RICORDO MIO ZIO, PIETRO CHIESA

I carbunè di Genova

 

[avatar user=”Pierfranco Pellizzetti” size=”thumbnail” align=”left” link=”https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/ppellizzetti/” target=”_blank” /] di Pierfranco Pellizzetti

Colloquio con Pietro Salvarani

Se Gino Murialdi è la mente organizzativa, Pietro Chiesa è il formidabile tribuno dei lavoratori di Sampierdarena e del porto di Genova.

Così lo ricordò nel suo necrologio Claudio Treves: “Pietro Chiesa, deputato, membro del Consiglio superiore del Lavoro, vicepresidente del Consiglio portuario di Genova, restò ‘classe proletaria’ in tutte queste funzioni, e non solo nel tratto, nel costume, nelle amicizie. Perciò l’amammo. Cuore nell’ideale e mente nella realtà. Cuore nel socialismo, mente nell’officina; nel campo, nel Sindacato, magari nel carcere o nella taverna, dovunque è, soffre, combatte, spera la classe lavoratrice, dovunque è l’humus proletario. Fu così che Pietro Chiesa diventò il nostro grande oratore in tutte le feste del Partito, il nostro grande oratore in Parlamento, levandosi sopra i compagni del Gruppo, ogni volta che era da far sentire la realistica voce diretta della vissuta esperienza proletaria“.

Personalità emblematica di quei militanti che, a cavallo tra i due secoli, guidano all’emancipazione le masse proletarie. Più che ricostruirne la biografia, ci interessa capirne la mentalità, la tipologia umana, i principi che ne alimentavano incessantemente la convinzione e l’impegno. Li guidava – non c’è dubbio – una sorta di “religiosità laica”. Una fede che traeva dal messaggio cristiano i valori di amore per il prossimo e solidarietà attiva, temporalizzati dall’intreccio con quelli – positivistici – di progresso e filantropia universale, con quelli – politici – di lotta sociale e riscatto umano.

Figure della dedizione e del coraggio, con un tratto di grande generosità che faceva loro anteporre l’interesse generale, i bisogni dei miseri e degli oppressi, al proprio tornaconto personale. Figure del sacrificio disinteressato ma anche figure dalla traboccante umanità.

Pietro Chiesa, già operaio verniciatore di carrozze tranviarie, venuto a Genova giovanissimo dalla natia Asti, deputato del Partito Socialista dal 1900, lotta tutta la vita per i diritti dei lavoratori ma trova anche il tempo per comporre piccole opere teatrali da mettere in scena nel teatro Modena in Sampierdarena. Lo ricordiamo con un pronipote, Pietro Salvarani, il cui nonno era cognato di Chiesa avendo sposato la sorella di sua moglie, Giuseppina Casella. Anche il nonno di Salvarani, Pietro Bancalari, è un nobile esempio di quel tipo d’uomo che trova il proprio ambiente naturale nel movimento socialista umanitario degli albori e cui fornisce i tratti di eroismo civile che lo hanno reso qualcosa di più di un’organizzazione politica: una scuola di civiltà, un formidabile strumento di integrazione sociale delle plebi informi, avviate dai campi all’officina negli anni della prima industrializzazione.

Bancalari lo testimonia al prezzo della vita. Infatti, muore a Pontedecimo, nell’inverno del 1902, a seguito di una polmonite contratta per salvare dall’affogamento una bambina caduta nelle acque gelate del fiume Polcevera.

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“Di Pietro Chiesa ricordo quello che raccontava mia madre, Irma Angela Bancalari. Lo zio non aveva figli e, alla tragica morte del padre, l’accolse in casa adottandola. Per questo motivo conservò nei suoi confronti una vera e propria devozione che mi trasmise anche se non avevo potuto conoscerlo direttamente (sono nato nel 1916, un anno dopo il suo decesso).

Mamma mi raccontava del suo costante impegno nell’aiutare i bisognosi, i lavoratori che trovavano la sua casa sempre aperta, a tutte le ore. Chi aveva dei guai arrivava di notte, Pietro Chiesa apriva la porta e ascoltava…

In questo aveva cominciato ben presto. Giovanissimo verniciatore dell’UITE si impegnò subito nel sostegno dei diritti e delle rivendicazioni dei colleghi manovratori di tram: avere il parabrezza.

A quei tempi – infatti – i conducenti erano sistemati in un abitacolo scoperto ed erano esposti a tutte le intemperie. Per queste attività sindacali fu anche costretto a un temporaneo espatrio in Francia.

Sempre mia madre mi raccontava di un suo amico sacerdote che aveva l’abitudine, celebrando la messa, di inserire sempre una preghiera per Chiesa. Lo giustificava dicendo: ‘nonostante sia un socialista è di una bontà grandiosa’.

Ovviamente questo giudizio era largamente diffuso tra i nostri operai. Io stesso ne ho tratto qualche vantaggio indiretto. Nel 1942, esonerato dal servizio militare per una menomazione a seguito di un grave incidente, venni assunto all’Ansaldo. Il mio compito non era dei più popolari in fabbrica, facevo il ‘contatempi‘. In effetti, l’incarico era obbiettivamente poco simpatico in quanto dovevo svolgere funzioni di controllo del lavoro di linea. Nonostante ciò, non ebbi mai dimostrazioni di ostilità da parte degli operai. Il perché mi venne presto spiegato da un vecchio tornitore: ‘non la boicottiamo per rispetto a Pietro Chiesa!”.

Mai ho saputo come avessero scoperto questa mia parentela (io di certo non l’avevo sbandierata). Per lunghissimo tempo il ricordo di questo animo impareggiabile è stato conservato dalla nostra comunità. Ricordo che una trentina d’anni fa mi ero recato al cimitero di Sanpierdarena e ho trovato un giovane che armeggiava attorno alla tomba dello zio. Disponeva i fiori, puliva, accendeva i lumini. Incuriosito gli chiesi perché lo facesse e lui mi rispose: ‘è per via di mio nonno. In letto di morte mi ha raccomandato di non dimenticarmi mai di Pietro Chiesa’.

Torno sempre su quella tomba ma ormai, da molto tempo, non trovo più tracce di visite riconoscenti, il segno vivo del ricordo. Probabilmente i diretti discendenti di chi aveva conosciuto e amato mio zio sono tutti scomparsi”.

Tratto daRagnatela di MareCompagnia Portuale Pietro Chiesa – Genova