Rino Formica a 20 anni dalla morte di Craxi
di Generoso Picone – Il Mattino |
«Rino Formica, 92enne ex ministro e storico dirigente del Psi, ai cui ideali è rimasto fedele (oggi presiede il movimento «Socialismo è Libertà»), guarda al 19 gennaio, ovvero i 20 anni dalla morte di Craxi. «Bettino commise tre errori, ma aveva compreso benissimo quali fossero i rischi del populismo. Nel ’91 sbaglio a non andare al voto, poi fallì le scelte di Scalfaro e Amato. Il Psi fu il capro espiatorio da sacrificare».
A Rino Formica piacciono poco niente le liturgie degli anniversari, la retorica delle intitolazioni di strade, l’apposizione di lapidi e targhe, insomma tutto quel cerimoniale che nasconde sempre «una scorciatoia semplificatrice e consolatoria – dice -buona a mettere a posto la coscienza e non a risolvere». Il novantaduenne ex ministro e storico dirigente del Psi, ai cui ideali è rimasto fedele presiedendo oggi il movimento «Socialismo è Libertà», perciò guarda al 19 gennaio, alla data cioè che sancirà i 20 anni dalla morte di Bettino Craxi, con un certo sospetto e una sola aspettativa.
Quale?
«Che, a 20 anni dalla sua morte e a 30 dalla fine della Guerra fredda con la caduta del Muro di Berlino, ci possa essere un momento di riflessione seria su un protagonista di centrale importanza della storia della sinistra italiana con responsabilità elevate di governo e di direzione politica del Paese, per altro in una fase segnata da una crisi generale di sistema, dall’inizio degli anni ’80 alla fine dei ’90. Questa dovrebbe essere la vera riflessione che andrebbe svolta, senza sbirciare dal buco della serratura sulla vicenda di Craxi. Sarebbe l’occasione utile per misurarsi con il quarantennio che va dal termine degli anni ’40 agli ultimi ’80 in cui l’Italia è stato un luogo di frontiera. Anzi, di tre frontiere».
Quali?
«Quelle esterne Est-Ovest e Nord-Sud e l’interna con lo Stato Vaticano. Si è trattato di una condizione che imponeva vincoli, ma pure margini di discrezionalità. Veniva conservata la democrazia, ma stando sul piede di guerra. Dal 1989 al1994, invece, tutti hanno giocato senza più avere una rete di protezione: i due campi ideali in cui era diviso il mondo si ritrovano a confluire in uno solo nell’illusione che dall’implosione del comunismo
la democrazia potesse espandersi irreversibilmente coniugandosi al capitalismo lungo una strada facile e lineare. È una situazione che naturalmente si ripercuote anche in Italia, dove salta il sistema di regole vigente ed emerge la debolezza di un capitalismo privato assistito e di un capitalismo pubblico inquinato dalla politica.
Si rompe il rapporto tra istituzioni, politica ed elettorato. Si pone un problema di riordino del potere in termini politici, economici e sociali. Si va alla ricerca dell’anello debole da sacrificare».
L’anello debole sarebbe stato individuato nel Psi di Bettino Craxi?
«Il Psi era l’anello debole del sistema politico e costituì il capro espiatorio da sacrificare. Craxi ha rappresentato il punto politico più elevato nella storia della formazione della classe dirigente della Prima Repubblica che nel nome del dinamismo cercava di non assoggettarsi a un nuovo sistema bloccato. Ricorda il discorso che Bettino Craxi tenne al congresso di Bari dal 27 al 30 giugno 1991?».
Quando citò Giovanni Spadolini?
«Il quale a sua volta aveva citato Ugo La Malfa. Lui aveva detto: “Io potrei fare il populista, mettermi alla testa di una rivolta, prendere altri 3-4 milioni di voti grazie alla crisi del sistema. Ma non posso farlo, perché io sono figlio di questo sistema”. E Craxi chiuse sottolineando: “La penso esattamente allo stesso modo”. Un discorso di enorme levatura storica, pronunciato quando stava nascendo la ribellione nelle aree di rifugio di tutti gli sconfitti raccolti in una specie di Arca di Noè. Stava nascendo il populismo italiano e Craxi lo aveva capito. Io credo che quello sia stato il suo vero testamento politico, più dell’intervento sul finanziamento ai partiti alla Camera il 3 luglio 1992». Il quadro, comunque, era irrimediabilmente compromesso. «Craxi commise tre errori.
Il primo: non aver voluto andare alle elezioni nel 1991, evidentemente preoccupato per la fragilità del Paese e del rischio dell’ingovernabilità.
Il secondo: non aver voluto affidare alla scelta del presidente della Repubblica, nel maggio 1992, un segnale di rinnovamento, lasciandosi convincere da Marco Pennella a votare Oscar Luigi Scalfaro illudendosi che sarebbe stato un elemento di equilibrio sulla scorta dell’esperienza da ministro dell’Interno nel suo governo.
Il terzo: aver accettato che nel giugno 1992 l’incarico di presidente del consiglio andasse a un socialista non segretario del partito. Lui diede tre nomi non in ordine alfabetico, di Giuliano Amato, di Claudio Martelli e di Gianni De Michelis. La nomina di Amato si rivelò un grave errore di valutazione. Anche la lettera che gli inviò ad Hammamet di cui si sa ora, un monumento di infedeltà per fine contratto, conferma che Amato si è dimostrato ciò che era. Quanto avvenne dopo il 1992 è riassumibile nel riassetto del sistema capitalistico e politico italiano».
Ma dall’inizio del1990 era intanto partita la stagione di Mani pulite ed era esplosa Tangentopoli.
«Dopo gli ’80 l’opzione giudiziaria appare una delle due vie d’uscita, una delle riposte agli sbandamenti populisti. L’altra era il golpe impossibile perché non si era più negli anni ’60 dei Colonnelli in Grecia. Il golpe giudiziario è l’operazione in cui far intervenire magistrati senza velleità politiche, ma con interesse a suggerire soluzioni. A rivoltare l’Italia come un calzino, come si diceva. Nel pool di Milano c’era chi era sensibile ai servizi internazionali, chi alla destra non governativa, chi alla sinistra che voleva governare. Il tema sollevato della corruzione è un classico della destabilizzazione, materia di studio nelle Università americane».
La corruzione, però, ci fu davvero.
«Soltanto allora?
Se ieri era fuori controllo, oggi è incontrollabile, incontrollata ed è un problema non soltanto delle forze politiche».
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.