Il rapporto di Lenin col socialismo italiano

La rottura definitiva tra socialisti e comunisti italiani avviene al XVII congresso di Livorno (gennaio 1921), allorché i centristi, che avevano la maggioranza, si rifiutarono di rompere coi riformisti. I delegati di sinistra abbandonarono il congresso e fondarono il Pci.

Nel marzo 1921 Lenin plaude alla scissione di Livorno, ma si rammarica che ciò non sia avvenuto prima dello scoppio della guerra. I bolscevichi avevano rotto coi menscevichi sin dal 1903 e il dirigente socialista Lazzari – osserva Lenin – non fa che arrampicarsi sugli specchi quando invoca il fatto che l’Italia è diversa dalla Russia e che i socialisti italiani conoscono la “psicologia” dei loro concittadini.

In aprile Lenin dichiara che l’Italia ha firmato un accordo con la Georgia per sfruttare le miniere di carbone del Caucaso, non avendo proprie fonti energetiche. E, considerando un altro accordo con la Germania, Lenin comincia a pensare che l’embargo contro la Russia, imposto da Usa, R.U. e Francia, stia per finire.

A maggio sostiene che chi in Italia vuole opporsi al “terrore proletario”, deve subire quello “fascista”: non c’è “terza via”.

A giugno dichiara d’essere pronto a chiedere l’espulsione dei socialisti italiani dall’Internazionale, visto e considerato che non si sono epurati dagli elementi riformisti che boicottano la presa del potere. Mette anche in guardia i comunisti dal non “giocare” a fare i “sinistri”, finché non sono riusciti ad avere dalla loro parte la maggioranza degli operai serratiani.

La questione italiana viene discussa al III congresso dell’Internazionale (22/06-12/07/1921), in seguito alla protesta del Psi di essere stato espulso e di considerare solo il Pci una sezione dell’Internazionale in Italia.

Lenin esordisce ricordando a Lazzari che Turati è un “traditore” della II Internazionale non meno di Bernstein: hanno praticamente iniziato insieme, e Turati ha potuto “disorganizzare” il Psi e il movimento operaio per vent’anni, senza che nessuno abbia mai avuto il coraggio d’impedirglielo. Eppure dopo il II congresso dell’Internazionale s’era detto a Serrati che il Psi non poteva dirsi “comunista” se accettava gente come Turati tra le proprie file.

Lenin dice anche esplicitamente che all’Internazionale non è piaciuto né il convegno dei socialisti riformisti di Reggio Emilia, né quello della frazione centrista di Serrati, Baratono e altri, tenuto a Firenze nel novembre 1920, con cui si era negata l’esigenza di rompere coi riformisti e che aveva subordinato l’adesione ai 21 punti al fatto appunto che coi riformisti non si voleva rompere. Tutti coloro che avevano preso parte al convegno di Reggio Emilia andavano espulsi, secondo Lenin.

Lenin d’altra parte rifiuta l’accusa di voler esportare la propria rivoluzione, sia perché i delegati russi nel comitato esecutivo dell’Internazionale sono solo cinque su venti, sia perché il problema è proprio quello di non rimasticare parole d’ordine rivoluzionarie, ma di adattare i principi rivoluzionari alle particolarità dei diversi paesi. Cosa che non è stata fatta, p.es., durante l’occupazione operaia delle fabbriche italiane. In quel periodo più che di comunismo marxista si poteva parlare al massimo di anarchia.

L’occupazione delle fabbriche era partita nel settembre 1920 su iniziativa del sindacato, a Torino e a Milano, poi si era estesa a tutto il Piemonte e nel nord Italia, coinvolgendo infine quasi tutto il paese (al sud infatti i contadini avevano cominciato ad occupare le terre). Ma i capi riformisti del Psi e dei sindacati ebbero paura del carattere politico assunto dal movimento e preferirono trattare con gli industriali.

Questa volta Lenin cita anche Modigliani tra i riformisti da espellere. E continua a chiedersi il motivo della titubanza dei socialisti marxisti, visto che hanno già la maggioranza, a differenza dei bolscevichi, che sino al febbraio 1917 erano ancora minoritari rispetto ai menscevichi.

A Livorno i centristi ebbero 98.000 voti e, nonostante fossero maggioritari, preferirono restare coi riformisti dichiarati, che ne avevano 14.000, piuttosto che espellerli creando un nuovo partito con i comunisti, che ne avevano 58.000. Tale errata decisione fu il frutto della politica di Serrati.

A Lazzari, che chiedeva a Lenin di non espellere i socialisti dalla III Internazionale, altrimenti gli operai si sarebbero disorientati, Lenin rispose che gli operai, grazie all’operato di Serrati, erano già disorientati.

All’inizio di luglio Lenin tiene un discorso in Difesa della tattica dell’Internazionale Comunista, il cui oggetto sono gli emendamenti che tre delegazioni comuniste (tedesca, austriaca e italiana) hanno posto alle tesi sulla tattica dell’Internazionale, proposte dalla delegazione russa.

Secondo Terracini era necessario cancellare la parola “maggioranza” dalla seguente espressione: “la situazione, in parecchi paesi, si è inasprita in senso rivoluzionario e si sono organizzati parecchi partiti comunisti di massa, nessuno dei quali però ha preso nelle sue mani l’effettiva direzione della maggioranza della classe operaia nella sua lotta veramente rivoluzionaria”.

