DINO RONDANI (1868-1951) “COMMESSO VIAGGIATORE” DEL SOCIALISMO

Tratto da un’opera di Giovanni Artero: APOSTOLI DEL SOCIALISMO

Nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani

 

  1. Gli inizi dell’attività politica nel socialismo milanese
  2. Il movimento operaio e socialista biellese
  3. La “conquista” del biellese
  4. Nella svolta reazionaria di fine secolo
  5. Il ’98 a Milano
  6. Dall’esilio al ritorno nell’Italia giolittiana
  7. ”Ispettore” dell’emigrazione
  8. Tra impresa libica, Grande guerra, dopoguerra
  9. L’esilio a Nizza (1926-45)
  10. 10 Nel secondo dopoguerra (1945-51)

 

Premessa

Turati così lo descriveva: “Invidiabile tipo, son tre settimane che tiene quattro conferenze al giorno ed è fresco come una rosa![1] un corrispondente veneziano dell’”Avanti!” scrisse “Nessuno se l’abbia a male, il giovane deputato di Cossato è il più simpatico dei conferenzieri socialisti. Il suo facile eloquio è tutto infiorato di osservazioni argute, di facezie brillantissime[2] e così Morgari ne schizzava il ritratto: “sempre giovanissimo, svelto, piccino, con gli eleganti baffetti neri, con braccia, gambe e lingua in movimento perpetuo[3] tanto da consentire di caratterizzarlo come il commesso viaggiatore del socialismo[4]

Come osservò Rinaldo Rigola, che lo conosceva dal 1895, “non era  temperamento di sedentario e uomo di penna. Ingegno brillantissimo e organizzatore di prim’ordine, aveva un sano orrore per le dottrine e le polemiche[5]. Gli incarichi ufficiali e direttivi non ebbero per lui particolare rilevanza: ammirava il grandioso slancio creatore del progresso industriale e preferiva impegnare il suo estro individuale al contatto con i protagonisti proletari della nuova civiltà.

Intervenne poco nei dibattiti alla Camera e non si preoccupò di trasferire sul piano ideologico o in scritti di qualche respiro la sua vasta esperienza umana e sociale.[6]  Per la sua avversione alle lotte di tendenza e alle polemiche interne, propenso a interpretarle come chiacchiere inconcludenti, non ebbe ruoli di protagonista nei Congressi del PSI, nè si attivò per crearsi un seguito personale. Tutto questo spiega, anche se non giustifica, l’oblio di questo pioniere del socialismo italiano.

Gli inizi dell’attività politica nel movimento socialista milanese

Dino Rondani nasce il 20 gennaio 1868 a Sogliano al Rubicone[7], nella Romagna culla dei partiti sovversivi, dal repubblicano[8] all’anarco-internazionalista, al Partito Socialista Rivoluzionario di Andrea Costa,[9]  in una famiglia repubblicana benestante. La madre Angelina Bravetta era figlia di Sante, tipografo delle edizioni di Capolago, in Svizzera, che stampavano libri proibiti dalla censure degli stati preunitari, da introdurre clandestinamente in Italia[10]. Egli restò sempre molto legato alle sue due sorelle e ai suoi genitori, che perse però prematuramente nel giro di pochi anni:  nel 1908 morì sua sorella Eugenia, nel novembre 1913 il padre Eugenio e pochi mesi dopo la sorella Evelina. Nel 1915 infine morì la madre Angelina[11]

Il padre lavorava nell’amministrazione finanziaria del nuovo Stato e questo spiega i frequenti  spostamenti di sede: nel 1870 si trasferisce a Portomaggiore, poi a Novara dove il giovane Dino frequenta il liceo[12] e inizia ad interessarsi alla politica iscrivendosi  alla repubblicana Società democratica di Novara.

Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Torino, sul finire dell’800 uno dei maggiori centri di diffusione del materialismo evoluzionistico oltre che del “socialismo dei professori“

Arriva a vent’anni nel 1888, in seguito al trasferimento del padre, a Milano, negli anni a cavallo tra ‘800 e ‘900 il maggior centro economico del Paese, le cui industrie attiravano una massa crescente di manodopera dalle campagne che ingrossava le fila di un proletariato che si andava organizzando in Leghe di mestiere, Società di mutuo soccorso, Cooperative di consumo e di lavoro, Camere del lavoro. In questo periodo  si costituiva ad opera di Osvaldo Gnocchi-Viani e di Costantino Lazzari il Fascio operaio, organizzazione a carattere esclusivamente classista, che contese ai radicali la rappresentanza politica del mondo del lavoro, assorbendone il Consolato operaio e dando vita al Partito Operaio Italiano (1885)[13].  La fusione con la Lega socialista di Turati, composta da intellettuali di provenienza repubblicana e “scapigliata”, e la fondazione del Partito Socialista su base nazionale a Genova nel 1892 diede all’organizzazione più ampio respiro ma fu anche l’inizio di una lotta per l’egemonia con alterne vicende tra rivoluzionari e riformisti, i quali disponevano della rivista “Critica sociale” cui collaboravano professionisti e studiosi di spessore culturale e morale come Alessandro Schiavi[14], Fausto Pagliaro, Luigi Montemartini[15] di impronta più radical-democratica che marxista.  A Milano inizia la sua attività politica[16] nel circolo di Dario Papa, repubblicano “avanzato” e  disponibile alla collaborazione col socialismo, ma nel 1890 incontra Turati e si iscrive alla sua Lega socialista milanese[17] e per la sua rivista scrive un articolo “dottrinario” piuttosto schematico[18].Nel 1891 è al centro delle diffidenze degli ambienti del Partito Operaio non ancora superate per gli «avvocati e i dottori»[19] e nel 1892 partecipa al congresso costitutivo del partito socialista a Genova rappresentando la “Società braccianti della provincia di Milano”.Nel 1892 a 24 anni è contemporaneamente segretario della Lega Cooperative, consigliere del circolo socialista di Porta Genova «Fate largo alla povera gente», redattore della “Lotta di classe”, organo del partito. Il suo attivismo è dimostrato anche dai giri propagandistici tipici di questa fase pionieristica di primo impianto del partito e di proselitismo: nell’autunno 1892 inaugura due circoli a Voghera[20]  e tiene conferenze a Treviglio, Novara, Rho, Lodi[21].

Per una collaborazione al giornale socialista di Firenze “La Difesa” viene denunciato e subisce una condanna a 29 giorni emessa dal pretore di Cecina. Coimputato nel 1895 con 38 socialisti milanesi in un processo che vide 10 assoluzioni e 27 condanne al confino, fu colpito con 5 mesi di confino a Domodossola[22] utilizzando questo periodo per proseguire la sua opera di organizzatore e propagandista del socialismo, nonostante le ammonizioni delle autorità[23]  Nel luglio 1895 da Domodossola raggiunse i genitori in vacanza ad Adorno Micca dopo aver scontati i sei mesi di confino. Di lì si recò a Biella con l’intenzione di ispezionare le cooperative della zona iscritte alla “Lega” di cui era segretario, ma subito il suo interesse per il Biellese andò oltre  e quel viaggio fu determinante anche per lo sviluppo del movimento socialista della zona[24]

Le origini del movimento operaio e socialista biellese

La vita del Biellese, caratterizzata sin alle soglie dell’età contemporanea da una forte influenza dell’istituto comunitario, dall’economia mista di “terra e telaio”,[25] da una costante emigrazione verso l’estero, entrò con la prima metà dell’800 nel pieno della rivoluzione industriale. Forti di un loro antico potere che l’ordinamento corporativo aveva tutelato fino al 1845, i tessitori all’indomani dello Statuto Albertino che proibiva le “coalizioni” avevano ritrovato che le Società di Mutuo Soccorso composte su base di mestiere erano la formula con cui ridare istituzionalità al loro forte statuto professionale. Tra il 1864 e il 1865 e poi tra il 1877 e 78 i tessitori scesero in sciopero in Valle Mosso, nel Triverese e nella Valle dell’Elvo. Nel 1884 diffuse in 42 dei 95 comuni biellesi si contavano 64 SOMS con 9789 iscritti (8972 maschi e 817 femmine). Delle più antiche sopravvivevano quelle di Biella (fondata nel 1851) di Bioglio (1852), di Cossato (1853), dei cappellai di Sagliano (1853) Nello stesso periodo 890 circoli vinicoli, frazionali e di fabbrica, e una quarantina di cooperative di consumo estendevano la loro rete di servizi. A differenza di altre zone d’Italia nel biellese[26] fin dagli anni ‘60 i confronti più duri si accendevano sugli aspetti normativi dei regolamenti di fabbrica più che sulle questioni salariali. Per arginare gli scioperi le autorità governative ricorsero ai provvedimenti repressivi, dal confino per una settantina di operai allo stato d’assedio nella vallata allo scioglimento della “Società dei tessitori di Crocemosso” che, più volte soppressa e pù volte ricostruita, sfociava nel 1898 nella “Lega di resistenza tra i tessitori della Valle Strona e del Ponzone”, che svolse un ruolo di guida[27]  Negli anni ‘80 si ha una trasformazione della “società operaia” in “lega di resistenza” prima ed in “lega professionale” poi, con il passaggio dall’aggregazione episodica delle associazioni locali alla costituzione di organismi stabili sia professionali che territoriali (di vallata), nel comprensorio dei 23 comuni biellesi in cui verso fine secolo erano concentrati circa 14.000 operai nel sistema di fabbrica. In campo mutualistico sono presenti nel circondario 47 SOMS di cui 6 nel capoluogo, 2 a Crocemosso, 2 a Cossila, 4 a Occhieppo, 2 a Sagliano, 2 a Andorno, 2 a Pollone, ecc.[28]

Dopo la parentesi della repressione di fine secolo, la Camera del lavoro venne fondata nel febbraio 1901, con l’adesione delle leghe locali che si erano collegate con quelle nazionali. Per alcuni mesi si tennero riunioni preparatorie, promotrici le Associazioni di miglioramento, Unioni pannilana, cotonieri, fonditori, metallurgici lavoratori del libro, che associavano oltre 1200 iscritti. La riunione di fondazione della Camera del lavoro ebbe luogo il 4 febbraio 1901 con una relazione introduttiva di Giulio Casalini[29] e conferenza di Angiolo Cabrini.[30] Notevole apporto lo diede Felice Quaglino con l’adesione della sezione edili forte di 300 iscritti. Alla fine di aprile gli associati erano ormai 2500. Il 2 giugno si celebrò l’inaugurazione ufficiale con corteo e discorso di Quirino Nofri. La domenica successiva si radunò a Biella un congresso delle leghe tessili per dar vita alla Federazione arti tessili[31]

A far da contraltare alla “riformista” CdL biellese, nel  giugno 1902 si costituì la CdL di Cossato ad opera di socialisti rivoluzionari tra cui spiccano i fratelli Mario e Oreste Mombello, con l’adesione dichiarata di associazioni che rappresentavano 2000 iscritti contro i 2600 biellesi svolgendo un’attività vertenziale modesta a differenza dell’intensa propaganda anti-sistema. Quirino Rosso segretario della CdL di Biella sfruttando le difficoltà organizzative dei rivoluzionari, svolgerà un paziente lavoro di recupero che culminerà nella unificazione nel 1905.  Nel 1904 fu istituito su proposta della CdL e della Federazione edilizia il Segretariato dell’emigrazione[32]

Dopo la riforma elettorale del 1882 che aveva permesso  a una parte della popolazione operaia di prendere parte alle competizioni elettorali la democrazia radicale divenuta protagonista della lotta politica biellese. I mazziniani favorivano il movimento cooperativo e si battevano per sganciare le società di mutuo soccorso dalla tutela degli industriali e dal 1881, per quattro anni, il settimanale “La Sveglia” contribuì alla diffusione di una coscienza nuova tra le classi popolari soprattutto artigiane[33]. Il loro scopo era di acquisire attraverso il controllo delle società operaie una solida base elettorale per il loro programma di riforme politiche, ed anche le società operaie avevano interesse a ricercare il loro appoggio, avendo la repressione dello sciopero dei tessitori del 1877 reso evidente che “per non esporsi più ai rischi di una repressione indiscriminata, dovevano battersi per il loro riconoscimento e la loro legittimazione con una campagna di agitazione politica che la sola democrazia radicale aveva allora le armi per svolgere[34].

Nelle elezioni del 1882 i democratici biellesi presentarono una lista capeggiata da Agostino Bertani e da Luigi Guelpa[35]; nessuno dei due fu eletto ma la contesa convogliò l’attenzione di molti operai che si affacciavano alla vita politica e che nel 1883 elessero per la prima volta un presidente di estrazione non borghese alla Società generale di mutuo soccorso di Biella[36]. Nel 1883, promosso dai cappellai, si celebrò a Biella il primo congresso operaio democratico seguito l’anno successivo dalla costituzione del Consolato Operaio.  Nel febbraio 1884 si tenne un convegno di 34 società operaie che respinse il progetto di legge  Berti sulla regolamentazione degli scioperi, secondo la linea del Partito operaio italiano.

Nel biellese degli anni ottanta erano presenti associazioni politiche di varia appartenenza ma unificate dalla tematica della questione sociale, mentre l’emigrazione di ritorno diffondeva idee rivoluzionarie e di utopia sociale, rafforzando l’anticlericalismo militante (con battesimi, matrimoni, funerali “proletari”). In quella fase, schematizzando, i dirigenti provenivano in prevalenza dall’anarchismo approdando a posizioni più moderate, mentre l’elettorato di estrazione “democratica” si radicalizzava.

Negli anni successivi la democrazia radicale condivise la guida del movimento operaio con il POI, cui aderirono diverse società del biellese e col socialismo anarchico propagandato da Luigi Galleani. Il movimento operaio era  in continua crescita, e nelle amministrative del 1889 per la prima volta fu eletto un operaio nel consiglio comunale a Biella[37], mentre in vari comuni vennero eletti sindaci della democrazia.

