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This is some dummy copy. You’re not really supposed to read this dummy copy, it is just a place holder for people who need some type to visualize what the actual copy might look like if it were real content. Mosaic Gallery If you want to read, I might suggest a good book, perhaps Hemingway or Melville. That’s why they call it, the dummy copy. This, of course, is not the real copy for this entry. Rest assured, the words will expand the concept. With clarity. Conviction. And a little wit. Square Tiles In today’s competitive market environment, the body copy of your entry must lead the reader through a series of disarmingly simple thoughts. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIUSTIZIA E LIBERTA’: LA STORIA DI UOMINI CHE NON TRIONFARONO MAI, MA CHE NON FURONO MAI VINTI

di Gaetano Arfè | Ho dato inizio alla mia milizia politica nel 1942 aderendo a un piccolo gruppo clandestino di ‘Italia Libera‘, che faceva capo a un libraio di Napoli, Ettore Ceccoli, originariamente comunista, amico di mio padre, socialista, devoto al culto di Benedetto Croce, frequentatore abituale della sua libreria. Con Croce egli mi procurò un incontro nel corso del quale ebbi preziosi consigli, scrupolosamente seguiti, di letture risorgimentali, tra cui lettere dal carcere di Silvio Spaventa: l’idea dell’antifascismo come ‘secondo Risorgimento’ mi è venuta, precocemente di là, quando mi trovai anch’io a fare un breve assaggio di galera. Ricordo questo piccolo episodio perché, al di la del caso personale, mi pare indicativo dei modi attraverso i quali si poteva diventare giellisti: una educazione vagamente e genericamente socialista, indirizzata, al momento della scelta, da un ex-comunista, fervido credente della crociana religione della libertà. Ho partecipato poi alla Resistenza nelle formazioni Giustizia e Libertà dell’Alta Valtellina. Saltai l’esperienza del Partito d’Azione per aderire nel maggio del ’45 al Partito Socialista, seguendo questa volta la tradizione familiare, ma rimanendo in rapporti di collaborazione assai stretta con gli azionisti e per essi in particolare, ritornato nella mia Napoli, con Francesco De Martino. Seguii Saragat nella sua scissione e a darmi la spinta decisiva fu un discorso di Tristano Codignola, fortemente critico nei confronti del comunismo, che prendeva le mosse dal libro di Koestler, Buio a mezzogiorno. Presto, però, giunsi alla convinzione che alla rivendicata e conquistata autonomia dal Partito comunista corrispondeva una non voluta, ma ineluttabile, subalternità alla Democrazia Cristiana e rientrai così nella casa madre in coincidenza con la confluenza in essa della maggioranza del Partito d’Azione, guidata da Riccardo Lombardi. Ricordo l’emozione che provai quando lessi il testo del discorso col quale egli annunciava e motivava la confluenza nel Partito Socialista. Alcune frasi, non più rilette, mi sono rimaste impresse nella memoria: tra esse quella del ‘crisma’, della sacra unzione, che ciascun azionista si sarebbe portato addosso per tutta la vita. Considero tra i maggiori privilegi che mi siano toccati quello di essere stato legato come a padri o fratelli maggiori a uomini – rammento solo alcuni di quelli scomparsi – come Gaetano Salvemini, Ferruccio Parri, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, Riccardo Lombardi, Tristano Codignola, Piero Caleffi, Luciano Bolis, Giuliano Pischel, Enzo Enriques Agnoletti, Altiero Spinelli, Franco Venturi, Manlio Rossi Doria. Ho tra i miei ricordi più cari quello di un compagno, tra i meno noti e tra più nobili, che a questo gruppo appartenne, Nello Traquandi, il solo uomo capace di intimidire Salvemini con uno sguardo di disapprovazione, il