di Stefano Betti
“La Nazione e la Patria non sono monopolio né vostro né di alcun partito. Sono l’aria che respiriamo, sono gli affetti, i ricordi, le speranze di quanti nacquero e vivono su questo suolo. Pretendere di farne monopolio di un partito, questo, sì, è creare l’antipatriottismo“. Filippo Turati 10 novembre 1922, in Parlamento.
Che manchi un idem sentire nel nostro paese, un sentimento che ci accomuni come identità nazionale, è un dato incontrovertibile. Cosa non ha funzionato perché, nonostante quasi 160 anni d’unità d’Italia, non siamo riusciti a essere collettività, Comunità sul serio, se non uno sterminato esercito di isole che non vanno oltre lo sguardo rancoroso sul vicino?
Oggi viviamo una sorta di confuso senso di appartenenza di ritorno che l’attuale governo giallo-verde sta professando. “Prima gli Italiani!” è lo slogan più in voga che sembra farci uscire dall’agire accecato del tifoso. In realtà, anche chi oggi inveisce sugli autobus o negli uffici contro politici di professione e immigrati clandestini, tasse, pensioni d’oro e vitalizi, non sembra uscire dall’egoico cliché dell’individualismo esasperato.
Il modello centralista non ha funzionato. Dobbiamo prenderne atto. Quello scaturito dalle guerre risorgimentali, perseverato durante l’età giolittiana a colpi di legislazione sabauda, esaltato dal Fascismo e poi, nonostante l’art. 5 della Costituzione, perpetuato dall’Italia repubblicana. Sì, proprio perché non s’è colta distanza che separava allora, e, forse, anche oggi, realtà diversissime del paese. Non eravamo né la Francia, con una storia unitaria plurisecolare né la Germania, nata nell’ottocento come noi, ma con alle spalle omogene tradizioni culturali e amministrative. Troppo debole la borghesia per avere un tessuto di valori luterani forte per fondare un paese reale attorno a sé. Più semplice il compromesso, l’inciucio sociale, lo scivolare verso il comodo assistenzialismo. È l’Italia di “Mi manda Picone”, dei politici faccendieri, dei portaborse onnipresenti, degli intellettuali egoici e presuntuosi, delle cattedre universitarie a numero chiuso, delle clientele sterminate, dove il merito finisce sotto le scarpe delle conoscenze in nome degli scambi di favori.
Ecco perché un paese vero che pensa di ritrovarsi solo, o quasi, quando gioca la Nazionale di calcio ai Mondiali (tra l’altro quest’anno siamo stati esclusi con pieno demerito) non se ne fa nulla delle fumisterie da bar di chi reclama più attenzione verso gli italiani. Tanto poi il conto degli evasori di professione e degli “spreconi della cosa pubblica”, dei furbi, dei corrotti e corruttori resta sempre lo stesso. Prima votavano in un modo. Ora in un altro. Ma i comportamenti sono sempre gli stessi. Si continua a evadere. Si continua a sprecare. Si continua a corrompere e a essere corrotti. Almeno così ci dicono le cronache dei giornali.
Bisogna fare gli italiani, questo è il compito al quale siamo chiamati come Socialisti.
Per costruire un senso di appartenenza a una Comunità, il federalismo potrebbe essere il collante necessario. Riconoscersi nelle diversità per stare insieme. Dare maggiore autonomia possibile alle entità locali, Comune e Regione, per far sì che ci si identifichi nell’insieme. E soprattutto si colga la condivisione di interessi nella Comunità che fa sì che i comportamenti siano virtuosi. Lo Stato così distante è entità impersonale. Quindi non mi appartiene. Al massimo, quando mi rapporto ad esso, parlo male della Casta. Ma resto il cittadino inaffidabile di sempre. Pieno di invidia.
Il federalismo andrebbe accompagnato da una piena vocazione europeista. Anch’essa in senso federalista. Dove la nostra identità non venga meno rispetto a quella degli altri paesi. In un rapporto fra eguali. Come avrebbe dovuto essere per le collettività locali nel nostro paese.
Penso alla scuola pubblica, primo livello di condivisione di valori, una scuola che incentivi gli scambi fra studenti nei paesi dell’Unione europea. Penso al Servizio civile obbligatorio per un numero di mesi sufficiente perché si possa condividere il senso di appartenenza alla comunità nazionale. Bisogna coinvolgere i cittadini nella tutela della Cosa pubblica. Penso a una giornata ogni tre mesi dedicata attività sociali per sentirsi tutti responsabili e cittadini piuttosto che sudditi e opportunisti.
Insomma, tutti quegli strumenti di coesione e condivisione che possano far identificare i cittadini nella Comunità a cui appartengono. Prima locale poi nazionale, infine europea. Altrimenti inutile proseguire. E per mettere argine alla barbarie dei tutti contro tutti che i Socialisti devono necessariamente tornare a esistere.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.