Il primo maggio 1890 era stata convocata  una grande manifestazione mondiale a sostegno delle otto ore lavorative e anche Biella rispose all’appello con un comizio in cui l’oratore di maggior successo fu l’anarchico Pietro Vigliani[38], seguace di Galleani.

I rappresentanti di ventidue società operaie si riunirono il 7 agosto 1892 a Biella in vista del Congresso di Genova che portò alla fondazione del PSI . Gli anarchici contestarono la partecipazione dell’onorevole Guelpa, e democratici, repubblicani, socialisti proseguirono il pre-congresso da soli nominando Luigi Fila[39] e Luigi Sola[40] delegati a Genova dove però entrambi si schierarono con gli anarchici. Ma un anno dopo nel biellese la guida del movimento socialista cadde nelle mani dei “marxisti”, che assorbirono nelle loro fila guelpisti, operaisti e anarchici, tra cui Rigola.

Circoli anarchici sono diffusi nel Biellese negli anni novanta e  nella pubblicistica locale anarchismo e socialismo non compaiono in antitesi. Nel luglio 1895, Dino Rondani, rilevò la singolarità: “Piuttosto vi dirò crudo che in nessuna regione d’Italia si sente correre per le vie la parola socialismo, socialista, anarchico anche, così facilmente come da voi, e corrispondervi spesso una sostanza di gran lunga diversa dal nome”. Altra evoluzione delle forme di organizzazione degli anni ottanta è data dalla trasformazione della “società operaia” in “lega di resistenza” prima ed in “lega professionale

L’organizzazione del partito venne impiantata secondo lo schema della socialdemocrazia tedesca, con statuto, tesseramento, sezioni di base, federazioni territoriali, congressi periodici. Nel 1893 il partito cominciò a organizzare nei centri maggiori le prime sezioni, senza trascurare iniziative collaterali, per dare una risposta anche ai bisogni sociali degli iscritti e della popolazione, quali cooperative di consumo, circoli ricreativi, iniziative culturali e istruzione professionale. Con il 1896 si avviò una campagna capillare per avere in ogni comune una sezione.

Il movimento socialista biellese, sviluppatosi dalle origini con caratteri di massa, affondava le radici in una  società locale ad elevata integrazione comunitaria alimentata da una “ideologia del lavoro”. L’impronta di fondo si espresse sostanzialmente in termini riformisti e gradualisti.  Nel 1893 al Congresso di Reggio Emilia l’adesione di Rinaldo Rigola (che verrà eletto consigliere comunale di Biella nel ’95), attraverso gli operaisti di Angiolo Cabrini e Costantino Lazzari, rappresentò per il socialismo biellese una importante acquisizione.

Alle elezioni del marzo 1895 il Partito socialista presentò al collegio di Biella Giuseppe De Felice in carcere per la sua partecipazione al movimento dei Fasci siciliani che raccolse 967 voti contro i 2.981 dei demo-liberali, mentre nel collegio di Cossato il liberale Giovanni Garlanda[41] con 3.581 voti sconfisse Luigi Guelpa, (2.102) ed il socialista Nicolò Barbato, candidato di bandiera. In alcuni comuni i socialisti conquistarono la maggioranza.

La sconfitta di Guelpa, che si era alienato le simpatie operaie appoggiando in un primo tempo Crispi, provava che nel biellese la democrazia radicale aveva fatto il suo tempo e che solo il partito socialista aveva le potenzialità per mobilitare la massa di operai ancora estranei alla vita politica, come capì lo stesso Guelpa secondo cui di lì a poco il collegio di Cossato sarebbe stato conquistato da un “giovane seguace di Carlo Marx”.[42] Infatti dopo il periodo della repressione il Partito socialista conquistò alle elezioni del 1900 entrambi i collegi biellesi.

La “conquista” del biellese

A Biella Rondani conobbe i principali organizzatori locali del socialismo e tra questi Rinaldo Rigola[43], che allora alternava ancora l’attività politica con la sua professione di ebanista e che trentacinque anni dopo tracciò questo ritratto del suo primo incontro: “Una mattina di luglio del 1895 venne nella mia bottega un amico in compagnia di un individuo a me ignoto vestito alla “touriste”, con cappello di paglia e “pince-nez” all’occhio. Lo sconosciuto mi viene presentato per il dottor Dino Rondani di Milano … E’ un parlatore amabilissimo e briosissimo. Tra una arguzia  ed un paradosso, ti snocciola tutto un rosario di piani e di progetti. E’ un visibilio. Perché non si farebbe questo? Perché non si farebbe quest’altro? A che punto siamo con le leggi protettive del lavoro? S’è mai tentato di dare esecuzione alla legge dei probiviri in vigore oramai da ben due anni? E se questa legge non si applica ai 40.000 operai delle industrie biellesi, a chi la si applicherebbe? C’è da fare tutta l’organizzazione di resistenza, c’è da fare la Camera del Lavoro. Abbiamo noi una conoscenza esatta della situazione industriale, delle condizioni economiche, igieniche e morali in cui versa la classe lavoratrice? S’è mai fatta un’inchiesta, dopo quella famosa sugli scioperi, per rilevare lo stato dei salari, degli orari, della disoccupazione nell’industria tessile, le cui maestranze sono oggi composte di donne in prevalenza? Sappiamo grosso modo che la degenerazione fisica è preoccupante, che su 3.000 coscritti dell’ultima leva, soltanto 300 furono dichiarati abili, e tutti gli altri riformati o dichiarati rivedibili per gracilità o deformazione scheletrica, ma siamo noi in grado di fare una diagnosi esatta di questa terrificante malattia sociale? Indagini positive ci vogliono. Non cadiamo negli errori della democrazia, la quale agiva dall’esterno, in base ad astratte ideologie, invece di far leva sui reali bisogni della classe, resa consapevole dei mali di cui soffre. Basta con la retorica. Ricordiamo il metodista inglese che predicava  essere quello degli operai “un problema di coltello e di forchetta”. “Wery [sic] well”! … “Prima bisogna fare il giornale … il giornale locale è un’imprescindibile necessità”. [44]

Questo ritratto mette in luce alcuni tratti caratteristici: una certa eccentricità nei modi e nel vestire, una vivacità di discorso e soprattutto una propensione ad analizzare i problemi dal punto di vista delle possibili soluzioni per risolverli. Il suo è già il linguaggio dell’organizzatore, del sindacalista, ancora poco usato in una zona dove socialismo era stato sinonimo di anarchismo e quindi di un concetto di rivoluzione come atto unico e violento[45].

Egli era giunto a Biella nel pieno dell’ondata repressiva scatenata da Crispi, reduce dal domicilio coatto, istituto che paradossalmente si rivelò fondamentale per la diffusione del socialismo nelle zone periferiche, di cui  Rondani si era reso conto: [Rondani] ha scontato alcuni mesi di confino … Sentenza provvidenziale, secondo lui perché ha il vantaggio di ovviare ai difetti della nostra ancor debole organizzazione, e di frustrare, al tempo stesso, gli scopi che il Governo si è proposto di raggiungere con la promulgazione delle leggi eccezionali..  Finché i socialisti godevano delle libertà comuni, la nostra propaganda nelle campagne quasi non arrivava; e ciò era dovuto in parte alla scarsità dei mezzi e in parte all’innata pigrizia dei compagni delle città. Con le leggi eccezionali il Governo si è proposto di distruggere i focolai di infezione già esistenti nei centri urbani, ma si inganna. I nostri non andavano fuori, il Governo provvede lui a mandarveli. Una cinquantina di compagni milanesi sono già stati processati e spediti in tutte le direzioni, con l’obbligo di risiedere per un certo tempo in comuni nei quali non c’era per ora speranza di farvi penetrare l’idea socialista. Quanto più uno è attivo propagandista, tanto più deve rimanere a Domodossola, a Biandrate, ad Ivrea od a Peretola, dove non esiste traccia di socialismo. Invece di isolare gli appestati nel lazzaretto, si sparpagliano nei centri tuttora immuni da contagio. Che cosa si potrebbe  domandare di più?”[46]

Rondani si presentò agli operai biellesi con una conferenza a Croce Mosso in cui puntò soprattutto a differenziare i socialisti dagli anarchici, dal momento che intorno a questi due termini si faceva ancora molta confusione: ”“Non siamo del parere delle legnate, né tanto meno delle revolverate o delle pugnalate, perché questo è il parere dei nostri avversari, e sono essi che hanno l’esercito, la polizia, la magistratura, le strade, le città, le manette, le carceri… La lotta è economica ed umana, le armi devono essere economiche ed umane. .. Se noi esercitiamo la scheda elettorale con tenacia, coraggio e vigore, noi contendiamo, senza crisi serie e senza procurare alcun massacro su di noi, palmo palmo il terreno ai nostri avversari[47].

Per assicurarsi un’efficace capacità di penetrazione nelle masse era necessario disporre di un giornale, la cui fondazione era stata posta come prioritaria nel colloquio tra Rigola e Rondani

Nonostante la difficoltà di riunire i socialisti del circondario  in tempo di leggi eccezionali, il 15 agosto 1895 sulla vetta del monte Rubello, luogo mitico della ribellione nella memoria collettiva locale perché vi era stato catturato l’eretico Fra’ Dolcino, si radunarono 150 socialisti del biellese, valsesia e vercellese; la relazione svolta da Rondani sulla nascita di un settimanale circondariale venne approvata all’unanimità [48]. Il raduno sul monte Rubello costò un nuovo processo in pretura concluso con l’assoluzione[49] ma assunse nella memoria storica dei socialisti biellesi un’aura leggendaria e il raduno del 15 agosto divenne un punto di riferimento per le generazioni dei socialisti biellesi, rinverdito dalle “scampagnate” di rievocazione che si tennero negli anni successivi.

L’avvocato repubblicano Giuseppe Ubertini[50] che aveva pubblicato nel 1895 il settimanale “Il Corriere Biellese” in appoggio alla candidatura di Guelpa, cedette gratuitamente la testata ai socialisti [51] e il 9 febbraio 1896 uscì il primo numero del “Corriere Biellese”, diretto da Rigola, privo di esperienza giornalistica ma scelto per mancanza di alternative. Si era pensato a Rondani che era stato redattore della “Lotta di Classe” ed era il solo laureato, ma non risiedeva a Biella e avrebbe potuto offrire solo una collaborazione saltuaria.

Rondani, la cui provenienza milanese e il suo essere a contatto coi maggiori esponenti del partito conferiva autorevolezza, per tutta l’estate girò il circondario destando la preoccupazione delle autorità che notarono che “dal luglio al settembre 1895, [Rondani] contribuì assai allo sviluppo del movimento socialista, che andò accentuandosi per opera specialmente di lui e di altri fanatici correligionari[52] e nel settembre 1895 sciolsero il Circolo Ricreativo del lavoratori di Biella denunciando i sette soci fondatori, tra cui Rigola e Ubertini. L’“attenzione” delle autorità verso i socialisti dopo l’arrivo di Rondani fu così commentata  dal settimanale liberale “La Tribuna Biellese”: “tempo fa, quando le cose venivano dai socialisti fatte – diremo così – in famiglia, le autorità non si erano allarmate. In questi ultimi tempi, invece, venuto da Milano a passare l’estate fra noi – ad Andorno – il dott. Dino Rondani, ecco che le autorità riconoscono motivi di pericolo in questi pochi, rumorosi, ma punto pericolosi socialisti[53].

Rondani comunque non lasciò più il biellese e pur continuando a vivere a Milano, prese a  percorrere il circondario con assiduità [54] Partecipò alla costituzione del Circolo elettorale di S. Germano, l’11 agosto 1895, in occasione del 26. anniversario della Società operaia dei contadini giornalieri; l’8 marzo del ’96 fu fondato il “Circolo Popolare Vercellese”, con 33 iscritti, che Rondani inaugurò  con una conferenza.

Il 7 giugno 1896 si svolse a Novara il primo Congresso provinciale, sotto la presidenza di Morgari, con delegati di 27 sezioni. Rondani, rappresentante di S. Germano tenne la relazione sul movimento provinciale degli ultimi tre anni: da 656 gli iscritti superavano ormai il migliaio, organizzati in una ventina di circoli in tutti i collegi elettorali, e la provincia era quella che in Piemonte vantava il maggior numero di adesioni. Il “Corriere Biellese”, nato da soli quattro mesi, diffondeva 1.700 copie e aveva 300 abbonati. Terminò dichiarando: “Avendo abbastanza bene sgobbato durante quest’ultimo anno … è naturale che non ci sia rimasto tempo per discutere della tattica. .. Per noi la migliore delle tattiche è ancora una sola: lavoro, lavoro, lavoro. La peggiore è certamente quella che impiega più della metà del già scarso tempo consacrato al partito nel discutere sino alla noia di transigenza e di intransigenza, quasi fossimo alla vigilia di chissà quali avvenimenti politici, in una nazione in cui ventinove milioni e tre quarti su trenta milioni non sanno ancora cosa realmente i socialisti vogliano”. Al termine dei lavori venne costituita la Federazione provinciale designando nel Comitato federale Rigola per il collegio di Biella e Oreste Mombello per quello di Cossato, mentre Rondani veniva nominato con Giuseppe Ballario nel Comitato regionale piemontese.

Il terzo congresso dei socialisti biellesi (27 luglio 1897) nominò direttore del “Corriere” Umberto Savio (poi  deputato di  Santhià) ed amministratore Giulio Casalini.

