LA TATTICA COMUNISTA

Nella foto il dirigente comunista Ruggero Grieco

Lo scopo che i comunisti perseguono è eminentemente tattico. Lo rivela in quelle settimane un articolo dell’Internationale comunista, secondo il quale lo scopo di questa tattica è immutato: “Facilitare (dice testualmente) alle masse socialdemocratiche il loro passaggio al comunismo in vista della conquista del potere sovietico”. E conclude: “Dobbiamo denunciare i socialisti che si oppongono al fronte unico; ma ancora di più quelli che cercano di sostituire a questa parola d’ordine quella dell’unità organica che tende a cancellare la differenza tra il comunismo e la socialdemocrazia“.

All’unità organica tende, all’opposto, la politica di Nenni, per cui l’intesa tra i due partiti dev’essere non tattica, ma strategica, anche se deve procedere con la dovuta gradualità.

“Per i comunisti, inoltre, nonostante l’unità d’azione, la lotta sul terreno ideologico continua; anzi deve essere intensificata”: così scrive Ruggero Grieco, prestigioso dirigente comunista. Nenni, come abbiamo visto, difendendo l’ortodossia statalista e rivoluzionaria contro il revisionismo di Giustizia e Libertà ha di fatto abdicato a ogni confronto ideologico con il comunismo, per far valere le ragioni giuste del socialismo anche sul piano teorico, oltre che su quello strettamente politico e contingente.

Questo atteggiamento suscita le critiche dei suoi oppositori interni, come Treves e Modigliani, i quali, pur accettando la linea di unità, segnalano quelli che ritengono i limiti e i pericoli per il modo in cui viene ad essere realizzata.

Il testo del patto unitario sottoscritto il 17 agosto mostra che in esso prevale la linea comunista, e vi prevale in modo netto, inequivoco. “Le delegazioni riunitesi – inizia il documento per discutere i problemi dell’unità d’azione proletaria hanno constatato che sul piano generale dei princìpi e sul giudizio sulla situazione internazionale sussistono tra di loro divergenze fondamentali di dottrina, di metodo, di tattica che si oppongono a un fronte politico generale, e a maggior ragione ad una fusione organica. Ma queste divergenze non tolgono che esista una confluenza dei due partiti su punti precisi, concreti, attuali della lotta proletaria contro il fascismo e contro la guerra“.

E prosegue: “I due partiti stabiliscono tra loro un patto d’accordo, in vista degli obiettivi seguenti:

  1. a) contro l’intervento in Austria ed in genere contro la minaccia di guerra che scaturisce dagli antagonismi degli interessi imperialistici e dalla politica fascista di provocazione alla guerra;
  2. b) per strappare alle prigioni e alle isole di deportazione le vittime del Tribunale Speciale e della repressione, e imporre l’amnistia totale e incondizionata;
  3. c) per la difesa e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori;
  4. d) contro il sistema corporativo, per la libertà sindacale, per la rappresentanza dei lavoratori nelle aziende, per la libertà di organizzazione, di stampa, e di sciopero, per l’elezione libera di tutte le cariche sindacali, per la rivendicazione di tutte le libertà popolari”.

Infine “i due partiti conservano la loro piena ed intera autonomia funzionale e dottrinaria. Ognuno di essi continua la sua specifica propaganda ed azione, impegnandosi di valersi dell’incontrastato diritto di esprimersi con piena franchezza sui dissensi dottrinari e tattici, che tuttora si oppongono a un fronte politico generale e alla fusione organica, in modo tale da non urtare e ostacolare lo svolgimento delle azioni comuni già concordate“.

C’è da dire, ad onor del vero, che la linea comunista che prevale, nel senso di restringere il patto di unità ad azioni e obiettivi specifici, appare più realistica e formalmente rispettosa della identità delle due forze politiche di quanto lo sia quella dell’unità organica propugnata da Pietro Nenni.

Il quale si ostina invece nel rilanciarla con un’insistenza che Tamburrano giudica “strana“. Nenni ritiene forse superata la scissione del 1921? Non abbiamo elementi per sostanziare questa opinione. Ma se così fosse stato, si sarebbe trattato di un grossolano abbaglio, essendo più che mai valide le differenze tra i due partiti, come gli eventi di allora e quelli successivi confermeranno in abbondanza.

Si illudeva Nenni che, una volta costituitosi un partito unico, ne avrebbe potuto assumere la leadership, grazie alla sua abilità politica, alle sue indiscusse capacità di politico, di giornalista e di oratore?

Se così fosse stato, avrebbe commesso un errore di sottovalutazione della capacità organizzativa e della forza dell’apparato comunista. E inoltre l’unità organica era ben lungi dal realizzarsi.

L’ipotesi più valida, a detta di vari studiosi, resta quella che Nenni, con il suo fiuto politico, avesse intuito la crescente popolarità della parola d’ordine dell’unità generale tra i lavoratori e i militanti della sinistra, e intendesse cavalcare questa tigre, anche per mettere in difficoltà il gruppo dirigente comunista.

La tesi di Nenni trova simpatie soltanto in un’ala del P.C.d’I.: nell’ala di Ravazzoli e Tresso che si richiama a Trotskij, ma che sarà ben presto espulsa anch’essa dal partito, dopo Tasca e poi Silone.

In questa fase la posizione della segreteria socialista appare più “a sinistra” di quella ufficiale del PCI.

