Ero con Paolo Rossi quando sulle scalinate di Lettere alla Sapienza fu aggredito e ucciso dai fascisti. Aveva 19 anni. Poi conobbi il padre, pittore, che aveva fatto il partigiano nell’appennino umbro. Mi regalò questa foto che conservo con amore da più di 50 anni. [Prof. Franco Maria Fontana]
di Vittorio Emiliani |
Non è soltanto per affetto che va ricordato, a 50 anni dalla scomparsa, il ventenne studente di architettura Paolo Rossi, cattolico, non violento, iscritto alla Federazione Giovanile Socialista e all’Unione Goliardica, colpito con un pugno di ferro da aggressori fascisti alla Sapienza e poi precipitato da un muro alto cinque metri. Ma anche per rammentare a tanti giovani inconsapevoli quanto fu difficile conquistare negli Atenei, pur in pieno centrosinistra, spazi di libertà, di discussione pacifica.
I genitori di Paolo, entrambi pittori, erano stati nella Resistenza trasmettendo ai figli quel messaggio. Non vollero sapere chi fossero gli autori di quel delitto certo non internazionale.
Pretesero però che una sentenza spazzasse via (e così fu) le menzogne della Polizia che, rimasta a guardare l’ennesima aggressione «nera», aveva attribuito la morte ad una malattia del ragazzo (invece sanissimo, uno sportivo, un alpinista). Vergogna subito avallata da un rettore di antica fede mussoliniana, l’economista Giuseppe Ugo Papi, che stava tollerando una serie agghiacciante di atti squadristici, il letterato Walter Binni non volle neppure pronunciarne il nome nell’appassionata orazione funebre, mentre 51 professori di ruolo offrirono al presidente della Repubblica le loro cattedre rifiutandosi di insegnare «in un’atmosfera appestata dal teppismo tollerato e quindi indirettamente istigato», scrisse un anno dopo Bruno Zevi, «dalle massime autorità accademiche». «La mia unica colpa è quella di aver combattuto, sempre, i docenti di sinistra», protestò protervo Papi quando fu rimosso.
I funerali furono imponenti. Vicino ai famigliari, Pietro Nenni al quale i lager nazisti avevano portato via la figlia «Vivà». Ferruccio Parri aveva parlato al sit-in degli studenti che si apprestavano ad occupare Lettere e altre facoltà rischiando l’espulsione da tutti gli Atenei.
Anche Paolo VI ebbe parole commosse di cordoglio. Nell’ultima fotografia si vede chiaramente Paolo trattenere un compagno che vuol reagire duramente alla violenza squadrista. Alcuni degli aggressori dovevano essere implicati, tre anni più tardi, nelle «trame nere» con le quali si cercò di scardinare lo Stato democratico.
Anche per questo Paolo Rossi non va dimenticato. Anzi andrà ricordato, con passione civile ogni 27 aprile, almeno con un fiore, primo caduto di una nuova Resistenza romana.
Fonte: Corriere della Sera
Paolo Rossi è ricordato nella canzone Giulio Cesare di Antonello Venditti, in cui una strofa recita, in riferimento all’anno 1966, “Paolo Rossi era un ragazzo come noi”.
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