratori. L’attenzione dei deputati e degli esperti ha investito problemi di diversa natura, dall’attuazione della riforma agraria alla lotta contro i monopoli, dalle fonti di energia alla sicurezza sociale, dalla formazione dei giovani all’emigrazione e al turismo.
Ma, in questo momento importante per la Democrazia Italiana, alla vigilia delle elezioni del 1953, mi è parso opportuno e conveniente abbozzare queste «direttive» politiche, traendole dalle annotazioni dei relatori delle singole Commissioni Parlamentari. Uomini diversi per età, cultura, esperienza, temperamento, hanno collaborato a queste pagine; ma è stato sufficiente annunziarle, perché – a conforto di tutti – alcuni compagni allontanatisi negli ultimi anni ritornassero al nostro fianco per le nuove battaglie. Certamente un libro cosí fatto, portato avanti negli intervalli di tempo tra i lavori parlamentari e le responsabilità degli uffici pubblici, è pieno di lacune e di imperfezioni. Non ci dispiace tuttavia che sia cosi, se esso saprà riflettere l’immediatezza dei moventi, la semplicità del sentire, le esperienze che abbiamo vissuto.
Alcuni argomenti sono analizzati e svolti con precisione; altri appena abbozzati per additarli alla meditazione e alle critiche; altri, infine, neppure accennati, perché non abbiamo mai pensato di poter dare fondo a tutti i problemi. Una cosa però è sicura: la difesa della democrazia – di questa democrazia sia pure gracile, e per ora mediocre, che abbiamo conquistata a tanto caro prezzo – non ha senso per noi socialisti, se non come difesa di una linea raggiunta che condiziona una nuova avanzata. Vogliamo esprimerci su questo punto con estrema chiarezza, perché ogni equivoco ed ogni eventualità di equivoco siano fugati: il socialismo democratico non nasconde la testa sotto l’ala: accetta e fa proprie tutte le conquiste del progresso e della democrazia liberale; vuole anzi sottrarle al godimento di una sola classe; vuole affrancarle dai privilegi e dalle discriminazioni; vuole farne partecipi, in eguaglianza di diritti e di doveri, tutti gli italiani fino al limite consentito dalle conquiste della tecnica moderna.
L’idea della libertà è per noi indissolubilmente legata al principio dell’associazione; ed in questo sta la nostra differenza dai liberali e dai «nenniani». Gli uni, per cieca avversione al comunismo, incapaci di intendere che la povertà è il piú grave impedimento e la piú iniqua violazione della libertà, finiscono a creare l’ambiente propizio alla rivolta e alla resurrezione, sotto nuove parvenze, del fascismo; gli altri, immobili sulle vecchie concezioni del socialismo, sempre di là da venire, favoriscono i piani dei conservatori e dei reazionari e continuano a credersi di «sinistra» mentre si fanno affossatori della libertà a profitto del totalitarismo comunista.
Tra l’assolutismo bolscevico non ancora aperto alla democrazia, che auspica il «tanto peggio – tanto meglio», e le grottesche sopravvivenze dittatoriali – ad esempio della Spagna – l’umanità potrà trovare il suo assetto soltanto nel socialismo, illuminato dalle tradizioni di Jaurès e di Turati, sperimentato concretamente dai laburisti inglesi e scandinavi, i quali – pur avendo sostituito la solidarietà sociale al profitto individuale – hanno sempre esaltato i principi della libertà.
L’interesse dei lavoratori è di inserirsi nel sistema della democrazia, per conquistare lo Stato e gli Enti autarchici e volgerli a profitto di tutti; non è certo quello di sconvolgere il sistema e distruggere la libertà – come i falsi pastori consigliano – per finire a servizio di un tipo di Stato autoritario e poliziesco, nel quale un gruppo di burocrati ha preso il posto della classe capitalistica e sfrutta la ricchezza collettiva per conservare il potere ad ogni costo, togliendo al popolo la facoltà sovrana di destituire o sostituire i suoi capi. In Italia il socialismo democratico potrebbe avviarsi subito per la via delle realizzazioni economiche e sociali, senza che nessun turbamento ne derivi alla vita civile. La democrazia socialista è un movimento di progresso e di civiltà, al servizio dei lavoratori, per il bene di tutto il popolo.
Non ha nulla da conservare all’infuori del grande patrimonio della civiltà europea; ma in questo patrimonio non include le politiche consunte delle vecchie classi dirigenti, preoccupate unicamente dei propri profitti. Come nella grande epopea della resistenza non avevamo per obbiettivo la difesa di interessi materiali, né di un confine o di un territorio, ma – tutti insieme – l’affermazione dei valori eterni dell’idea cristiana e liberale a servizio della socialità, cosí ancora a quei valori vogliamo continuare ad ispirarci per dare finalmente la Patria anche ai poveri.
Ma a questo fine dobbiamo lavorare duramente per con-quistare alle nostre idee gli uomini liberi; e non possiamo trastullarci nella illusione deterministica, perché il socialismo non verrà, se ognuno di noi non farà ogni giorno qualche cosa – piccola o grande – per avvicinarlo : «l’avvenire della società socialista non è fatale; esso richiede lo sforzo cosciente di tutti i suoi seguaci».
(1) Dobbiamo soprattutto essere sempre noi stessi, sinceramente e fermamente; non abbandonare il prezioso bagaglio della nostra fede e dei nostri ideali; non confondere l’essenziale, che è il fine dell’azione politica, con il «non essenziale», che riguarda le cose contingenti – come ad esempio la partecipazione al governo che è questione di modo, di condizioni, di garanzie. Nel prossimo Congresso dell’Internazionale Socialista terremo cosí il nostro posto tra i grandi partiti fratelli. Queste pagine – scarne e modeste – vorrebbero avere tanta eloquenza da invitare alla meditazione i giovani, senza i quali non c’è speranza di avvenire; i lavoratori, e cioè non soltanto gli operai e i contadini che sanno come la nostra bandiera, dal lontano Congresso di Genova, sia dispiegata per loro e i ceti medi – che sono la grande riserva dei professionisti e dei tecnici – i quali, con il lavoro e la sobrietà, nell’ordine morale e nella disciplina interiore, assicurano la vita spi-rituale ed economica del Paese; le donne – madri e spose – che nella famiglia e nella vita hanno ormai le stesse nostre responsabilità, e devono intendere che soltanto nel sociali-smo è la pace per tutti; gli italiani di ogni fede e di ogni ordine, insomma, che hanno troppo sofferto per non volere finalmente la via della serenità e del progresso, la via del socialismo – che è la loro anche se non lo sanno.
(1) Dichiarazione dei principi del Socialismo democratico dell’ «Internazionale Socialista».
*Chi era Ezio Vigorelli
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.