TRATTO DAL PROGRAMMA MINIMO DI SOCIALISMO XXI – RIMINI 2019

L’insistenza, tipica di molti giuslavoristi, del ricorso alle leggi per normare materie invece più proprie del rapporto di lavoro e perciò delle relazioni contrattuali tra le parti, va, laddove possibile, evitata. Questa pratica, inaugurata dai governi Berlusconi, proseguita con Monti fino a Renzi ed oggi anche con l’attuale Esecutivo giallo-verde, manifesta un atteggiamento che ignora il ruolo delle parti sociali (che spesso su queste materie non sono state nemmeno consultate) e dell’autonomia contrattuale che i socialisti hanno sempre rispettato e valorizzato.

I socialisti sono sempre stato favorevoli ad una legislazione di sostegno delle principali norme sancite dai CCNL e/o degli accordi interconfederali ma non sostitutiva degli stessi.

Inoltre occorre particolare attenzione ad evitare di confondere le politiche attive del lavoro (quelle che creano nuova occupazione o reimpiego) con le misure legislative che riguardano più la tutela del lavoratore.

Infatti, esiste una ricorrente erronea idea – ad es. – che vede nel restringimento del campo delle “flessibilità” lo strumento che possa meglio difendere i livelli di occupazione.

Questo obiettivo, invece, si realizza con politiche economiche ed industriali espansive e non restrittive, con forti investimenti pubblici e privati, stimolati quest’ultimi da agevolazioni fiscali o misure premiali piuttosto.

Se il mercato “tira” molti contratti a tempo determinato sono tradotti come definitivi, indipendentemente dai vincoli, tant’è che il 4^ trimestre del 2018 che vede affacciarsi non solo una stagnazione ma – forse – anche una nuova recessione, si registra una caduta delle ore lavorate e delle assunzioni sia a tempo indeterminato che a tempo determinato!!

Certamente l’eccesso di flessibilità e meglio ancora l’uso, spesso distorto ed incontrollato di molte norme, ha prodotto una situazione di precarizzazione che va regolata, anche se, in parte, è già avvenuto con il decreto “Dignità” sul lavoro varato dall’attuale Governo.

Riguardo al lavoro interinale, è necessario un intervento finalizzato a rivedere le regole ma dovrebbe essere esclusa la semplice soppressione.

Stesso discorso vale per quanto riguarda la normativa riguardante l’art 18, rispetto al quale andrebbe ipotizzata anche l’eventualità di rendere praticabile lo strumento della conciliazione ed arbitrato che renderebbe più spedito l’iter per giungere alla conclusione di una vertenza di ricorso contro un licenziamento considerato illegittimo e valorizzerebbe il ruolo delle parti sociali titolari della contrattazione.

E’ indispensabile rivedere l’art. 32 della legge 183/10 confuso e complicato, tale da rendere difficile l’esercizio di gestione delle tutele per i lavoratori.

E’ necessario ripristinare la gratuità di tutte le controversie di lavoro e previdenziali, come è avvenuto in Italia dal 1973 fino al 2011.

Occorre abrogare il rito Fornero per i licenziamenti, in quanto fonte di inutile duplicazione del giudizio di primo grado.

Occorre introdurre norme che rendano effettivo, almeno per i licenziamenti, il rispetto dei termini veloci per lo svolgimento del giudizio previsti dalla legge n. 533/1973.

Vanno rivisti i meccanismi dei c.d. ammortizzatori sociali per evitare che divengano strumenti di assistenzialismo improduttivo: tutte le indennità, in particolare sia quelle di Cassa integrazione che di disoccupazione (attuale NASPI), vanno, oltre che ridotte per durata, condizionate alla frequenza obbligatoria di corsi di qualificazione o di attività di interesse sociale e/o pubblico, che vanno obbligatoriamente attivate da enti pubblici.

