IL COOPI, DA PIU’ DI UN SECOLO A ZURIGO. UNA LUNGA BELLA STORIA

di Lorenzo Spignoli |

E niente, è successo che i miei figli mi hanno regalato una di quelle piccole diavolerie con cui è possibile leggere i libri in formato digitale. Resto e resterò sempre un affezionato frequentatore e cliente delle librerie, e mai niente potrà sostituire per me il fascino del profumo della carta, dei colori di una copertina, il piacere dello sfogliare. Però ho accolto volentieri il regalo, come un integrativo, come l’occasione, semmai, di rintracciare scritti scomparsi, trovare qualche chicca che non è più su carta, avere una finestra in più sulla produzione editoriale. Così ho acquistato alcuni titoli, fra cui Romanza di Zurigo di Francesca Mazzucato.

Zurigo ha sempre esercitato su di me un fascino particolare, per le sue vie, i suoi palazzi, il fiume-lago e le cattedrali, le atmosfere e la storia. La storia dei grandi personaggi come Joyce, Jung, Goethe, ma anche le storie dei tanti nostri emigrati ed esuli, che si sommano in una incredibile stratificazione che ancor oggi vive, non soltanto nei ricordi. Zurigo è fra le città più care d’Europa, ma contemporaneamente anche fra le più ricche di episodi della vita del proletariato e della sinistra. E nel libro di Francesca Mazzucato ho ritrovato un ricordo, bello e coinvolgente, che avevo accantonato, quasi dimenticato.

Il Coopi (Ristorante Cooperativo) si trova nel centro della città, al numero 6 di St. Jakobstrasse. Esiste dal 1905. Fu creato dalla Società Cooperativa Italiana di Zurigo, fondata da immigrati socialisti. Fra loro vi erano anche il romagnolo Domenico Armuzzi e l’emiliano Enrico Dezza. Lo scopo originario era quello di poter offrire pasti di buona qualità a prezzo calmierato (gratis per coloro che non potevano permettersi neppure il prezzo calmierato) e anche un luogo di ritrovo (gli italiani politicamente impegnati avevano la consuetudine di riunirsi la domenica mattina) dove ci si potesse sedere ai tavoli senza l’obbligo della consumazione. Al ristorante si affiancarono poi una piccola libreria, una scuola per i figli degli emigrati e la redazione di un giornale: L’Avvenire dei Lavoratori, che viene edito ancor oggi sotto forma di newsletter.

Filippo Turati e Giuseppe Modigliani arrivavano al Coopi ad arringare i lavoratori. Pare che il discorso ufficiale per le celebrazioni del 1° maggio 1913 venne a tenerlo un Benito Mussolini ai tempi ancora socialista. Lenin vi consumò l’ultimo pasto zurighese, nel 1917, prima di salire sul treno che lo portò a Pietroburgo e a capo della rivoluzione russa. Probabilmente si trattò di cappelletti, di cui era particolarmente ghiotto. Già allora i buontemponi chiamavano il locale “Marx e pastasciutta”.
Poi furono di casa al Coopi anche Pietro Nenni, Giacomo Matteotti, i fratelli Rosselli, Ignazio Silone, Sandro Pertini e tanti altri.

Quando i nazisti occuparono Parigi, il Centro Estero Socialista si spostò al Coopi. Anche l’Avanti! fu stampato lì. Nello stesso periodo, al piano superiore, fu istituita la Scuola Libera Italiana, diretta dal professor Fernando Schiavetti, di fede mazziniana. Per quegli anni presso il Copi si cementò la collaborazione fra socialisti, repubblicani e anarchici.

Nel dopoguerra il locale divenne punto di riferimento anche della sinistra zurighese, continuando a contare pure un fervido attivismo svolto dai socialisti ticinesi che si erano insediati nella città. Lì si organizzarono le azioni di contrapposizione alle iniziative xenofobe di Schwarzenbach che voleva rispedire gli italiani a casa loro.
Il vento di Tangentopoli ha spazzato via una intera classe dirigente del socialismo italiano con le sue strutture, le sue sedi, le associazioni collaterali, non facendo distinzione alcuna fra coloro a cui erano imputati comportamenti illeciti e quelli che invece continuavano a rappresentare un grande ideale nel modo più onesto e corretto.

Il Copi no, il Copi è rimasto in piedi, attivo e solido, e ha continuato a produrre socialità, cultura e iniziative politiche, sempre seguendo il vecchio solco, con Ezio Canonica, Ettore Cella-Dezzi, Andrea Ermano e tanti altri.
Non è stato sempre collocato nella sede attuale. All’inizio era in Zwinglistrasse, poi in Militarstrasse e ancora in Strassburgstrasse e in Paradeplatz. Ha girato molto, però più o meno sempre nella stessa zona della città.
Me ne aveva parlato il mio maestro e predecessore Ezio Boattini, che aveva vissuto una parte della propria gioventù come emigrato in Svizzera.

Approfittai, anni fa, di una veloce gita a Zurigo con amici per due gesti di cuore.
Nel pomeriggio presi il treno per Rapperswil e andai a rendere omaggio all’amico Felix, architetto e assessore della città delle rose, scomparso prematuramente. Aveva voluto che le sue ceneri fossero disperse sul lago ed è lì che andai a salutarlo.
In serata rientrai e andai a cena al Coopi. Non ricordo assolutamente cosa mangiai. Ricordo però la bella atmosfera, i commensali sorridenti, i quadri di Mario Comensoli alle pareti. Oggi se vai su Tripadvisor vedi che un avventore ha definito il locale gemutlich (che dovrebbe significare, più o meno, intimo, avvolgente, semplice, come a casa) Quando mi presentai, arrivò un signore, un compagno, a sedere al mio tavolo. Bevemmo assieme, o meglio brindammo, e mi raccontò la loro bella storia, compreso l’aneddoto riguardante Bertold Brecht. Il drammaturgo era arrivato al Coopi nei primi anni ’50 e aveva subito chiesto come mai accanto al ritratto di Marx non ci fosse quello di Stalin. “Perché qui per i dittatori non c’è posto neanche sui muri” era stata la risposta.
Sono grato a Francesca Mazzucato per avermi restituito questo caldo ricordo.