Nel 1897 venne eletto deputato[55] nel collegio di Cossato (Biella) ma l’elezione fu annullata non avendo Rondani i trent’anni di età richiesti. Dopo due suffragi annullati nel 1897 e nel 1898, fu eletto deputato nel 1900 (con 3.192 voti, il doppio del candidato moderato) per tale collegio che lo riconfermò al primo scrutinio sia il 6 novembre 1904 che il 7 marzo 1909.  Il 26 ottobre 1913 è rieletto per la quarta e ultima volta

La svolta reazionaria di fine secolo

Nei difficili anni di repressione dal 1892 al 1900, libero da vincoli familiari e aiutato economicamente dai proventi dell’attività professionale, fu in prima fila ovunque: il suo gusto per l’azione dimostrativa, le sue doti di efficace parlatore, il suo desiderio di cimentarsi in prima persona potevano servire: conferenze e contraddittori in ogni grande e piccolo centro in Lombardia, in Liguria, in Toscana, manifestazioni per il 1° maggio, per i Fasci Siciliani, stampa clandestina di volantini, e come conseguenza ammonizioni arresti e condanne[56].

Collaborava al “Corriere Biellese” inviando interventi e articoli, e da uno di questi scaturì un duello giornalistico: l’articolo in questione uscì, anonimo, nel numero del 28 marzo 1896 con il titolo Al “Corriere di Novara“, un settimanale liberale da poco convertitosi al repubblicanesimo, che sullo stesso numero pubblicava un editoriale di complimenti all’onorevole Ferri per le dichiarazioni di “transigenza” verso le altre forze dell’estrema (radicali e repubblicani) espresse alla Camera e per la sua attenzione al problema istituzionale[57] mentre un altro articolo, prendendo spunto dai numerosi casi di renitenza alla leva verificatisi dopo la sconfitta di Adua per timore di essere mandati in Africa, si scagliava con disprezzo verso i disertori, definendoli “anime di coniglio, cuori e cervelli malandati e vuoti”, non potendosi comprendere come “per un istinto di paura, che offende ogni civil sentire, un essere, che non sia stolto o pusillo, possa attentare alla propria rovina[58].

Rondani, commentati con una certa ironia i complimenti all’onorevole Ferri, denunciò il contrasto con l’articolo successivo dove “si svescia tutta la bolsa retorica propria di questo disgraziato periodo monarchico del nostro paese”. Dei disertori scrisse che erano “della gente di buon senso e di coraggio e valeva molto di più di tutti i bellicosi che se ne stan a casa a blaterare di guerra”, aggiungendo che se il mercenario ascaro, brutale e selvaggio, restava fino all’ultimo sotto il fuoco, lo stesso non si poteva chiedere al contadino “che sa di avere a casa dei vecchi che contano su di lui, dei bambini da allevare e da mantenere, e a cui nessuno degli eroi colla pelle degli altri penserà[59].

Egli esprimeva il concetto che, a prescindere dal rifiuto opposto dai socialisti alla guerra in genere e a questa in particolare, era profondamente ingiusto scagliarsi in nome di concetti come il “sacrificio per la patria” contro individui che non conoscevano neanche il concetto di patria e che erano mandati a combattere una guerra che non comprendevano, mentre la loro partenza significava spesso per la famiglia la sconfitta nella battaglia giornaliera della fame. Nell’articolo del giornale repubblicano Rondani ritrovava quello che per lui era il limite dell’estrema sinistra borghese, ossia l’ostinazione ad applicare schemi astratti e irrealistici su un popolo che si preferiva idealizzare piuttosto che cercare di comprendere nelle sue reali necessità, che erano spesso di pura sopravvivenza.

La polemica con il giornale novarese era poi l’occasione per esprimere la recisa opposizione al proseguimento della guerra in Africa, e già in un altro articolo era stato  chiaro: “Ecco qui l’ “Eco dell’industria”[60] che pensa che l’Italia mostrerebbe non aver fibra, di non saper ritemprarsi a nuova energia se accettasse l’eccitamento alla fuga e alla viltà ritirando le truppe dall’Africa, secondo la volontà di migliaia e migliaia di italiani. La causa è ingiusta, tutti lo sanno, è barbara e stolida, non importa, “le abbiamo prese”: è “coraggioso” ed “eroico” cercare di restituirle servendosi prima di tutto del tradimento, poi dei mezzi di guerra perfezionati” [61]

Se quest’ultimo articolo non ebbe strascichi giudiziari, lo stesso non accadde per il precedente, nel quale il procuratore del Re ravvisò il reato di apologia della diserzione e processò con questa accusa il gerente del giornale, Fortunato Galletto, che fu condannato a quattro mesi e quindici giorni di reclusione; Rondani, inviato in Svizzera dal partito per un giro di conferenze non potè essere presente[62].

“Il Corriere di Novara” espresse il suo plauso per la condanna e irrise l’autore che, nascondendosi dietro l’anonimato, adottava la medesima filosofia dei disertori che aveva difeso, “risparmia la pancia  per i fichi e lascia gli altri nelle pani a cui egli [aveva]  fornito il …vischio![63]

Ciò lo indusse a pubblicare un nuovo articolo dove dichiarò la sua responsabilità, senza rinnegare quanto scritto ma respingendo l’accusa di aver fatto un’apologia della diserzione[64]; una difesa che Rondani adottò anche al processo che inevitabilmente seguì la sua auto denuncia, in cui spiegò come intendesse solo difendere “le ragioni che militavano in favore di uomini che aveva visto in Svizzera lottare eroicamente colla vita per guadagnare un pezzo di pane per sé e pei loro congiunti[65]. La corte lo condannò a sei mesi di reclusione e cento lire di multa. La condanna venne confermata tre mesi dopo dalla corte d’appello di Torino e successivamente dalla Cassazione, e solo l’amnistia promulgata il 24 ottobre 1896 in occasione delle nozze del principe ereditario gli evitò di scontare la pena.

Il ”“novantotto” a Milano

All’origine dei moti del maggio 1898 vi fu la congiuntura economica recessiva e un raccolto agricolo insufficiente aggravato dalla reintroduzione della tassa sul macinato che gravava soprattutto sui ceti proletari.

I moti nacquero spontaneamente in vari centri: a Milano si mossero per primi i “barabba” cioè il sottoproletariato urbano che viveva di espedienti, a cui si mescolarono gli anarchici che tennero viva la tensione polemizzando con i consigli alla calma dei socialisti, i quali invece tendevano a ridimensionare i moti osservando che “le sommosse, i combattimenti di strada, le insurrezioni chiamano alla superficie i bisognisti, gli affamati, la plebe che vive come vive, i poveri diavoli che crescono fra un furto e l’altro[66] riferendosi anche ai molti immigrati che non riuscivano a inserirsi nel tessuto operaio e simpatizzavano con gli anarchici più che coi socialisti, identificati con quelle “aristocrazie operaie” che si collocavano un gradino più in alto perché avevano un posto in fabbrica.

Come scrisse il conservatore Pasquale Villari “Milano è divenuta una grande, forte, laboriosa e prospera città, la cui popola­zione è enormemente cresciuta per la continua immigra­zione di gente che viene d’ogni parte d’Italia a cercarvi lavoro. E così in essa si vanno accumulando tutto lo scontento, tutti i rancori, tutto l’odio di classe sparso nella Penisola. Il Romagnolo educato alle cospirazioni ed alle società segrete; il contadino veneto che lascia la sua lurida capanna di paglia e di fango; il contadino lombardo continuamente minacciato nelle risaie dalla febbre e dalla pellagra; la giovanetta che lascia in campagna la famiglia, e che già in parte esaltata, sovvertita da idee socialiste o anche anarchiche, si trova nella città, in mezzo a compagne più di lei esaltate, e sempre più s’esaltano, s’accendono fra loro nei convegni serali[67]

Concordava il fondatore del Corriere della sera Eugenio Torelli Viollier: queste masse analfabete “non altro hanno capito se non che tutto ciò che i padroni pos­siedono è tolto agli operai, e che il giorno della spartizione è prossi­mo. Anche le campagnole immigrate s’infiammano la sera nei loro ritrovi con ogni sorta di fantasticherie comunistiche, e si preparano alla gran giornata, imparando la strategia: andare pacificamente davan­ti ai combattenti, non mostrare paura dei fucili né della cavalleria, se­dere sui binari delle ferrovie per non lasciar partire i treni[68]. La paura che la gerarchia sociale, i rapporti di proprietà  fossero minacciati dai “barabba” che ritenevano venuto “el dì de spartì” è ben rappresenta dall’episodio dell’industriale Grondona così apostrofato da un operaio:”L’è vegnuda l’ora che nun lavorem pù, ve toccarà a vialter adess a sgobbaa”[69]

Il 6 maggio 1898 i poliziotti arrestarono due giovani che distribuivano agli operai usciti dallo stabilimento Pirelli per consumare il pranzo un manifesto firmato “I socialisti milanesi” in cui erano denunciate le cause di fondo del rincaro del pane e si raccomandava la calma. La folla di operai presenti reclamò il rilascio degli arrestati, mentre il sindacalista Dell’Avalle cercava di ricondurre alla calma.

Alla ripresa del lavoro il grosso rientrò in fabbrica, ma restò fuori dai can­celli una folla di donne e disoccupati, cui si mescolano anarchici che mantenne viva l’agitazione invitando gli operai ad abbandonare il lavoro, mentre Rondani venne con Turati a raccomandare la calma, interrotto da proteste, con la considerazione che non era ancora venuto il momento dello scontro frontale con la borghesia.

Quando Rondani annunciò all’uscita delle 18 degli operai della Pirelli il rilascio dell’arrestato e la soppressione del dazio sul pane, la protesta pareva terminata, ma un gruppo di dimostranti si scontrò con alcune guardie di PS che ripiegarono inseguite dalla folla verso la caserma e, dopo essersi barricate, uscirono sparando sui dimostranti mentre giungeva un reparto dell’esercito che a sua volta aprì il fuoco. Due operai rimasero sul terreno, con quattordici feriti gravi insieme a una guardia colpita dai commilitoni. I dimostranti issarono i corpi dei compagni morti su una carrozza tranviaria e attraversarono la città fino al Cimitero monumentale, in una protesta  rabbiosa.

La mattina seguente gli operai si presentarono al lavoro, ma la consorteria moderata insediata in municipio, fece imporre dall’autorità militare la chiusura degli stabilimenti, per spingere i lavoratori nelle strade e avere così un pretesto per la repressione. Gli operai messi in libertà si ritrovarono così nelle vie adiacenti le fabbriche a commentare gli avvenimenti e verso le dieci si formò un corteo impo­nente di migliaia di persone che si incamminò verso il centro.

Mentre il corteo si avviava verso piazza Duomo, l’autorità politica passò le consegne dell’ordine pubblico al co­mandante del corpo d’armata che in un manifesto annunciò la proclamazione dello stato d’assedio, ma l’apparato re­pressivo militare era già pronto da tempo. In caso di tumulti era previsto un coordinamento tra questura e comando militare secondo un preciso disegno strategico: nella notte del 5, dodici ore prima dell’inizio della protesta, i comandi militari furono informati dal prefetto della possibilità di dimostrazio­ni popolari per il giorno seguente, e alle 4 di mattina del 6 maggio Bava comunicò che “ai soldati saranno distribuite cartucce a pallottola. Uscendo oggi, in servizio di pubblica sicurezza, al comando dato, la truppa farà fuoco. Gli ufficiali e i soldati siano preparati e ricordino che colui che non obbedisce sarà punito come dal codice penale militare”.[70]

Per porre riparo alle cariche della cavalleria sorsero barricate improvvisate da gruppi di giovani[71], mentre il grosso dei dimostranti si sparpagliava nelle strade la­terali per poi ricomporsi in un tentativo più volte rinnovato fino a sera di giungere in piazza Duomo. Nuclei di dimostranti assalirono la ca­serma dei bersaglieri, entrarono nelle case prospicienti le barricate per bersagliare i soldati, invasero la stazione per impedire l’arrivo delle truppe mentre i macchinisti abbandonavano le locomotive per solidarietà.

I militari concentrarono le forze in piazza Duomo e sospe­sero la circolazione tranviaria per consentire alla cavalleria un rapido movimento sulle direttrici che tramite i bastioni conducevano in periferia. Gli uffici pubblici e gran parte dei negozi chiusero, mentre dalle stazioni ferroviarie borghesi e aristocratici fuggivano per le residenze di campagna.

Alle 23 del 7 ogni scontro cessò. Domenica 8 si registrarono ancora scontri e l’esercito ricorse al cannone. Restavano come focolai di protesta Porta Garibaldi e Porta Ticinese, dove l’arresto di studen­ti sconosciuti nel quartiere fece favoleg­giare le gazzette dell’arrivo da Pavia, Bologna, Padova e Torino di universitari “in bicicletta” (sic!) armati di rivoltelle.

Le truppe estesero l’occupazione fino alla linea delle porte, occupando i sobborghi per impedire qualsiasi tentativo d’irruzione in città, immaginando bande di saccheggiatori formate da “tutti gli elementi torbidi delle vicine campagne” muniti di un sacco e di un  bastone venuti a Milano per riempire il sacco dopo aver bastonato i portinai[72] mentre la polizia procedeva alla soppressioni dei giornali di opposizione e all’arresto dei redat­tori, alle perquisizioni e scioglimenti di circoli e associazioni, all’incar­ceramento degli esponenti socialisti e repubblicani.

La giornata di lunedì 9 culminò nel cannoneggiamento del convento dei cappuccini di Porta Monforte,  in cui si trovavano i frati e una quarantina di mendicanti in attesa della ciotola di minestra.[73] Solo il 10 fu autorizzata la riapertura degli stabilimenti industriali.[74] Nei giorni successivi si aggiunse il pattugliamento, ad opera di colonne mobili, nelle zone industriali col compito di arrestare sobillatori e “promotori di sciopero”

Il bilancio delle giornate del ’98, ufficialmente di 80 morti e 450 feriti, si può stimare in alcune centinaia di civili uccisi e in un migliaio di feriti; per contro il comando militare registrò una guardia di PS uc­cisa dal fuoco dei commilitoni e un solo soldato morto, con 22 feriti. Tra i rivoltosi uccisi vi furono bambini di 3, 9, 12 anni ammazzati in casa o cannoneggiati per aver fischiato i soldati, donne, vecchi di 60 e 70 anni freddati nell’atto di chiudere porte e finestre. Il Tribunale di guerra di Milano distribuì 1.435 anni e 8 mesi di galera in 129 processi contro 828 imputati di cui 688 condannati, un terzo dei quali minorenni.