Dopo il rapporto Dimitrov, accolto dal VII congresso dell’Internazionale comunista, che lancia la parola d’ordine della costituzione dei fronti popolari con i partiti socialdemocratici, la dirigenza comunista italiana interpreta in modo ancor più flessibile questa nuova tattica. ponendosi dichiaratamente l’obiettivo di “combattere il fascismo per conquistare le libertà borghesi”. I socialisti precisano invece che la lotta deve avere sì come obiettivo la libertà, ma anche la costituzione di un non meglio precisato “nuovo ordine socialista” e che “la lotta socialista non può essere vittoriosa se non come lotta di classe del proletariato”.

I socialisti, scrive Nenni in quel momento, sono passati “dalla Concentrazione all’Unità d’azione; dall’alleanza con partiti e gruppi borghesi, piccolo-borghesi o a-classisti, all’alleanza socialcomunista“. E si domanda: “Si deve tornare indietro?“.

In verità, dietro questo singolare balletto di scavalcamenti reciproci, c’è una seria ragione: i socialisti temono che per i comunisti la politica del Fronte popolare costituisca solo una fase tattica e transitoria: accolta da essi per ispirazione di Mosca, potrebbe essere abbandonata a seguito di un nuovo, non imprevedibile voltafaccia della dirigenza staliniana. I comunisti, a loro volta, vogliono dar prova di duttilità politica per assumere la guida del fronte, e gestire direttamente i rapporti con le formazioni democratiche non marxiste. Sono due timori che non hanno, in quella fase, alcuna ragion d’essere, perché la politica unitaria antifascista s’impone nei paesi democratici europei, innanzitutto in Francia e in Spagna. L’unità della sinistra italiana si inserisce nel contesto di queste esperienze, con il supporto dato alla vittoria del fronte nei due paesi, e con la partecipazione alla guerra civile spagnola in cui gli antifascisti Italiani scrivono pagine memorabili e nella quale Nenni assume meritatamente la funzione più elevata, quella di commissario politico delle Brigate Internazionali.

Nel vivo dell’esperienza unitaria e sotto l’imperio della necessità della lotta al fascismo, si stemperano anche le fondamentali divergenze sui rapporti tra movimento operaio e Unione Sovietica. Nel suo rapporto al VII congresso dell’Internazionale comunista, Ercoli (Togliatti) aveva affermato a chiare note: “La nostra tattica, in caso di guerra, dev’essere determinata dall’esistenza dell’Unione Sovietica“.

Nenni, a sua volta, specificava che il fine ultimo e principale resta l’interesse della causa rivoluzionaria del proletariato, quindi anche la sopravvivenza dell’Unione Sovietica, “la cui esistenza – afferma – importa essenzialmente all’avvenire della Rivoluzione proletaria mondiale“. Di qui la necessità della difesa dello Stato sovietico. Vi è, in tale affermazione, una accettazione della identità tra Unione Sovietica e rivoluzione proletaria, che rappresenta per la segreteria socialista un passo indietro rispetto alle polemiche e alle analisi critiche nei confronti dell’involuzione staliniana che il PSI aveva formulato negli anni precedenti.

In realtà il PSI, e per esso il suo segretario, sacrifica sull’altare dell’unità proletaria e antifascista una notevole parte delle acquisizioni critiche elaborate autonomamente già negli anni Venti e finisce per accettare almeno su questo punto l’egemonia ideologica del PCI. Nelle file socialiste restano però vive le critiche a queste impostazioni, non solo da parte dei vecchi riformisti ancora viventi, come Treves e Modigliani, ma anche quelle di Angelo Tasca che ha aderito al PSI, ne è membro della direzione, e non rinuncia a esprimere le idee che sul tema della natura dello Stato sovietico lo avevano condotto alla rottura con il movimento comunista. Aspre critiche vengono anche da Giuseppe Faravelli, un giovane allievo di Turati, e dirigente dell’attività clandestina del Centro Interno.

La posizione più interessante che emerge è però quella espressa da Giuseppe Saragat che, pur condividendo la politica unitaria, inizia una originale elaborazione teorica sulla natura totalitaria della società sovietica, che gli permette di respingere dalle radici ogni assoggettamento alla ideologia stalinista. Egli tiene conto infatti delle idee e delle ricerche critiche condotte da studiosi indipendenti sull’evoluzione della società e dello Stato in Russia, e ne individua alcune caratteristiche, proprie di ogni Stato totalitario.

Non siamo in grado di verificare se – come sostiene Giorgio Galli nella sua Storia del socialismo italiano – Saragat sia stato allora influenzato dalla critica di Bruno Rizzi alle società dominate dalla burocrazia: certo egli non doveva ignorare le analoghe polemiche del Trotskij in La Rivoluzione tradita.

Queste polemiche, tuttavia, impallidiscono in una fase in cui i successi dei Fronti popolari dimostrano che laddove la sinistra si unisce essa vince, alleandosi con i settori politici più progressisti della borghesia. Il ruolo che l’Unione Sovietica assume nello scontro contro il fascismo (soprattutto nel corso della guerra civile in Spagna) porta di fatto ad attenuare i “distinguo” sulla vera natura sociale e politica di questo paese.

Il Fronte popolare italiano, in quegli anni, fu contrassegnato dunque da una sostanziale unità tra i due partiti, che determinò peraltro l’accettazione di fatto di una predominanza dei comunisti, spiegabile anche con la ragione che a favore di essi giocava la solidarietà dell’Unione Sovietica e del Movimento comunista internazionale, solidarietà che divenne di fondamentale importanza nella guerra in Spagna, proprio nel momento in cui si era affievolita quella delle democrazie occidentali per la politica del “non intervento“. Tutto questo consolidava l’immagine dell’URSS come baluardo e sostegno degli antifascisti e rafforzava di conseguenza l’influenza politica dei comunisti. Nonostante ciò, vi furono dei momenti di frizione tra socialisti e comunisti, abbastanza significativi delle diverse ispirazioni ideali.