L’obiettivo della ricollocazione al lavoro di coloro che sono stati sospesi per un lungo periodo o licenziati per crisi aziendali, va ricondotto in un preciso contesto legislativo: è un tipico argomento (non limitandosi solo all’erogazione di un sostegno al reddito) di politiche attive del lavoro 

Vanno ampliate norme a favore di lavoratori genitori e in particolare delle lavoratrici madri. Tale questione è affrontata dai principali CCNL che hanno esteso agevolazioni -oltre ai tradizionali benefici che riguardano le lavoratrici madri- per ambedue i genitori per l’assistenza ai figli disabili e non solo a quelli in tenera età.

Si propone l’adozione di uno STATUTO DEI LAVORI.

Lo Statuto voluto dal compianto Giacomo Brodolini e steso materialmente dal compagno Gino Giugni, fu tarato allora su una concezione statica del lavoro dipendente tradizionale che negli anni successivi ha subito parziali trasformazioni.

Vi sono attività c.d. autonome (”partite iva”) più subordinate di quelle tradizionali ma prive di tutela anche sul piano salariale oltre che normativo e dei diritti. Vi sono poi attività (e figure professionali) che, pur dipendenti da una azienda, operano fuori dall’azienda e con propri mezzi in un regime di apparente “autogestione” (lavoro a domicilio, telelavoro, etc.) che avrebbero bisogno di essere tutelate al pari del lavoro subordinato tradizionale. La legge 300/70 non ne parla.

Non è vero che vi siano lavoratori che non hanno copertura contrattuale. In comparti deboli sindacalmente il CCNL può non essere applicato ma – in questo caso – siamo in presenza di violazioni non di assenza di norme. Non esiste un solo settore, una sola categoria che non sia coperta da contrattazione nazionale. In comparti a basso potere sindacale può esserci una normativa “non aggiornata” rispetto al sorgere negli ultimi tempi di nuove figure professionali e quindi di nuove problematiche. Si tratta in questo caso di rendere il CCNL di categoria o di settore più rispondente all’evoluzione dei lavori intervenuta in quel contesto i riders ad esempio possono essere benissimo inquadrati o nel CCNL del terziario.

L’affermazione che alcuni nuovi lavori, alcune nuove qualifiche sarebbero prive di tutela contrattuale è un argomento utilizzato dai teorici del “salario minimo garantito” fissato per legge, soluzione discutibile perché il salario minimo garantito già esiste in Italia ed è rappresentato dalla retribuzione minima prevista dai singoli CCNL per l’ultima qualifica.

Oltre a rappresentare un negativo condizionamento all’autonomia contrattuale (obiettivo mai abbandonato dai governi non progressisti), il salario minimo per legge non potrebbe che essere di un valore inferiore a quello minimo previsto dalla maggioranza dei contratti nazionali. Per quale motivo i datori di lavoro dovrebbero poi negoziarlo nelle rispettive categorie se esiste per legge??

Semmai, nel nostro Paese, Vi è una eccessiva proliferazione di CCNL come dimostrato dall’anagrafe insediata presso il CNEL che registra circa 450 CCNL, con un aumento di duecento contratti rispetto a dieci anni fa.

Molti sono “contratti di comodo”, negoziati e firmati da organizzazioni sia datoriali che sindacali, di “comodo” per stabilire normative e condizioni salariali “in pejus” rispetto a quelle previste dai contratti negoziati dalle organizzazioni storiche e/o maggiormente rappresentative.

 Questo, allora, è un aspetto sul quale deve intervenire la legge per stabilire il riconoscimento di soggetto negoziale sulla base di indici di rappresentatività misurata ed accertata, così come avviene da vari anni nel pubblico impiego.

Una volta “disboscata” la giungla di false organizzazioni e quindi non riconosciuti patti di lavoro “di comodo”, la legge dovrebbe altresì introdurre norme e misure che possano favorire e sostenere forme di “cogestione” e/o “codecisione” ai fini della partecipazione dei lavoratori agli obiettivi di sviluppo aziendale nonché relazioni collaborative tra le parti proprie di Enti o comitati bilaterali per la promozione e gestione comune tra imprese e lavoratori di forme di welfare aziendale o settoriale e della formazione professionale.

Rudolf Meidner, studioso e ricercatore socialista svedese della confederazione sindacale L.O. lo definì il “socialismo dell’autogestione”!!