Dall’esilio al ritorno nell’Italia giolittiana

Rondani aveva compiuto un primo breve espatrio in Svizzera nel 1894. La sua popolarità tra i lavoratori delle vallate prealpine lombarde e piemontesi, costretti a emigrare nella vicina Confederazione, gli fu utile quando, dopo i moti di Milano del maggio ‘98  sfugge alla cattura saltando dal treno in corsa (mentre Turati e Morgari vengono arrestati) rifugiandosi nella repubblica elvetica  dove svolse opera di propaganda per l’organizzazione sindacale e contro il crumiraggio come membro della commissione esecutiva dell’Unione socialista di lingua italiana  e come collaboratore del suo organo, “Il Socialista”.

Nonostante l’opera di pacificazione svolta con Turati e Carlo Dell’Avalle durante i moti, venne condannato in contumacia a sedici anni di reclusione dal Tribunale militare[75].

Lasciata la Svizzera nel settembre 1898, intraprende un giro di otto mesi sotto falso nome, in cui tiene delle conferenze, comprendente Germania, Danimarca, Svezia. Nel maggio 1899 partecipa alle conferenze di Amsterdam e Bruxelles, preparatorie del Congresso dell’Internazionale socialista da svolgersi a Parigi. Trasferitosi in Inghilterra, il 15 giugno si imbarca per gli Stati Uniti sbarcando a New York il 21, invitato dal Partito Socialista Italiano della Pennsilvania che gli affida la direzione del “Proletario”, pubblicato a Paterson sotto la direzione di Paolo Mazzoli dal novembre 1896,  cessando la pubblicazione nel 1987. Rondani risollevò le sorti del giornale[76]  che divenne il più diffuso settimanale italo-americano, appoggiandolo alla rete delle sezioni del Socialist Labor Party di Daniel De Leon e inquadrandolo in una prospettiva chiaramente anti-anarchica e unionista.

Dopo l’elezione alla Camera nel collegio di Cossato (Biella) nel luglio 1900 tornò in Italia e, nonostante avesse  subito a Paterson feroci attacchi dei gruppi anarchici, venne coinvolto nelle indagini per l’assassinio di Umberto I, con il pretesto che vi si era trovato contemporaneamente a Bresci. Nella veste di deputato socialista svolse interpellanze ed interrogazioni sullo scioglimento di una pubblica riunione a Quistello (Mantova); sulle proibizioni di comizi a Biella e a Massa Carrara; sugli espulsi nel Transvaal; sull’afta epizootica, unendosi all’interrogazione di Bissolati, per chiedere al ministro dell’Agricoltura un’indennità per quei contadini che dalla legge sanitaria si trovavano espropriati del loro bestiame colpito, ma nonostante ciò venne attaccato, in quanto rappresentante di un gruppo parlamentare troppo transigente col governo, dagli ambienti operai del biellese e dal vecchio compagno emigrante Oreste Mombello.

Continuò i suoi consueti giri di conferenze e nel febbraio 1901 lo troviamo in Puglia. «Parla come lavora, come si diverte: con poco ordine, ma brillantemente e con intensità», scriveva Morgari sul!’’Avanti!, in una intervista a Rondani sui suoi viaggi e sul «favoloso» numero di conferenze tenute, e ne citava la massima:  «Evitare i grandi uomini… Regolarsi in modo come se la posterità non esistesse».

Tiene un comizio a Cossato il 28 maggio 1907 di protesta per la condanna a tre mesi del sindaco che aveva fatto togliere i crocefissi dalle aule, ma affronta il problema della scuola in modo pragmatico e non dottrinario anticlericale: “bagni e docce, refezione, aule belle e sane, giardini, maestri ben pagati“ e polemizza con il nuovo direttore del ”Corriere Biellese” Mario Guarnieri [77] per il taglio anticlericale e antimilitarista impresso al giornale.

Se nell’ambito locale cresce la sua influenza e alle elezioni del maggio 1909 ottiene più del doppio dei voti dell’avversario (4790 contro 2279), invece declina la sua presenza ai vertici del Partito nazionale, che lo avevano visto eletto nell’esecutivo con Lazzari, Dell’Avalle, Enrico Bertini e Garzia Cassola al quarto congresso (Firenze 11-13 luglio 1896), e riconfermato al quinto (Bologna 18-20 settembre 1897) con Bertini e Dell’Avalle, segno di un suo defilarsi dalla lotta per il potere e anche delle lotte di corrente.

All’8 congresso (Bologna 8-11 aprile 1904) è firmatario della mozione ”“intermedia” o di centrodestra, con Rigola, Morgari, Cabrini, Reina, Scaramuzzi, Lollini e Sacco. Nel 1910 all’interno della vasta maggioranza riformista si  verifica una divaricazione tra Bissolati e Bonomi da un lato e Modigliani e Salvemini dall’altro. Con 5 voti contro 4 prevale l’OdG che rispetta l’autonomia del Gruppo Parlamentare, e Rondani si schiera con la maggioranza del GPS per l’appoggio al ministero Luzzatto che aveva promesso un allargamento dell’elettorato. Di fronte all’alternativa tra una riforma parziale ma immediatamente realizzabile e una campagna per il suffragio universale proposta da Salvemini che rischiava di rimanere testimonianza, si schiera con la prima, benchè due mesi prima avesse approvato l’OdG Canepa-Salvemini che negava l’appoggio a qualsiasi governo che non avesse nel programma il suffragio universale. Dietro l’incoerenza apparente c’era la ricerca delle riforme possibili, cui si aggiungeva la concezione del gruppo dirigente riformista settentrionale dubbioso della maturità rispetto al voto della popolazione meridionale.

Alla riunione del GPS del 7 aprile 1911 sul caso Bissolati si schiera coi destri, frenato nell’adesione alla loro linea perchè non condivideva l’intento di dissolvere il PSI in un Partito del lavoro.

Interviene per l’ultima volta a un congresso nazionale a Reggio Emilia (7-10 luglio 1912) dove è relatore con Montemartini sull’attività del GPS, ed emblematicamente, col passaggio della guida del Partito dai riformisti agli “intransigenti”, resta testimone di un’altra epoca, anche se sarà rieletto nel 1913 e resterà fedele militante del socialismo fino all’ultimo.

“Ispettore “ dell’emigrazione

Il fenomeno dell’emigrazione assunse in Italia caratteri di massa nel decennio 1880-90 per la crisi agraria innescata dall’arrivo del grano americano, divenuto competitivo sui mercati europei con l’introduzione della navigazione a vapore, e perdurò per la diffusa povertà di vaste zone dell’Italia fino alla grande guerra.

Il primo provvedimento dello Stato in merito fu nel 1888 la legge n. 5877 del governo Crispi; con la legge n. 23 del 1901 fu poi istituito il Commissariato Generale dell’emigrazione, che si interessò prevalentemente a quella transoceanica.

Nel 1900 nasce con origine e finalità religiose[78] l’ ”Opera di assistenza degli operai emigranti italiani in Europa e nel levante” (nota come Opera Bonomelli dal nome del vescovo di Cremona che la patrocinò). Lo  stesso anno al sesto congresso del Partito Socialista (Roma 8-11 settembre) l’11. punto dell’OdG riguarda l’emigrazione e Rondani, propagandista tra i lavoratori italiani in Svizzera e in America negli anni dell’esilio, ne è il relatore con Cabrini e Majno. [79]

Gli emigranti partivano ignorando lingua, costumi, leggi, tariffe, affidandosi a speculatori o “caporali”: da ciò violazioni del contratto del lavoro, speculazioni sugli alloggi e i viveri, premi di assicurazione pagati dagli operai anziché dall’imprenditore e la frequente perdita dell’ indennità di infortunio, poiché l’operaio non poteva fermarsi fino alla conclusione di lunghe pratiche.

Inoltre. nel settore edilizio vari scioperi in Svizzera e Germania si erano conclusi con un insuccesso a causa dell’intervento di crumiri italiani. L’intervento in favore dell’emigrazione italiana non era quindi dettato solo da motivi umanitari ma anche da un impegno di solidarietà verso il movimento operaio europeo, con cui quello italiano poteva conservare i rapporti solo adoperandosi a debellare il crumiraggio.

Per l’emigrazione temporanea in Europa le statistiche ufficiali davano la cifra di 222.725 [80] unità nel 1902. Si trattava di un fenomeno in espansione, visto come positivo perché creava ricchezza e diminuiva la disoccupazione[81] senza privare il paese di energie come invece accadeva per l’emigrazione permanente. I socialisti erano persuasi che non si poteva arrestare il fenomeno, ma si poteva disciplinarlo per farne un fattore di emancipazione e di progresso sociale e civile[82].

Poiché il Commissariato Generale dell’emigrazione si occupava quasi esclusivamente di quella transoceanica, a sopperire alla mancanza di un’organica iniziativa dello Stato in materia di emigrazione temporanea continentale (in Francia, Lussemburgo, Svizzera, Germania, Austria), sorgono i Segretariati per l’assistenza all’emigrazione[83] nelle località in cui era particolarmente rilevante, primo fra tutti nel 1990 quello di Udine[84]  fondato da Giovanni Cosattini,[85]

I Segretariati e sindacati di categoria come la “Federazione dell’edilizia” proposero di costituire un ufficio di coordinamento da affidare all’Umanitaria[86], coinvolgendo studiosi e organizzatori del mondo socialista: Dino Rondani, Giovanni Montemartini, Angiolo Cabrini, Antonio Vergnanini, Felice Quaglino, Augusto Osimo, Alessandro Schiavi. Al 1. congresso nazionale dell’emigrazione temporanea, svoltosi il 22-23 settembre 1903, Osimo a nome dell’Umanitaria presentò il progetto di un Ufficio fondato sulle organizzazioni professionali locali e sui Segretariati invece che su personale stipendiato e della ricerca del concorso finanziario di altri enti e di un’intesa col Regio Commissariato dell’emigrazione.

Lo statuto fissava come scopo l’istituzione di uffici per l’emigrazione temporanea in Europa nei paesi da cui partiva l’emigrazione e in quelli verso cui era diretta, ma si puntò anche sulla propaganda da svolgere all’interno per far conoscere le condizioni di lavoro e la legislazione sociale dei paesi di destinazione e per informarli della situazione del mercato del lavoro, onde evitare i luoghi in cui erano in corso scioperi dei lavoratori, ciò che implicava accordi con le organizzazioni operaie dei paesi europei.

Alla fine del 1903 il servizio in via sperimentale fu affidato all’Ufficio del lavoro dell’Umanitaria diretto da Alessandro Schiavi, che, disponendo di una somma appositamente stanziata, si valse dell’opera degli ispettori viaggiatori dell’Ufficio del lavoro Ernesto Piemonte, O.Schiassi, Nino Mazzoni, A.Toscani, M.Todeschini, A.Rivolta e Dino Rondani. Mentre Felice Quaglino, segretario della Federazione dell’edilizia, già aveva iniziato un’azione basata sulle campagne invernali nell’Ossola e lago Maggiore, nell’inverno tra il  1903 ed il 1904 furono visitati il Friuli e le provincie di Sondrio, Belluno, Padova, Parma, Bologna, Rovigo, Mantova.

Il Consorzio tra l’Umanitaria, le province di Reggio Emilia, di Mantova (entrambe amministrate dai socialisti) e di Sondrio e i Segretariati per l’emigrazione venne istituito il 23 settembre 1904 presso l’Umanitaria per un periodo di cinque anni, diretto da un consiglio di nove membri[87]   Dino Rondani coadiuvato da Benedetto Giani fu assunto dal Consorzio che gli affidò come compito principale le ispezioni all’estero. I compiti degli ispettori, il cui numero era limitato a causa del bilancio di 15.000 lire annuali, erano immensi: in Italia avrebbero visitato durante l’inverno i centri di emigrazione per assumere le necessarie informazioni sul presunto esodo della stagione estiva e sulla sua destinazione[88], diffondere notizie, fornire gli indirizzi delle persone e delle organizzazioni cui fare riferimento nelle varie località, adoperarsi per l’istituzione di scuole popolari e di scuole professionali, cercare di fondare nuovi segretariati. All’estero avrebbero dovuto occuparsi del collocamento e della tutela degli emigranti, assumendone anche il patrocinio

Cabrini però riteneva che l’azione dovesse basarsi sulla rete di segretariati in Italia e di organismi analoghi all’estero e insisteva che «Il lavoro che si compie all’estero, forzatamente slegato, incerto, insufficiente, non vale quello compiuto nella stagione invernale, quando gli emigranti son tornati alle proprie case», consigliava di collaborare con le organizzazioni tedesche e proponeva che sull’azione del Consorzio vigilasse il Segretariato nazionale della resistenza (dal 1906 Confederazione generale del lavoro CgdL) [89] Sull’idea che l’azione del Consorzio dovesse basarsi «sul perno dell’organizzazione operaia» concordavano sia il presidente Giovanni Montemartini sia Alessandro Schiavi, che ne aveva avviato il funzionamento.

