L’AVVENIRE DELL’EUROPA

di Anna RitoSocialismo XXI Basilicata |

Le elezioni europee si avvicinano e finora non si è ancora sentita, dai candidati dei  partiti che riusciranno, presumibilmente, a superare la soglia del 4 %, un’indicazione chiara sul loro operato nel caso venissero eletti al Parlamento europeo. Sui social non se ne parla in modo chiaro e nei dibattiti televisivi si assiste ai soliti insulti, slogan e promesse e agli strategici litigi per confermare i propri elettori (e disorientare ulteriormente gli indecisi).

L’unico dato che sembra confermarsi è che gli uomini di partiti euroscettici, oggi al governo, da uomini tutti d’un pezzo ispirati da principi che non si spezzano, ma che invece possono oscillare alla bisogna, non minacciano più referendum sull’Euro e altri sfracelli. Avranno capito che uscire dall’Europa sarebbe un suicidio collettivo?  Forse e più verosimilmente, i risultati degli ultimi sondaggi li hanno indotti a prendere atto che gli italiani non li seguirebbero in un’avventura anti europea. (Questo è almeno è un risultato positivo della sciagurata Brexit).

Gli anni trascorsi per cercare di costruire una casa comune per i popoli europei dove valori quali il mantenimento della pace, i principi del pluralismo liberale, l’apertura al mondo, il rispetto dei diritti individuali, la precedenza del principio di legalità su quello dell’autorità personale non hanno prodotto né il risultato sperato né un significativo avvicinamento alle originarie ambizioni degli ispiratori dell’Europa unita, eppure quei valori devono –tornare ad essere– la base sulla quale poggiare l’architettura di quei progetti non realizzati.

Bisogna ammetterlo, c’è ancora tanto da fare. I movimenti anti-europei non sono nati per caso, non sono il risultato di un incidente di percorso irrazionale e incomprensibile. Sono la cartina al tornasole di tutto quello che non va da anni nell’Unione Europea. Nelle intenzioni dei padri fondatori, tra cui, e ricordiamolo non per vano orgoglio, ma per tornare ad essere costruttivi e ispiratori di larga e alta progettualità, una libera intellettualità italiana si espresse dopo la mortificazione subita dal fascismo, ben altra era la visione e il progetto di un’Europa politica, unita e federale con un esercito, una fiscalità, una diplomazia e una prospettiva estera che avrebbero dovute essere comune.

Non che tutto ciò non sia stato tentato nella lunga e travagliata storia dell’Unione europea, purtroppo le forze che dagli Stati, componenti già la prima formula di Europa comune, hanno obbedito ai riflessi condizionati della tradizione politica di supremazia e al geloso principio delle sovranità nazionali, hanno avuto la meglio. A tal proposito basti solo ricordare lo smacco referendario subito nel maggio 2005 della Convenzione Europea. Da quel momento l’Unione europea ha subito un’involuzione in senso centralistico e intergovernativo e antifederalista. Il risultato è stato un’unione a metà, solo monetaria e di mercato e poca effettiva politica concordata e condivisa, con la conseguenziale visione discorde e frammentata di fronte ai temi più gravi, quali il terrorismo e l’esplosione del flusso migratorio.

Anche l’indirizzo dell’austerità intrapreso dopo la grande crisi del 2008, al fine di scongiurare il rischio di un’instabilità di conti e debiti pubblici, è prevalso rispetto ad adeguate misure volte alla crescita dell’economia e a sostegno dell’occupazione. E se la Commissione europea continuasse a sostenere che gli oneri dell’equilibrio macroeconomico debbano ricadere sui Mezzogiorni d’Europa, che dovrebbero continuare a mettere in atto le cosiddette “riforme strutturali”, compromettendo ancora salari, diritti e costi di produzione, sarebbe un tracollo annunciato. E’ necessario invertire la rotta. Il grande compito che attende l’unione europea che uscirà dalle urne il 26 maggio è cruciale.

C’è da sperare prima di tutto che la lotta per avere una Costituzione possa essere rilanciata, e che i suoi fautori possano farlo commettendo minori ingenuità rispetto ai precedenti tentativi e che si giunga a un unico referendum europeo con votazioni contemporanee in tutti gli Stati membri. Un’ Unione sovrana di stati sovrani, nel quadro di una Costituzione federale era il progetto di Rossi, Spinelli e Colorni espresso nel ”Manifesto di Ventotene” (con il conseguente superamento delle beghe interne ai partiti). E’ da qui che bisogna ripartire secondo rinnovati criteri e riprendere il viaggio.

Infatti, se l’ Europa vorrà giocare un ruolo politico-economico non minoritario anche nel futuro prossimo, l’unità politico diplomatica ed economica dovrà raggiungere un livello più efficace del presente. Due grandi sfide l’attendono.

La prima, non essere subalterna economicamente alla maggiore potenza atlantica che sono gli Stati Uniti e al crescente potere economico della Cina. Aggiungerei, anche se la Russia per il momento non è dominante dal punto di vista economico, è rilevante da un punto di vista geopolitico e all’Europa spetta di controbilanciare la sua pressione nel Medioriente.

La seconda, è quella di controbilanciare la pressione cinese (soprattutto) sul continente africano. L’Africa ha ricchezze essenziali per le nuove forme di economia, una popolazione crescente a ritmi impressionanti e mediamente tra le più giovani del pianeta. E’, dunque, un serbatoio di ricchezze economiche e di potenziale umano che inciderà fortemente sul futuro dell’umanità. Dopo secoli di colonialismo, l’Europa -finalmente- dei diritti, che è il potenziale più alto di civiltà, insieme allo sviluppo filosofico-scientifico, che ha da proporre al mondo a venire, ha il dovere di interessarsi all’Africa non solo per sopravvivere alla sfida economica globale, ma per restituire al pianeta equilibri da essa stessa turbati, e nel cui disordine altri si stanno prepotentemente inserendo.