quale volle, a suggello di un’amicizia che ancora mi riempie di commosso orgoglio, che io lo accompagnassi in una delle sue visite alle tombe di Trespiano, a salutare, mi disse, Carlo e Nello, quasi a presentarmi a loro. Tutto questo mi consente di sottrarmi alla regola, oggi tornata di moda, che sterilizza la ricerca storica in nome di una presunta scientificità, liberandola anche dall’impegno alla riflessione che perennemente ritorna su se stessa, via via adeguando la nostra capacita di intendere la storia al perenne maturare della nostra coscienza. Andrò ancora oltre dicendo che scrivo non già nelle vesti di storico, ma di chi è stato partecipe, tra gli ultimi e i più modesti, di una storia che ha avuto i colori dell’epopea e l’andamento di una chanson de geste, la storia di uomini che non trionfarono mai, ma che non furono mai vinti e che del loro operare hanno lasciato un segno incancellato e incancellabile. E’ un fatto che mentre la seconda generazione giellista, la mia, si viene anch’essa estinguendo, gruppi di giovani si vanno formando per i quali Giustizia e Libertà non è una sigla depositata negli archivi, ma un motto che indica le ragioni per le quali la vita è degna di essere vissuta. Poco meno di sessant’anni sono passati dalla morte di Carlo Rosselli e circa mezzo secolo dalla scomparsa del Partito d’Azione che fu, per breve stagione, l’incarnazione del movimento di Giustizia e Libertà. Il ciclo storico dell’antifascismo militante si è chiuso e si è chiusa con esso una fase della storia della nostra repubblica. Non si è spento il dibattito sulla tradizione giellista e azionista, anzi, al contrario di quanto è avvenuto per altri movimenti politici, esso è trapassato dal piano storiografico a quello ideologico e politico. Quanto forte sia la carica di questo dibattito e quanto ancora calato esso sia nella ‘battaglia delle idee’ lo prova il fatto che di volta in volta Rosselli è stato presentato come il precursore di un liberal-socialismo pudibondo – sia detto con tutto il rispetto per la persona – alla Giuliano Amato; come il costruttore di una ideologia da ‘utili idioti’, che ha fatto del giellismo e dell’azionismo la maschera del frontismo comunista – si è inventata nelle accademie la formula un po’ goffa, da agit-prop più che da studiosi, di Gramsci- azionismo-; come l’ispiratore remoto – e qui siamo alla faziosità sfrontata e canagliesca – delle brigate rosse. Una rassegna critica e ben ragionata di tali interpretazioni costituirebbe un contributo di notevole interesse alla storia delle sub-ideologie politiche del nostro tempo. Vero è che nella tradizione giellista coesistono e convivono in connessione dialettica motivi contraddittori che non sono meramente ideologici, che esprimono contraddizioni reali, a volte laceranti, le quali necessariamente si riflettono in chi nella storia in divenire intende incidere. Basti solo pensare che la formazione del gruppo dirigente di GL avviene nei brevi anni che vedono l’avvento di Hitler nella acquiescenza delle democrazie e delle socialdemocrazie; la sedizione franchista di fronte alla quale, da solo, si schiera dalla parte del governo legittimo, facendo gravare, però, attraverso i partiti comunisti una pesante e a volte fosca ipoteca sulla pericolante repubblica aggredita dal fascismo internazionale, mentre contemporaneamente esplode a Mosca, in forme ripugnanti, il terrorismo staliniano, mentre le democrazie preparano la vile e miope capitolazione di Monaco. Nella notte che seguì la conclusione del congresso di Venezia del 1957, nelle lunghe ore di attesa dei risultati, Nenni, che Rosselli …

CARLO E NELLO ROSSELLI