Il lavoro del Consorzio rivolto all’estero, iniziato con la corrispondenza con le  organizzazioni operaie svizzere,  austriache,  tedesche,  proseguì nell’estate del 1904 con i viaggi di Cabrini in Germania, di Rivolta in Francia in Svizzera e di Rondani in Lussemburgo e in Germania, che consentirono di delineare una mappa dei problemi dell’emigrazione temporanea nei diversi paesi e di individuare gli interlocutori: erano pronti a collaborare i sindacati svizzeri, tedeschi e austriaci, a patto che parte italiana vi  fosse  l’impegno di  favorire  l’iscrizione alle federazioni di mestiere ma in Francia non fu possibile stabilire accordi con la Federazione delle borse del lavoro di  Parigi.

Erano state previste due agenzie sul confine italo-svizzero e due su quello svizzero-tedesco, con funzione sia di patronato che di statistica, per individuare i luoghi di destinazione; esse furono istituite a Basilea (gestito dalla comunità italiana), a Chiasso (affidato alla Camera del lavoro di Lugano), a Losanna (curato dalla “Federazione muraria di lingua italiana” che assunse una grande importanza per l’apertura del Sempione), e a Bellinzona. La funzione degli uffici di confine era di aiuto agli emigranti nelle pratiche ferroviarie, facendo loro ottenere le tariffe preferenziali cui avevano diritto, fornendo loro informazioni e in qualche caso fungeva da ufficio di collocamento, suscitando le diffidenze degli organizzatori operai.

Nel 1906 col contributo del comune di Milano cominciò a funzionare presso la stazione centrale la Casa degli emigranti che offriva un ricovero gratuito, cucina, informazioni sugli itinerari e i mercati del lavoro con una media annua di 40-50 mila passaggi,, con punte di  90.000 nel 1911.

A Fontaneto d’Agogna (Novara) fu organizzato un Congresso dell’emigrazione il 1 gennaio 1907, presieduto da Dino Rondani. Si discusse della partecipazione degli emigranti alle elezioni invernali, degli uffici di confine, dell’adesione alle organizzazioni economiche all’estero e dell’emigrazione interna. Il Congresso collegiale socialista di Borgomanero espresse voti per l’istituzione di un Segretariato d’emigrazione in collaborazione con l’Umanitaria e, nello stesso anno, sorse ad Arona il Segretariato d’emigrazione per il Lago Maggiore,

L’Umanitaria all’inizio del 1906 costituì il Segretariato per l’emigrazione interna, per il collocamento e l’assistenza dei lavoratori dei campi durante i mesi di sosta dell’emigrazione europea, e nell’ottobre coordinò tra loro le attività dell’Ufficio dell’emigrazione interna, del Consorzio per l’emigrazione temporanea in Europa e dell’Ufficio di collocamento gestito assieme alla Camera del lavoro, affidandone la supervisione ad Angelo Cabrini.

Rondani veniva a trovarsi in una posizione delicata, poiché l’Umanitaria assumeva di fatto la direzione del Consorzio e Cabrini nella primavera del 1907 preparò un progetto[90] che ne prevedeva lo scioglimento. I segretariati dell’emigrazione sarebbero passati al nuovo ufficio per  diventare «una delle tante branche», con questi obiettivi: “Azione netta precisa concreta. Cardine dell’azione stessa sia questo concetto: l’Ufficio sorge a integrare l’azione delle organizzazioni proletarie in quella parte che riguarda l’emigrazione temporanea in Europa. L’Ufficio non deve pretendere di sostituirsi alla divina provvidenza per ridursi a sfarfalleggiare su mille questioni diverse e non esaminarne alcuna  … Le funzioni di «Croce Rossa» si lasci ad altri Istituti: è al mercato del lavoro che si deve tendere lo sguardo e dirigere l’opera. L’asilo-ricovero, la riduzione ferroviaria, l’assistenza infortuni siano funzioni accessorie: l’Ufficio si applichi a disciplinare il collocamento insieme con le organizzazioni di mestiere; a rimuovere le cause del crumiraggio; agevolare alle organizzazioni di mestiere la stipulazione di convenzioni internazionali; a promuovere nei diversi Stati accordi legislativi favorevoli agli emigranti”.

L’ufficio di Milano compilò guide dei singoli paesi e un servizio di  informazione sulle offerte di lavoro e sulle condizioni di vita delle singole località.

Il 19 luglio 1907 Cabrini, Della Torre, Osimo, Pagliari, Schiavi e Samoggia decidevano, d’accordo con l’Umanitaria, di procedere allo scioglimento del Consorzio. Il Direttivo il 30 luglio 1907 della CGdL  espresse parere favorevole e il 17 settembre era ratificava la decisione.

Mentre si procedeva alla chiusura degli uffici di confine[91], si svolse un’indagine. Rondani veniva accusato di privilegiare le funzioni ispettive a scapito di quelle direttive[92] del Consorzio. I corrispondenti di Berna e di Basilea lo accusarono di avere svolto con le sue ispezioni un lavoro  inconcludente, secondo quelli di Berna sarebbe stato meglio istituire nei centri principali della Svizzera  degli uffici con personale fisso, ciò avrebbe permesso di affrontare con maggiore serietà anche il collocamento, che veniva considerato la funzione più difficile. Da un altro lato giungeva l’accusa di Serrati di interventi assistenziali  non classisti e dell’assenza degli emigranti al convegno  organizzato dalla Camera del Lavoro con l’Umanitaria.  Per Rondani queste parole sono il frutto di un temperamento critico e ingiusto, che lo portava “a commettere delle azioni che per un nemico sarebbero delle bricconate letterari e per un amico delle bricconate autentiche”[93]

Rondani protestò per il licenziamento da direttore ma accettò di collaborare svolgendo il compito, per cui veniva ritenuto più adatto, di ispettore[94] e l’Ufficio dell’emigrazione dell’Umanitaria, sotto la direzione di Osimo e di Cabrini[95], proseguì il lavoro in precedenza svolto dal Consorzio senza spezzarne la continuità. [96]

Le ispezioni di Rondani costituirono nel corso del 1908 e 1909 un’attività fondamentale  del   nuovo ufficio.[97]  Il loro scopo  doveva essere quello di organizzare in  Italia uffici e segretariati per l’emi­grazione e il collocamento dei contadini, in collaborazione con l’Ufficio agrario,  cooperando al  buon  andamento ed all’incremento degli uffici e dei segretariati già esistenti. Gli ispettori dovevano an­che effettuare visite, sia in Italia sia all’estero, per importanti collo­camenti di mano d’opera e per assumere notizie dirette sulle condi­zioni del mercato del lavoro. Non vi era quindi, a parte la collabora­zione tra i vari uffici dell’Umanitaria che si occupavano di colloca­mento, nessuna sostanziale novità rispetto alle linee generali di azione del Consorzio, segno che una volta eliminata la causa che ne aveva inceppato lo sviluppo, la  sua opera veniva  considerata nel complesso positiva.

L’esperienza del Consorzio aveva consigliato di porre limiti precisi ai poteri d’intervento degli ispettori e di assicurare con una specificazione dei compiti l’organizzazione del servizio, al cui funzionamento doveva provvedere la Direzione cui spettava assegnare le zone di lavoro agli ispettori, che dovevano inviare giornalmente un rapporto dettagliato, la corrispondenza e le trattative con l’estero. Un accordo sulle competenze fu raggiunto l’11ottobre 1908 a Torino tra il Direttivo della CgdL, i Segretariati laici dell’emigra­zione e l’Umanitaria, stabilendo “spettare alla CgdL e alle federazioni nazionali di mestiere la direzione della politica sindacale dell’emigrazione (organizzazione, tariffe, convenzioni internazionali, ecc.) e agli uffici e segretariati degli emigranti quell’opera di assistenza che si estrinseca con iniziative di istruzione popolare, di patrocinio legale, di rilievi statistici. Tali uffici e segretariati devono peraltro integrare l’azione dei sindacati di mestiere anche nel campo dell’organizzazione di classe, procedendo però sempre d’accordo con la Confederazione generale del lavoro e le federazioni interessate”.

Questa formulazione rigida del principio di non scavalcare i sindacati concedeva in effetti ai segretariati e all’Umanitaria un margine di iniziativa una volta che si fossero dichiarati ligi alle loro direttive e in questo modo fu possibile che il collocamen­to, su cui la Federterra si era  espressa in termini rigidi,[98] divenisse poi il campo di un’iniziativa dell’ Ufficio emigrazione[99], in collaborazione con il settore coope­rativo[100].

Al 3. Convegno degli uffici e segretariati dell’emigrazione[101] l’Ufficio centrale poteva mostrare di aver superato il periodo iniziale della propria attività e di attraversare una fase di ulteriore espansione: erano ormai in funzione 21 tra segretariati e uffici locali dell’emigrazione, mentre si  infittiva la rete dei corrispondenti all’estero[102]. Grande era anche la mole del lavoro di assistenza per infortunio, collocamento, vertenza coi  padroni per salari, maltratta­menti e altre eventualità e per la compilazione di pratiche per cui vi era bisogno di un interprete[103]. A questo si aggiungeva il costan­te sforzo per costituire biblioteche per emigranti[104] e quello per una legislazione  a  favore  dell’emigrazione,  per  la  quale  si prodigò  soprattutto Cabrini.  Per sviluppare questo settore nel 1909 Cabrini fondò un ufficio  romano per l’azione   parlamentare   e legislativa[105]. I segretariati laici dell’emigrazione continuavano a svilupparsi[106] anche nel Sud. La propaganda invernale, fulcro dell’attività dell’Ufficio, stava dando buoni risultati: gli italiani avevano finalmente perso la fama di crumiri, di cinesi d’Europa e di rompi-sciopero

Tra impresa libica, grande guerra, dopoguerra

L’impresa libica ebbe gravi ricadute sul socialismo italiano che al congresso di Reggio Emilia del 1912 espulse dal partito i riformisti di destra filotripolini, mentre i riformisti di centro (Turati) e di sinistra (Modigliani) furono colti di sorpresa e spiazzati da questa svolta della politica giolittiana che bloccava il loro avvicinamento al presidente del consiglio e finirono per adottare l’impostazione salveminiana e liberista dell’antitripolismo, che proponeva un criterio differenziato nella valutazione del colonialismo in rapporto al modello liberoscambista inglese, e sulla stampa e nei comizi usarono le accuse di «tradimento» e «ingiustificata pazzia». Solo la frazione intransigente si oppose all’impresa libica rivendicando la concezione dottrinaria del socialismo.

Prima del congresso la guerra aveva provocato una momentanea scissione nel Gruppo Parlamentare (GPS) nel febbraio con la contrapposizione di  due linee: mentre Pescetti proponeva di prendere la parola alla Camera per esprimere l’omaggio ai caduti, Turati sosteneva che si dovesse essere presenti senza però partecipare alla cerimonia di omaggio, e il suo OdG venne votato da Rondani, che votò anche, a differenza del resto del Gruppo Parlamentare, l’annessione della Tripolitania e della Cirenaica al Regno d’Italia.[107]

Con lo scoppio del conflitto mondiale la sua fedeltà al riformismo turatiano, sorretta dal legame con il movimento dei lavoratori socialisti, gli impedì le ambiguità interventiste del deputato socialista di Santhià Umberto Savio. Il suo impegno politico fu particolarmente rivolto ai doveri elettorali ed agli incarichi di natura sociale svolti per l’Umanitaria, e rivolti all’assistenza ai disoccupati e, a guerra finita, al rimpatrio dei profughi e dei prigionieri.

Dopo la guerra fu  rieletto alla Camera dei deputati nel 1919 e 1921 non più per il collegio uninominale di Cossato ma, nelle prime elezioni a suffragio universale maschile con il sistema proporzionale,  per il collegio della provincia di Novara.

Nel febbraio 1920 si recò in Calabria presso la Lega di S.Giovanni in Fiore[108] per verificare l’applicazione del decreto Visocchi[109]  a marzo in Svizzera per i renitenti e disertori lì rifugiati, poi a Trento e di nuovo a maggio in Sicilia e Calabria

Fece parte della delegazione del PSI al II Congresso dell’Internazionale comunista (Mosca, luglio 1920) come rappresentante del gruppo parlamentare, ma la sua voce nei dibattiti interni del partito risuonava sempre meno: partecipò senza intervenire ai congressi di Roma (1918), Bologna (1919), Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922). Al congresso di Milano aderisce alla mozione intermedia (tra Serrati e Turati) di Cesare Alessandri, a  quello di Roma vota la mozione riformista aderendo al Partito Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la dirigenza piemontese del PSI con l’eccezione di Romita, Barberis, Amedeo e pochi altri. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.) della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all’indomani dell’attentato Zaniboni.

Esilio a Nizza

Il fallito attentato di Bologna contro Mussolini del 31 ottobre 1926, attribuito al giovane Anteo Zamboni, fu utilizzato per deliberare il 5 novembre la soppressione dei giornali antifascisti, lo scioglimento dei partiti, l’istituzione del confino di polizia e del Tribunale speciale per i reati contro il regime[110]. Come in occasione dei fatti del ‘98, quando era riuscito al espatriare in Svizzera prima dell’arresto saltando da un treno in corsa, così ora evitò il confino inflitto a tutti gli antifascisti noti grazie alle sue doti di prudenza e preveggenza. Ad ottobre aveva richiesto un passaporto per Londra come esportatore e giusto in tempo  prima dell’introduzione delle leggi eccezionali, evitando l’espatrio clandestino cui dovette ricorrere Turati, riparò a Nizza, dove con Baldini, Turati, Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti collaborò alla ricostruzione del Partito socialista unitario del lavoratori italiani (PSULI).

Il PSULI ha un numero di iscritti inferiore a quello dei massimalisti e dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione) contro le sette massimaliste, ma poteva contare su dirigenti di notorietà internazionale e godeva dell’appoggio del partito francese (SFIO) e delle sovvenzioni dell’Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in maggioranza riformisti i dirigenti della ricostituita CgdL. Collabora, oltre che a “”Rinascita socialista” al «Corriere degli Italia­ni», fondato da “”popolare” Luigi Donati.