L’altro emendamento è correlato a questo: mettere la parola “fini” al posto di “principi”. Lenin su questo è contrario perché con la parola “fini” si può procrastinare ad libitum l’avvento della rivoluzione, mentre i “principi” vanno rispettati subito. Lenin risponde che neppure il Pc tedesco è seguito dalla “maggioranza” della classe operaia. Terracini, secondo lui, voleva togliere quella parola, facendo vedere che la direzione della classe operaia già esiste in Italia da parte del Pc.

In realtà, secondo Lenin, Terracini sopravvaluta l’importanza del Pci e lo fa perché è viziato da un certo estremismo (tant’è che Terracini avrebbe criticato l’Internazionale di non essere abbastanza “dura” coi centristi del Psi). Infatti un altro suo emendamento vuole la rimozione dei riferimenti alla “Lettera aperta” con cui il Pc tedesco aveva chiesto ai partiti socialista e socialdemocratico e ai sindacati, nel gennaio 1921, di creare un fronte unico contro la crescente reazione antioperaia (proposta che poi venne respinta dai partiti non comunisti).

Terracini era convinto che quella “Lettera” fosse un vergognoso compromesso, un atto di opportunismo. Lenin invece sostiene che proprio in virtù di quella “Lettera” si poteva raggiungere il controllo della maggioranza degli operai, già tutti organizzati in vari partiti e sindacati. Lenin spiega a Terracini che i bolscevichi, pur essendo, come militanti, un piccolo partito, avevano la maggioranza dei soviet di tutto il paese russo e quasi la metà dell’esercito, che allora contava 10 milioni di uomini. Nessun paese europeo poteva vantare paragoni simili.

Terracini insomma appare come un estremista. Egli infatti condivise anche la “teoria dell’offensiva” proclamata nel dicembre 1920 dal Pc tedesco, dopo che gli altri partiti di sinistra avevano rifiutato il fronte unico. Ma quella teoria estremista fu concausa – dice Lenin – della sconfitta dell’insurrezione del proletariato tedesco nel marzo 1921. Con essa non si riuscì a conquistare la maggioranza della classe operaia.

Terracini non riusciva a capire che, dopo aver rotto coi centristi, occorreva cercare con loro un compromesso per preparare la rivoluzione, cercando soprattutto di avere dalla parte dei comunisti la maggioranza degli operai e dei contadini. Rompere serviva per muoversi più agevolmente, senza perdere tempo in sterili discussioni, ma poi bisognava passare all’azione congiunta, dimostrando che i comunisti erano in grado di realizzare il programma dei socialisti.

Invece Terracini voleva continuare a lottare contro i centristi e i riformisti, senza rendersi conto che in Russia i 9/10 dei contadini passarono in poche settimane, dopo la rivoluzione, dalla parte dei bolscevichi, proprio perché questi erano in grado di realizzare il programma dei menscevichi (espresso nel Decreto sulla terra).

Dunque la parola “maggioranza” bisognava tenerla e la richiesta di toglierla poteva essere espressa solo da un compagno che non comprendeva il concetto di “masse popolari” né la differenza tra “tattica” e “strategia”. Quando una rivoluzione è nella fase iniziale – diceva Lenin -, alcune migliaia di operai in agitazione, in una città, rappresentano già una massa; successivamente però il concetto di massa si deve per forza estendere a milioni di persone.

Per fare la rivoluzione il partito comunista, in sé, può essere anche piccolo, ma deve comunque avere il consenso di grandi masse, operaie e contadine, nonché quello delle persone sfruttate in generale. Senza l’appoggio dei contadini, che garantiscono gli approvvigionamenti alimentari, gli operai da soli non possono farcela.

Sempre a luglio Lenin ancora si chiede perché Serrati non si decida a espellere i riformisti (in primis Turati) e gli fa chiaramente capire che i militanti dell'”Ordine Nuovo” sono molto più vicini alla III Internazionale di quanto non lo siano i dirigenti del Psi. Serrati però non prende decisioni conseguenti in merito.

L’8 luglio 1921 un comizio operaio a Roma (50.000 persone), rappresentanti dei partiti comunista, socialista e repubblicano, con 5.000 ex-combattenti in uniforme militare, trova pieno consenso da parte di Lenin, il quale pensa che in Europa la situazione sia più esplosiva di quanto si fosse pensato all’ultimo congresso dell’Internazionale.

In agosto continua a criticare Bordiga e il suo astensionismo parlamentare. Gli pare assurdo sostenere che i sindacati siano meglio del parlamento, poiché anche nei sindacati si nascondono elementi opportunisti e arretrati.

Considera Bordiga un ingenuo quando sostiene di voler distruggere il parlamentarismo. A tale scopo infatti – spiega Lenin – ci vuole molto tempo, una preparazione molto lunga; per mostrare che il parlamento è falso bisogna parteciparvi, anche in considerazione del fatto che masse ignoranti continuano a credervi.

Dopo il II congresso dell’Internazionale Bordiga dichiarerà di rinunciare all’anarchismo e all’antiparlamentarismo.

Lazzari, dal canto suo, accetterà la risoluzione sulla tattica al III congresso dell’Internazionale. (Lazzari era stato segretario generale del Psi, su posizioni centriste, negli anni 1912-19, ma dopo la rivoluzione d’Ottobre aveva appoggiato lo Stato sovietico).

Fonte: homolaicus.com