di Gaetano Salvemini* | La banda di fascisti francesi che assassinò Carlo Rosselli a Bagnoles de l’Orne, in Francia, il 9 giugno 1937, non aveva nessuna ragione di volere la morte di un italiano la cui anima era tutta tesa verso l’Italia e che non prendeva nessuna parte nelle lotte politiche francesi. L’organizzazione cui gli assassini appartenevano preparava un colpo di stato in Francia. Mussolini le forniva i fondi e le armi. Il mercato fu: io vi do il denaro e le armi, voi datemi l’uomo. Non appena l’assassinio fu conosciuto, tutti senza esitazione ne fecero risalire la responsabilità a Mussolini. A quella certezza morale si aggiunsero presto le prove materiali. Carlo Rosselli era uno dei pochi capi che fossero sorti dalla generazione del dopoguerra. Aveva guadagnato la sua autorità nel carcere e nelle molteplici attività illegali. Il suo nome significava per centinaia di giovani in Italia coraggio e intransigenza morale. La sua agiatezza gli consentiva di dedicare tutta la sua energia alla lotta politica, e con il suo patrimonio egli contribuiva largamente alle spese per il movimento antifascista. Mussolini facendolo assassinare sperava che il settimanale “Giustizia e Libertà”, fondato e diretto da Carlo, avrebbe cessato di uscire quando l’opera e i contributi di Carlo fossero venuti meno. Poteva sperare che tutto il movimento che si era sviluppato intorno a lui in Italia si sfasciasse e che la sua morte seminasse il terrore fra gli antifascisti fuori d’Italia. Colpisci il pastore e si disperderanno le pecore. Ordinando l’assassinio di Carlo Rosselli, Mussolini intendeva schiacciare l’uomo che nel 1925, nell’ora del suo trionfo, lo aveva sfidato in Firenze insieme con Ernesto Rossi, pubblicando il “Non mollare“, – l’uomo che nel 1926, insieme con Ferruccio Parri, aveva condotto Filippo Turati a salvamento fuori d’Italia; – l’uomo che nel 1927, nel processo che ne seguì a Savona, si era trasformato da accusato in accusatore e aveva strappato una condanna che era un trionfo morale; -l’uomo che nel 1929, insieme con Emilio Lussu e Fausto Nitti, gli era sgusciato fra le dita da Lipari, in un’evasione che è passata alla storia insieme con quella di Felice Orsini e di Pietro Kropotkine;- l’uomo che, appena arrivato a Parigi, aveva ripreso contro di lui la lotta senza quartiere, forte solamente della volontà propria indomabile e della solidarietà fraterna e devota di pochi amici; -l’uomo che nel 1930 aveva scoperto in Bassanesi un giovane capace di montare un aeroplano e, con poche ore di esercizio, partire dalla Svizzera e rimanere per mezz’ora nel cielo di Milano seminando manifestini antifascisti e sfidando la tanto strombazzata efficienza dell’aviazione fascista ; l’uomo che spargeva fermenti di rivolta nella gioventù universitaria italiana e così demoliva l’illusione che la gioventù educata nel clima fascista gli fosse tutta fedele. In Carlo Rosselli, Mussolini volle sopprimere l’uomo che fin dai giorni più remoti era stato fra i primi e più tenaci a denunciare la gravità del pericolo fascista e la sua natura mostruosa, e che aveva previsto che una crisi così profonda non poteva non sboccare nella guerra. Nei suoi scritti settimanali in “Giustizia e Libertà” e in tutta la sua attività battagliera, Carlo Rosselli affermava costantemente che la pace in Europa era una finzione e la guerra la realtà. Quella voce che preannunciava la guerra con lucida coscienza e ne fissava in precedenza la responsabilità con logica implacabile,Mussolini volle far tacere per sempre. Facendo assassinare Carlo Rosselli, Mussolini volle infine, oltre che liberarsi del suo più attivo e temuto nemico, vendicare soprattutto le difficoltà da lui incontrate in quell’uomo che – di quelle difficoltà – era stato l’artefice primo. Interventi individuali a difesa della repubblica in Spagna si erano