Già nel 1927 divenne presidente per la regione delle Alpi marittime (Nizza) della “”Lega italiana dei diritti dell’uomo” (Lidu)[111] fondata da Luigi Campolonghi e Alceste De Ambris, entrando quindi nella Concentrazione antifascista che, con il suo programma di propaganda e di assistenza, le sue radici liberal-massoniche, i suoi legami con Turati, Treves  e Modigliani sembrava ricostituire l’ambiente della sua giovinezza di propagandista viaggiante e di esule politico: raccolta di sottoscrizioni per i giornali antifascisti, conferenze e feste familiari per il 1. maggio, per commemorare Garibaldi o Matteotti, aiuto ai connazionali e contemporaneamente una serie svariata di contatti e incontri dal 1927 al 1930 soprattutto con gli ambienti inglesi del Labour Party e del gabinetto di Ramsay Mac Donald, ma anche con il duca di Canterbury zio del re d’Inghilterra che villeggiava a St. Jean Cap Ferrat.

Nel 1927, organizzò con il giovane Sandro Pertini, a Nizza, un ufficio di assistenza legale per gli emigrati e, insieme a Francesco Cicciotti, fu  difensore dello stesso Pertini nel processo del 1929 per la radio clandestina.

Fece parte del “”Comitato per l’azione in Italia” costituito nel 1928, e nel 1929 della “”Commissione per la propaganda in Italia”, presiedute entrambe da De Ambris.

E’ delegato della sezione di Nizza al 21. Congresso (primo dell’esilio) tenuto a Parigi il 29-30 luglio 1930, che è anche il congresso della riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l’ala guidata da Nenni, mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori)  (segretario politico Ugo Coccia).

Si occupò con alterna fortuna in traffici commerciali che, come membro dell’Alleanza cooperativa internazionale, agli inizi della stagione calda lo portavano regolarmente nel nord dell’Europa e in particolare a Londra.

Vera Modigliani ne tracciò questo ritratto: Se il suo fisico vi si prestasse, se fosse, cioè, più alto e meno rotondetto, potrebbe passare per il «gentleman» inglese di cui ha tutto il modo di fare. Vissuto a lungo in Inghilterra (è, come Bocconi; un veterano dell’esilio: era già stato profugo nel ‘98) trova che tutto ciò che è inglese è buono e bello. Elegante, inappuntabile, per un difetto della vista porta spesso la caramella all’occhio, si ostina – e ci riesce! – a non voler invecchiare. Porta con disinvoltura la sua calvizie ed i suoi capelli grigi; sempre perfettamente raso, tiene appena due baffetti tagliati con arte sapiente. È un igienista: adora i frutti, i fiori, le lunghe camminate per le strade di montagna. Vive bene nel clima di Nizza  non si è lasciato adescare da Parigi  e fa vivere bene quelli che gli stanno intorno perché, non sprovvisto di mezzi, è generoso e buono.  E siccome è anche in buona salute, si mantiene speranzoso e studia e fa studiare i problemi della ricostruzione italiana nel dopo fascismo e dopo guerra nella luce del proprio ottimismo”  [112]

Dal 1931, dopo la proclamazione della Repubblica in Spagna, gli esuli italiani guardavano a Madrid, e molti vi si erano trasferiti, da Rosselli, Bassanesi, De Rosa, Tarchiani, al repubblicano Natoli, allo stesso Rondani [113]

Con il 1933-34 la vita politica europea subisce un’accelerazione: in Germania arriva al potere Hitler e viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il partito socialista furono gli anni dello scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di unità d’azione con i comunisti e dell’impegno in Spagna. Il tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità per diventare oggetto di discussione.

Al 22. Congresso, tenuto a Marsiglia nell’aprile 1933 non è presente ma invia un telegramma di adesione da Barcellona.

Nel 1934, dopo il patto d’unità d’azione con i comunisti, quando si accende il dibattito sul pacifismo socialista, fa sua la parola d’ordine della difesa dell’URSS che riteneva per la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d’aggressione e propugna il «disfattismo rivoluzionario» da opporre ai regimi fascisti in caso di guerra.

Al 23. congresso, tenuto a Parigi dal 26 al 28 giugno 1937 è delegato, con Filippo Amedeo e Saragat, della Federazione del Sudest e Centro che conta più di 50 sezioni. Presenta un OdG con Pedrono che dice “”il congresso invita la Direzione a nominare un Comitato che prepari i materiali teorici e tecnici per lo studio dei problemi italiani e internazionali. Ed a pubblicare su questi problemi una serie di opuscoli per orientare il lavoro intellettuale del partito” [114]

Amareggiato dalle discordie che dividevano i fuorusciti antifascisti, dopo il 1937, rallentò la sua attività: lasciò la Lidu per diventare presidente della sezione di Nizza della Unione popolare italiana, a cui aveva aderito anche Campolonghi.

Alla fine del 1939 la direzione socialista emana un documento[115], stilato da Tasca, in cui l’URSS e i regimi fascisti sono accomunati dallo stesso carattere totalitario e dice Morgari in un suo documento [116] che la politica socialista è perciò compatibile con l’alleanza anglo-francese ma esclude per ciò stesso i comunisti dal campo antifascista.

Nel 1940 quando il regime di Vichy sciolse d’autorità le autorizzazioni politiche, era segretario della sezione socialista di Nizza.

Ha 73 anni quando, il 7 dicembre 1940, spinto dalla sua compagna Dorina Segala si reca dal commissario di P.S. Baranco, fa atto di sottomissione al regime e chiede di poter rientrare in Italia., ma non attua questo proposito:“Prudentissimo ma dignitoso nel riaffermare i suoi ideali socialisti”  lo ricordava Giorgio Amendola[117] che lo conobbe a Nizza nel 1942.

In risposta allo sbarco anglo-americano nell’Africa settentrionale, Hitler abolisce lo stato fantoccio di Vichy e lo occupa militarmente. Gli oppositori del fascismo vengono arrestati e consegnati alla polizia italiana. Con la medesima dignità attraversò alla fine dello stesso anno, settantacinquenne e semicieco, la durissima e umiliante prova della estradizione nell’Italia fascista, degli interrogatori, delle minacce, del carcere, del domicilio coatto. E’ catturato il 29 novembre di quell’anno; dopo 18 giorni nel carcere di Mentone è trasferito a Forlì dove, semicieco, scrive una domanda di grazia a Mussolini, senza pronunziare mortificanti abiure. Viene scarcerato il 27 dicembre con obbligo di residenza a Milano presso una parente. Dopo la caduta del regime, nel luglio 1943, si trasferisce a Villaguardia (CO) e poi in una casa di cura di Como, sotto sorveglianza. Dimesso a febbraio riprende l’attività clandestina ed è arrestato a marzo e si salva dalla deportazione in Germania, liberato fortunosamente il 25 aprile.

Nel secondo dopoguerra (1945-1951)

Espatriato da Biella nell’ottobre 1926, poco prima che fossero emanate le leggi eccezionali, vi ritorna dopo un ventennio e si inserisce nella attività del Partito tenendo conferenze con Ernesto Carpano e Virgilio Luisetti in occasione delle elezioni per la Costituente. Torna poi però a Nizza, dove era stato nominato commissario per le opere assistenziali del Consolato italiano[118]  e  dove presiede la “Società amici della Francia”

E’ presente comunque al congresso straordinario del PSI tenuto a Genova  dal 27 giugno al 1° luglio 1948, dopo la sconfitta elettorale del fronte popolare avvenuta il 18 aprile. Furono presentate tre liste: “Riscossa”, favorevole al mantenimento del Patto d’unità d’azione ma non al Fronte, i cui esponenti erano il novarese Alberto Jacometti, il sindacalista Fernando Santi[119], Giovanni Pieraccini[120] e due “azionisti” confluiti nel PSI: Riccardo Lombardi e Vittorio Foa; “Sinistra”, firmatari Nenni, Morandi, Luzzatto, Tolloy, Lizzadri, per la riconferma della politica unitaria; “Per il socialismo” firmata dai piemontesi Giuseppe Romita, Luisetti  e Passoni, da Calogero, Carlo Spinelli,Lopardi, Orlandi, e dal sindacalista Viglianesi, secondo cui occorreva un partito socialista riunificato, autonomo e sciolto dall’unità d’azione col PCI, con cui erano possibili intese per la difesa delle libertà democratiche. Egli segue questa corrente che ottiene il 26% dei voti, conto il 42% di “Riscossa socialista”  e il 31% della Sinistra.

Al successivo 28. Congresso di Firenze nel maggio 1949 la “Sinistra” conquistò la maggioranza e Rondani come gli altri seguaci della mozione di Romita che aveva ottenuto solo il 9% dei voti uscì dal PSI, confluendo dopo breve tempo nel PSDI di Saragat. Fu questa la sua ultima presenza attiva nel socialismo italiano.

Ritiratosi definitivamente a Nizza, qui si spense il 24 giugno 1951, all’età di 83 anni[121]

 

Un sentito ringraziamento a Giovanni Artero per averci offerto la possibilità di pubblicare on line la sua opera.

 

[1]  Democrazia e socialismo nei carteggi di N. Colajanni, Milano, 1959, p.243

[2] Dalla laguna la conferenza di Dino Rondani “Avanti!”, 20.10.1900

[3] O.Morgari, Fiori di maggio, 1905, p.28. Id. L’Europa vista a volo di …Rondani, “Avanti!”, 16.9.1900 “parla come lavora: v’accenna cento cose in un istante sottintendendo metà delle parole. Non ama fermarsi su un argomento più di due minuti, nè star seduto più di quattro. Parla come lavora e come si diverte: con poco ordine ma brillantemente e con intensità. Ha seminato il suo collegio, il novarese. la Lombardia, l’Italia, l’estero di un numero favoloso di conferenze. Egli è il moto perpetui ed ha il dono dell’ubiquità. Sotto i suoi passi i circoli, le leghe e comitati, le cooperative, i giornali crescono come la gramigna. Con ciò non posa a seminatore mistico…perchè di preferenza semina le barzellette. Parla a saltelli facendo ridere…ha un grande senso della praticità. Disorienta la gente compassata fa crepare le bolle dell’ampollosità e ai retori. E’ interessante la sua teoria degli uomini illustri: Evitare i grandi nomi, ci vuole gente media che lavori. Schiacciano tutto…Non è uno stinco di santo. Non posa a martire…Ai nostri occhi è un uomo completo, sano nello spirito e nel corpo, forte di muscoli e nervi, che perciò ha bandito la melanconia e ama vivere in tutte le direzioni sia coi sensi che con la mente e col cuore, beneficiando gli altri senza pregiudizio per sè. Tipo raccomandabile come uomo moderno e felice. [viaggia] sempre in terza classe per due ottime ragioni: che i viaggiatori di prima si mostrano annoiati, stupidi, presuntuosi sotto tutte lelatitudini..e anche un po’ per economia”

[4] “fu il propagandista più in movimento e il conferenziere più facondo. Lo si poteva trovare nello stesso giorno a Roma e a Firenze e il giorno dopo nel Veneto. Viaggiò tutta l’Italia, tenendo in media una conferenza al giorno, dalla Sicilia… in Trentino e nel Tirolo, nella Svizzera di lingua tedesca e in quella francese, fu persino a Tunisi  uno dei più attivi propagandisti e organizzatori del giovane PSI. Qualcuno, scherzando, disse di Dino Rondani, che egli è come il commesso viaggiatore del partito socialista”, G.Manfrin, Rondani Dino: Il commesso viaggiatore del socialismo, “Avanti! della Domenica”22.12.2002

[5] R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio , cit.

[6] Si ricordolo l’opuscolo anticlericale del 1897 “Le massime di S.Ambrogio”, in risposta ai festeggiamenti per il 15. centenario della morte.

[7] Piccolo centro di 2.900 abitanti in provincia di Forlì-Cesena. Profondo fu il legame affettivo tra Giovanni Pascoli ed “il piccolo grandemente amato paese di Romagna”, testimoniato dalla cittadinanza onoraria conferitagli nel 1906

[8] M. Ridolfi, Il partito della Repubblica: i repubblicani in Romagna e le origini del Pri nell’Italia liberale (1872-1895)  Milano, 1990

[9] V. Evangelisti, E. Zucchini Storia del partito socialista rivoluzionario 1881-1893; Bologna, 1981

[10] R. Caddeo, Le Edizioni di Capolago. Storia e critica.storia e critica : bibliografia ragionata, nuovi studi sulla tipografia elvetica, il Risorgimento italiano e il Canton Ticino : documenti inediti, Milano, 1934; F.Bernasconi Per un catalogo delle edizioni di Capolago – Bellinzona – 1984

[11] “Corriere Biellese”, 8.1.1909, Dino Ròndani a Messina; Id. 7.11.1913, Egidio Rondoni è morto,  15.4.1914, Un nuovo lutto dell’on. Rondoni’, “Avanti”!, 24.8.1915

[12] Il Liceo Carlo Alberto di Novara, fondato nel 1858, è tuttora funzionante in Baluardo La Marmora 8/c

[13] M.G.Meriggi  Il partito operaio italiano : attività rivendicativa, formazione e cultura dei militanti in Lombardia, 1880-1890  Milano – c1985

[14] M. Ridolfi,  Alessandro Schiavi: indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista nel primo ‘900,  Cesena, 1994; Q. Versari,  Un riformatore: Alessandro Schiavi nella storia del socialismo italiano,  Bologna, 1986; G. Silei Alessandro Schiavi : il socialista riformista  Mandria, 2006

[15] A. Magnani,  Luigi Montemartini nella storia del riformismo italiano Firenze, 1990; La cultura delle riforme in Italia fra Otto e Novecento: i Montemartini: atti del Seminario, Pavia 15 dicembre 1984 – Pavia 1986

[16] D.Rondani Ancora, ancora. Ricordi di propaganda in “La lotta di classe”, 14-15.1.1899

[17] G.Cervo, in Riosa (a c. di) Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo  Milano, 1981, pag.35, A. Nascimbene, Il movimento operaio lombardo tra spontaneita e organizzazione : (1860-1890), Milano, 1976 , pag.394

[18] D.Rondani, Un pane socialista,  “Critica sociale”, n.15 del 1891 (è l’unico che pubblica su questa rivista) Pubblica anche “I ferrovieri inglesi e l’organizzazione” per la “Rivista popolare di politica, letteratura e scienze” del 1888-89.

[19] Lettera di Angelo Cabrini all’operaista A.Casati in cui gli chiede se intende  escludere il gruppo Rondani (e intellettuali) del futuro partito. In Manacorda, p. 427

[20] “La lotta di classe”, 8-9 ottobre e 4-5 novembre 1892

[21]  ACS, CPC, b. 4405

[22]  ” La lotta di classe”, 5-6.1.1895

[23]  “la condotta del Rondani fu scorrrettissima.Appena qui arrivato trovò modo di infiltrarsi presso la parte meno rispettabile della popolazionee stringe intima amicizia con diversi giovani che professano idee esaltate…si diede anima e corpo alla propagazione delle dottrine socialiste riuscendo persino a costituire un circolo socialista di cui fanno parte 30 associati. Dal Presidente del Tribunale venne ammonito a meglio comportarsi e di non dar luogo a nuovi rimarchi, ma tutto risultò inutile” relazione del sottoprefetto di Domodossola 11.4.1895, in ACS CPC, b.4405

[24] R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio ,  cit., p. 137-9.

[25] F.Ramella “Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel biellese dellOttocento“, Torino,

[26] M.Neiretti, G.Vachino “La lana e le pietre: il biellese  nell’archeologia industriale“, Biella, 1987; “Archeologia e storia industriale nel biellese: archivio e fonti. Convegno”, Biella, 1988; P.Secchia “Capitalismo e classe operaia nel centro laniero d’Italia”, Roma, 1960; “L’altra storia. Sindacato e lotte nel biellese. 1901-1986”, Roma, 1987; R. Gremmo: “La repubblica di Sala Biellese del 1896: dalla rivolta popolare alle lotte di anarchici, socialisti, sindacalisti rivoluzionari e comunisti nei paesi della Serra”, Biella, 1996; L.Moranino “Le donne socialiste nel biellese: 1900-1918″, Vercelli, 1984; M.Neiretti “Le radici e il fondamento: dall’ opinione pubblica alla forma partito nel biellese di fine Ottocento” “L’impegno”, 1993 n.3 = “Democratici e socialisti nel Piemonte di fine Ottocento”,  Milano, 1995

[27]  P.Ferraris “Sviluppo industriale e lotta di classe nel biellese”, Torino, 1972

[28]  L. Petrini “Le SOMS biellesi nel secolo scorso 1851-1872“, Biella, 1996

[29]  I buoni artieri : Parte I  Roma 1957

[30] F.Fabbri Angiolo Cabrini (1869-1937): dalle lotte proletarie alla cooperazione fascista. In “Cooperazione e società”, 1971, n. 1-2; F. Borrelli Angiolo Cabrini ; relatore E.R. Papa, Università di Torino Facolta di Scienze politiche, A.A. 1985-1986 ; E.Santarelli voce in: Dizionario biografico degli italiani, vol. 15

[31] R.Rabaglio, I.Zamprotta “L’azione sociale, culturale e di educazione permanente dell’Università Popolare di Biella”, Biella, 1992,

[32] P.Corti “Il segretariato biellese dell’emigrazione. Strutture organizzative, tradizione migratoria, spazi istituzionali” In “Democratici e socialisti nel Piemonte dell’Ottocento”, Milano, 1995. All’epoca ne erano  stati istituiti già 13.

[33] M. Nejrotti, La stampa operaia e socialista 1848-1914, in Storia del movimento operaio del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, Bari, 1975,  vol. I, p. 412; R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio…, cit., p. 73.

[34] G.Berta, La formazione del movimento operaio regionale: il caso dei tessili in “Storia del movimento ..”., cit., p. 310.

[35] Luigi Guelpa (1843-1911) avvocato mazziniano esponente della democrazia biellese. Candidatesi per la prima volta nell’82 contro Sella, fu eletto nel ’90 e riconfermato nel ’92. Sconfitto tre anni dopo si ritirò dalla politica attiva.

[36] P. Secchia, Capitalismo e classe operaia nel centro laniero d’Italia, Roma, 1960, p. 139

[37] Il fonditore Camillo Gioggia, allora seguace di Guelpa, ma che all’inizio degli anni ’90 aderì al socialismo, occupandosi in particolare del movimento cooperativo. AA. W., Linee di storia del socialismo biellese, Biella, Federazione del PSI biellese, 1962

[38]  P.Vigliani, muratore autodidatta e apprezzatissimo oratore, fondatore della cooperazione e della lega muraria a Ponderano, fu il primo sindaco socialista di questo comune. AA. W., Linee di storia del socialismo ,.., cit.

[39] Operaio tessile, già al congresso di Reggio Emilia del 1893 si trovò su posizioni “marxiste”. La “Lotta di classe” del 26-27 novembre 1892 pubblicò la sua : “Un ‘inchiesta sulla tessitura nel Biellese“,

[40] Operaio meccanico, seguace di Guelpa, socio fondatore e presidente della Unione Cooperativa Biellese, all’inizio degli anni ’90 abbracciò le idee socialiste. Fu  il primo socialista ad essere eletto al Consiglio comunale di Biella.

[41] Federico Garlanda (1867-1913), docente di  inglese a Roma, dove fondò la rivista “Minerva”. Eletto nel ’95 nel collegio di Cossato appoggiò il governo Crispi. Sconfitto nel ’97, si ricandidò nel 1909 a Biella ma venne sconfitto da Quaglino.

[42] R.Rigola, Commemorazione di Luigi Guelpa Biella, Tipografia biellese E. Rigola, Ubertino e C., 1912, p. 11.

[43] C.Cartiglia “Rinaldo Rigola e il sindacalismo riformista in Italia”, Milano, 1976

[44]  R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio …, cit,

[45]   Nel luglio 1951, commemorando Rondani appena scomparso, Rigola tornò su quel primo incontro e sulla rievocazione da lui fattane più di vent’anni prima: “[Era] un ritratto un po’ caricaturale, il mio, del giovane lottatore che non sta nella pelle. Ma sta di fatto che egli mi parlava un linguaggio diverso dai soliti. Oggi lo chiamano linguaggio sindacalista. R.Rigola, Dino Rondani nella commossa rievocazione dell’on. Rigola, in “Tribuna Socialista”, 14.7.1951

[46] R. Rigola, cit, pp. 136-137. Queste considerazioni non gli impedirono naturalmente di firmare, nel settembre 1897, un manifesto di protesta promosso da Cavallotti contro il progetto governativo. Anche un altro protagonista del socialismo biellese arriva alle medesime conclusioni: “A Varallo si è incominciato a parlare di socialismo e di socialisti, perché con le leggi eccezionali di Crispi alcuni socialisti e anarchici erano stati mandati al confino lassù”. (O.Mombello, Sessant ‘anni di vita socialista, Biella, 1952, p. 6)

[47] “II Corriere Biellese”,  3.8. 1895, La conferenza di Dina Rondani in Croce Mosso. Un articolo rievocativo in “Il Corriere Biellese”,  20.8.1920, La prima pubblica conferenza di Dino Rondani

[48] Ibid, pp. 140-42; P. Secchia, Capitalismo e classe operaia cit., p. 162. Il Secchia indica per errore come data della riunione il 15 maggio 1895

[49] lbid , Linee di storia del socialismo…, cit.

[50] Giuseppe Ubertini (1859-1916) avvocato e industriale, fu uno dei fondatori del movimento mazziniano di Biella; collaboratore della “Sveglia”, fondò “Il Corriere Biellese”. Fervente irredentista, a 57 anni si arruolò volontario quando l’Italia intervenne nella prima guerra mondiale, e sul fronte contrasse il tifo che lo portò alla morte.

[51] Dopo l’avvio come supplemento del “Grido del Popolo” di Torino, il giornale, diretto da Rigola, ebbe vita propria, passò da settimanale a bisettimanale, raggiungendo ai tempi della prima guerra mondiale quindicimila copie di diffusione. Il giornale fu determinante nell’affermazione del partito e dell’azione sindacale, creando una rete di corrispondenti  attraverso la quale si diffuse anche l’organizzazione del partito e si avvicinarono categorie di operatori culturali, in specie gli insegnanti

[52] ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 6, fasc. 54, Denuncia del Procuratore del Re contro Dino Rondani e altri

[53] “La Tribuna Biellese”, 26.9.1895, La repressione socialista a Biella. Il giornale liberale appoggiava in quegli anni il prof. Garlanda, ma fino al maggio 1898 mantenne verso i socialisti un’opposizione rispettosa. Era stato fondata nel 1891 da Alfredo Frassati  (L. Frassati, Un uomo, un giornale. Alfredo Frassati. Roma, 1978, p. 8).

[54] Riportiamo questa testimonianza, anche se imprecisa e tendente al pittoresco: “Nell’ultima decade del secolo scorso un giovane propagandista, preparato e buon oratore, agiva circospetto, ma con pertinacia e gran coraggio, nel mio paese ed in quelli appartenenti al collegio elettorale di Cossato…Veniva dalla Romagna, terra calda di sole e di fermenti politici. Appartenente a buona famiglia, l’aveva abbandonata per l’idea dandosi a una vita grama, randagia, braccato dai carabinieri, dimenticato dalla famiglia, dileggiato dagli avversari. Divideva un magro pane ed un piatto di minestra coi seguaci più intimi, modesti operai, e dormiva sovente nei fienili e nelle stalle al par d’un mendicante, ora in una borgata, ora in un’altra, cambiando di continuo per disperdere le tracce ai carabinieri che aveva  ognora alle calcagna. Veniva spesso anche nella mia borgata, dove arrivava di notte e ripartiva prima dell’alba. Io ero bambino e ne sentivo parlare in casa e fuori, sottovoce. Non capivo; naturalmente. Teneva le sue riunioni nei boschi, su alture impervie, in gran segretezza. Un giorno mio padre, che non era dei suoi … volle partecipare  a titolo di curiosità ad una di dette riunioni … Al ritorno raccontò ai vicini com’era andata … ”“Sapete? Quell’ometto là non è mica uno stupido come qualcuno pensa. Io, vecchiotto, mi son trovato in mezzo ad una cinquantina di giovani e giovinetti che l’ascoltavano con grande attenzione. Parlava bene, bisogna riconoscerlo; diceva cose giuste, ma che a noi, anziani, non fanno molto effetto. Ai giovani, sì. Ed è appunto ai giovani che l’uomo si rivolge. Se li coltiva per il domani. Saranno essi, fatti elettori, a dargli il voto” G.Garlanda, Biellese mio, Biella, 1971, p. 61-63

[55] Ernesto Bignami si congratulò in una  lettera del 17.8.1897 della “STREPITOSA vittoria a Cossato che  tu saprai certamente consolidare” in Fondo Rosselli, cit. da G.Carazzali, Enrico Bignami, Milano, 1992

[56] Nel 1898 il tribunale di Biella condannò Oddino Morgari a tre mesi e 26 giorni e ad una multa di 100 lire per eccitamento all’odio fra le classi sociali, in seguito alle parole pronunciate in una conferenza elettorale a Cossato  in appoggio alla candidatura di Dino Rondani. Nel 1998 partì per Palermo con Oddino Morgari per sostenere la locale sezione nella lotta contro la mafia palermitana che garantiva l’elezione di Crispi e che il 16 aprile li aggredì a colpi di rivoltella.

[57] Buon  sintomo,  “II Corriere di Novara”, 23.3.1896,

[58] Herreros,  I disertori, “Il Corriere di Novara, 23.3.1896

[59] Uno,  Al Corriere di Novara “Corriere Biellese”, 28.3.1896

[60] Settimanale liberale biellese fondato nel 1872. Nel 1891 ne divenne proprietario l’industriale G.B. Serralunga che ne spostò a destra la linea politica rispetto al periodo precedente, in cui era stato redattore e comproprietario Alfredo Frassati.

[61] D.R. Nel paese di Gasparone, “Corriere Biellese”, 4.4.1896.

[62] ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32.

[63]  Herreros, Il Corriere di Novara causa involontaria della condanna del Corriere Biellese, “Il Corriere di Novara”, 10.5.1896. Riportando brani dell’articolo di Rondani, Herreros gli attribuiva la frase: “è meglio salvare la pancia per i fichi e rinunciare alla gloria di combattere per l’onore del paese“; frase che in realtà il nostro non aveva mai scritto

[64] Oh il repubblicano!, “Corriere Biellese”, 16.5.1896,

[65]  ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32, verbale di interrogatorio, 5.6.1896

[66]  ACS, Ministero dell’Interno, Direzione Generale di PS, Ufficio riservato (1879-1912), b. 4, fasc. 10, sottofasc. 1, Denuncia dei caporioni del movimento insurrezionale in Milano 19 maggio 1898; Relazioni della Autorità militare sulla sommossa di Milano (6-9 maggio 1898); Relazione Bava;N Colajanni, L’Italia nel 1898: Tumulti e reazione, Milano-Lodi, 1898; E.Caldara, F.Ercole, A.Cabrini La storia di un delitto, Lugano,  [1898?]

[67] P.Villari, Scritti sulla questione sociale in Italia, Firenze, 1902

[68]  L.Villari, I fatti di Milano del 1898  ”Studi storici”, 1967 n.3, p. 541.

[69]  L’insurrezione a Milano. Nuovi particolari sulla giornata del 7 maggio.Ciò che si vuole! In “L’Italia Reale,” 9-10 maggio 1898

[70] ACS, Ministero Interno, Direzione Generale di PS, Uff. riservato (1879-1912), b. 4, fasc. 10, sottofasc. 1, Relazioni della Autorità militare sulla sommossa di Milano (6-9 maggio 1898), relazione Bava; relazione Del Majno;  ACS, Ministero Real Casa, Uff. 1. Aiutante di Campo del Re, Affari generali, 1898, b. 50, fase. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre città, telegramma ministro della guerra al comandante 1. corpo d’armata, 7.5.1898

[71] N.Colajanni, L’Italia nel 1898, cit., p. 75-6; P.Valera, La sanguinosa settimana del maggio ’98, cit., p.172-3.

[72] La situazione sempre grave a Milano In “Gazzetta del Popolo” 10 maggio 1898; La giornata di ieri in Italia. La calma ritorna. In “La Stampa” 12 maggio 1898

[73] P.Valera cit., pp. 284-346; dello stesso, L’assalto al convento,  Milano 1899; L.Villari, I fatti di Milano del 1898. La testimonianza di Eugenio Torelli Viollier, cit., pp. 545-6.

[74] ACS, Ministero Real Casa, Uff. Primo Aiutante di Campo del Re, Affari generali, 1898, b. 50, fasc. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre città, telegramma di Rudinì a Bava, 8.5.1898.

[75] Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze di uomini d’ordine elvetici e italiani, si attenne alla versione delle “bande armate” del consolato di Bellinzona, coinvolgendovi anche il Rondani e il Vergnanini e gli altri principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano. Ved. F.Manzotti I rapporti italo-svizzeri e la crisi italiana del ’90, in “Atti…accademia nazionale di scienze lettere e arti”, 1962) Sulla tentata invasione di bande armate dalla Svizzera, F. Berutti “Le bande svizzere: episodio tipico dei moti di maggio 1898”, Arona, 1904. Per quanto riguarda le “bande armate” così Umberto Levra smonta la leggenda (“Il colpo di stato della borghesia”, Milano, 1975): “poco più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro e, grazie a collette improvvisate, si dirigono senz’armi e senza bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima del confine intervengono però le autorità cantonali, dirottano il treno su un binario morto, arrestano gran parte dei componenti della banda rimasti senza cibo e senz’acqua, li ammassano in un campo di concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno speciale, dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse dei rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso dove li consegnano a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di gran parte dell’opinione pubblica svizzera colpita dalla procedura indegna delle tradizioni liberali elvetiche (…) AI Sempione poche decine di italiani sfuggono all’arresto in territorio svizzero, disperdendosi sui monti; la maggior parte di essi torna indietro e alcuni altri tentano di passare il confine a piccoli gruppi (…) Tre sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per arrestare, senza incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio, ben 49 “rivoltosi,” privi di armi e spossati dalla fatica (…) Gli arrestati, quasi tutti in età compresa fra i 15 e i 30 anni e per lo più originari della provincia di Novara e, in subordine, del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono  immediatamente deferiti al tribunale militare di Milano con ordinanza del 19 maggio del tribunale di Domodossola, il quale si preoccupa, da un Iato, di “legittimare completamente l’operato della truppa” che ha arrestato i 49 individui e, dall’altro, di far risaltare con evidenza Ia connessione fra i fatti criminosi di Milano e la formazione e marcia delle bande In discorso; uno era lo scopo, la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata ai poteri dello Stato, il saccheggio, la distruzione. Quindi è che qualunque è la denominazione giuridica a darsi ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da applicarsi, sembra che tali fatti non possano non appartenere alla competenza dell’Autorità Militare di Milano funzionante da Tribunale Militare di Guerra, tanto per il proseguimento dell’istruttoria quanto pel giudizio”. Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze oculari di uomini d’ordine elvetici e italiani, si atterrà alla versione  delle bande armate, coinvolgendovi anche i principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano

[76]  A. M. Martellone Una little Italy nell’Atene d’America : la comunità italiana di Boston dal 1880 al 1920, Napoli 1973 p.156-7; Id. La questione dell’immigrazione negli Stati Uniti, Bologna, 1980; G. Dore, La democrazia italiana e l’emigrazione in America Brescia, 1964.               

[77] Fu successivamente chiamato da Buozzi per collaborare nel sindacato; durante il regime e nel dopoguerra si estraniò dalla politica attiva

[78] P. Borzomati Giovanni Battista Scalabrini : il vescovo degli emarginati, Rubbettino, c1997; Centro studi emigrazione La societa italiana di fronte alle prime migrazioni di massa: il contributo di mons. Scalabrini e dei suoi collaboratori alla tutela degli emigranti, Roma 1968; S.Tomasi, Scalabriniani e mondo cattolico di fronte all’emigrazione italiana (1880-1940) in “Gli italiani fuori d’Italia”, Milano, 1983; G.Rosoli, L’emigrazione italiana in Europa e l’Opera Bonomelli (1900-1914), ibid.

[79] Pedone  I congressi del PSI, cit.

[80]  “Bollettino dell’emigrazione”, n. 8, 1903. Ma secondo Schiavi tali cifre andavano più che raddoppiate. Cfr. F. Assante Il movimento migratorio italiano dall’Unita nazionale ai giorni nostri  1978

[81] Perchè “i lavori che offre il mercato dell’Europa continentale diventano come una fonte di reddito fisso e sul quale si fa conto, per una grande massa della nostra classe lavoratrice, così che, un fenomeno determinato da condizioni anormali, tende a diventare normale ed a entrare come fatto ordinario nella vita della nazione“. G. Montemartini in Resoconto del 2. Congresso dell’Emigrazione temporanea tenutosi in Milano nei giorni 13 e 14 gennaio 1907 promosso dalla «Società Umanitaria», Milano, 1907

[82] Era l’opinione dei socialisti, espressa  nell’ OdG votato al congresso di Firenze, che riprendeva la mozione Ellenbogen  al congresso di Stoccarda del 1907 dell’Internazionale (10. congresso nazionale del PSI, Firenze, 19-22 settembre 1908. Il Partito Socialista Italiano e la politica dell’emigrazione. Angiolo Cabrini relatore. Roma. 1908).

[83] D.Franchetti “Il segretariato di emigrazione della CdL di Varese. (1904-1924)” In “Emigrazione e territorio”, Varese, 1999; P.Corti “Il segretariato biellese dell’emigrazione. Strutture organizzative, tradizione migratoria, spazi istituzionali” In “Democratici e socialisti nel Piemonte dell’Ottocento”, Milano, 1995

[84]  L’opera della Società Umanitaria dalla sua fondazione ad oggi, I. maggio 1906, Milano, 1906, pp. 49-51. La provincia di Udine era alla testa dell’emigra­zione temporanea. Secondo stime ufficiali nel 1902 aveva dato 45.125 emigranti temporanei, su un totale di 222.725 (“Bollettino della emigrazione”, n. 8. 1903).

[85] P. Alatri Giovanni Cosattini (1878-1954) : una vita per il socialismo e la libertà, Udine, 1994

[86] M. Punzo La Società’ Umanitaria e l’emigrazione. dagli inizi del secolo alla prima guerra mondiale, in  A.Riosa “Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo”, Milano, 1981

[87] Comprendeva Giovanni Montemartini (presidente) Angiolo Cabrini ed era affiancato da un comitato in cui  erano rappresentate le organizzazioni professionali. di cui facevano parte Cosattini e Quaglino. Le province  aderenti  passarono da 3 a 11 ma il loro contributo fu assai scarso a confronto dell’impegno finanziario dell’Umanitaria.

[88]  Scrivendo a Rondani, che in quel momento si dedicava alla propaganda invernale in Italia, Schiavi sottolineava l’importanza delle statistiche: «A me poi occorre avere per ogni centro che visiterai una inchiesta sommaria del numero degli emigranti abitualmente ogni anno, sul mestiere che fanno in patria e relativo salario, sul paese dove emigrano mestiere che vanno a fare, salario che percepiscono e pericoli che ordinariamente incontrano (Archivio Società Umanitaria (da ora ASU), f. 2 e., lettera in data 8.12.1903).

[89]  ASU, b. E XXVI11-3. f. 764. Seduta del Consorzio dell’ 8 settembre 1904.

[90]  ASU b. E XIV 1. f. Interrogatori a Milano, Reggio, Udine ecc. Rondani, Cabrini, Schiavi, Pagliari, Ciani, Mazzoni, Quaglino, Vergnanini, Cosattini, relazione e proposta di Cabrini.

[91] Continuarono a funzionare l’ufficio di Chiasso e la Casa degli emigranti di Milano. Nel novembre 1908 venne aperto anche un ufficio a Pontebba dal Segretariato di Udine.

[92]  ASU, b.  E  XXVI11-3  f.  764, seduta del Consorzio del 12 gennaio  1907.

[93]  D. Rondani, in ” L’Avvertire del lavoratore”, Lugano,  19.1.1907

[94] ASU, b. E XIV-1, f. 1040, lettera di Rondani del 16 novembre al presidente dell’Umanitaria

[95] Nel novembre 1906 Cabrini si era dimesso dal CdA del Consorzio, in seguito all’incarico affidategli dal consiglio dell’Umanitaria «per lo sviluppo dell’assistenza all’emigrazione per l’interno e l’estero»

[96] Sull’ordinamento del nuovo ufficio, L’Umanitaria e la sua opera,  p. 90; Note illustrative del Bilancio preventivo per l’esercizio 1908, s.d., « II nuovo ordinamento dei servizi di emigrazione ».

[97] In ASU, b. E XIV-2 sono contenute le relazioni delle ispezioni di Rondani e altri  nel 1907-08

[98] 3.Congresso nazionale lavoratori della terra, Reggio Emilia, 7-8-9 marzo 1908. I problemi dell’emigrazione e i lavoratori della terra. Angiolo Cabrini, relatore per l’Ufficio dell’Emigrazione dell’Umanitaria, Milano, 1908.

[99] Società Umanitaria. Ufficio di emigrazione, IV Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, Milano, 24 feb­braio !911. Verbale del convegno e relazioni sommarie dei Segretariati ade­renti per l’anno 1910, Milano, 1911, Relazione  di  Vaiar, pp. 17-19.

[100] ASU. b. XIV 17, f. 548, lettera di Cabrini e C. De Michelis, regio addetto dell’emigrazione italiana in Svizzera, in data 15 ottobre 1908; f. 1038, pratiche di intesa colla Lega nazionale delle cooperative di Milano per un ser­vizio di ispezione alle cooperative di consumo italiane in Svizzera.

[101]  Società umanitaria. Ufficio dell’emigrazione, L’assistenza laica dell’E­migrazione temporanea in Italia e all’ estero. Relazioni al 3. convegno degli Uffici e Segretariati dell’Emigrazione, Milano 15,11.1909, Udine, 1910.

[102] ASU, b. E XIV-7 e 12.

[103] ASU, b. XIII 1.

[104] Già il Consorzio aveva istituito le biblioteche per gli emigranti “Edmondo De Amicis”, finanziate con il concorso del regio commissariato dell’emigrazione (L’Umanitaria e la sua opera, cit., p. 91).

[105] Relazioni di Cabrini al IV (op. cit.. pp. 23-36) e al V congresso: Società umanitaria, Ufficio di emigrazione, V Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, Milano 3-4 dicembre 1911. Verbali del Convegno e relazioni annuali dei Segretariati aderenti, Milano, 1912, pp. 29-32

[106] IV Convegno nazionale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 3-23; V Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 16-27; 40-49;64-65. ASU, b. R 111 1 f. 1912, VI convegno dei segretariati laici dell’emigrazione, Milano, 4-6 dicembre 1912; b. R III 2, f. 1914. deliberazioni del VII convegno dei segretariati laici di assistenza agli emigrati (Milano, 20-21-22 dicembre 1913); b. R IV 1, f. 1914, relazione al regio commissario per l’emigrazione sull’attività svolta nel 1913, in data 14 maggio 1914.

[107]  “perchè leggero” secondo Turati. Carteggio T.-Kuliscioff, Vol.3, p.680 e    703.

[108]  “Corriere Biellese” 24.2.1920

[109]  Decreto Visocchi (2 settembre 1919) sulle concessioni di terreni incolti a cooperative da parte dei prefetti.

[110]  C.Longhitano, Il Tribunale di Mussolini: storia del Tribunale Speciale 1926-1943 1994; A.Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, 1978

[111]  Dove è attestata una sua conferenza il 24 giugno 1927

[112] Vera Modiglioni: Esilio. Milano, 1946 pag. 159-60

[113]  E.Santarelli, Pietro Nenni, Torino, 1988, pag. 182

[114]  Pedone, cit., vol 4, pag. 151

[115]   Il PSI e la situazione internazionale, “Il nuovo Avanti”, 23.12.1939 e “Libera stampa”, 2 e 4.1.1940

[116]   O.M., Criteri realisti di una politica dell’antifascismo italiano”, cit. in L.Rapone, Da Turati a Nenni, pag.282

[117]   G.Amendola, Lettere a Milano, Roma, 1973, pp  66

[118]   “Corriere Biellese”, 7.3.1946

[119]    Parma, 1902-1969; Fernando Santi e il ruolo del sindacato nella democrazia italiana: Roma, 1980; R.Spocci Fernando Santi: un uomo, un’idea, Parma, 2002;  F.Persio Fernando Santi: l’uomo, il sindacalista, il politico, Roma, 2005

[120] Viareggio 1918. Ministro durante i primi governi di centro-sinistra, ex direttore dell’Avanti!

[121]  Viene commemorato nella seduta di giovedì 28 giugno 1951 da Pirazzi Maffiola.  Atti della Camera p. 29037