manifestati subito, prima che Carlo Rosselli prendesse l’iniziativa di un intervento collettivo. Ma quegli interventi individuali, pure essendo documento di generosità ammirevole, si disperdevano nel movimento generale della guerra civile spagnola e minacciavano di rimanere senza significato. Fu grande merito di Carlo Rosselli avere avuto immediatamente la visione chiara e netta della suprema importanza e dell’enorme significato, per la causa della libertà italiana, di un intervento collettivo antifascista con bandiera italiana nella guerra di Spagna. Fu suo merito l’aver compreso che quella eroica lotta di popolo per la sua libertà non era né doveva rimanere fatto nazionale della sola Spagna. Essa doveva dilagare al di là delle frontiere spagnole. Doveva esser portata in Italia e dovunque esistesse un regime fascista. Doveva essere il principio della guerra civile europea – guerra civile che non doveva essere giustificato, bensì voluta ed esaltata come legittima e sacrosanta. Vincendo tutte le esitazioni, rompendo ogni indugio, con quella straordinaria vitalità che era la nota caratteristica della sua personalità, Carlo chiamò a raccolta gli antifascisti esuli e proscritti dall’Italia: battendosi valorosamente sul fronte di Huesca coi suoi compagni, come gruppo italiano, sollevò nella massa dell’emigrazione italiana un movimento di commozione e di entusiasmo che atti di eroismo individuale non avrebbero creato. Col suo gesto egli rese possibile, in un secondo tempo, la formazione di quella legione garibaldina che in sei battaglie condusse alla vittoria di Guadalajara. Poca favilla gran fiamma seconda. Carlo Rosselli aveva gettato il grido di battaglia “Oggi in Spagna, domani in Italia“. Soltanto otto giorni dopo che Carlo era stato ucciso dai sicari di Mussolini questi ammise il rovescio di Guadalajara sul Popolo d’Italia. Ora che si era preso la rivincita poteva confessare la sconfitta. Insieme con Carlo, Mussolini fece assassinare suo fratello Nello. Quando fu preparato il delitto, Carlo era a Bagnoles de l’Orne, convalescente di una flebite dovuta agli strapazzi della guerra di Spagna. Nello era andato a trovarlo in una delle sue visite furtive che gli faceva non appena poteva uscire fuori d’Italia per i suoi studi. Nello era anch’egli un antifascista convinto e irreducibile. Consigliato più volte dagli amici a stabilirsi fuori d’Italia non aveva mai voluto: diceva che era necessario che qualcuno rimanesse in Italia a dare l’esempio di non cedere. Era suo dovere di farlo. Nello aveva saputo trovare forza e conforto negli studi. Il suo soggetto preferito era la …

RINO FORMICA: «NANI E BALLERINE? NO, OGGI SOLO INSETTI»

di Federico Novella | Mi chiede una lettura della situazione politica? E come faccio? Da quando è caduto il muro di Berlino, è caos permanente.. Rino Formica, a 92 anni non ha smarrito l’acutezza del cavallo di razza della prima Repubblica. Peso massimo nel Psi di Bettino Craxi, più volte ministro, uomo di intelligenza finissima, a lui si deve la piu cruda definizione della politica italiana: «Sangue e merda. O, più elegantemente, passione e spietatezza. Oggi è ancora così? «Diciamo che oggi non vedo più il sangue. Una sorta di anemia politica? «Stiamo assistendo alla vittoria del tarlo. Lo Stato è tarlato. Come un tavolo che pare bellissimo, ma è destinato a sprofondare». Ci aiuti a orientarti. «E’ complicato. In 25 anni abbiamo assistito alla distruzione di tutti i partiti della prima Repubblica, della seconda, e della seconda e mezzo. Ma non è nato mente. Fu lei a coniare la metafora del -circo di nani e ballerine-, riferito all’ultima assemblea del Psi. Vale anche per questo governo? «No, adesso sono scomparsi sia i nani che le ballerine. Restano solo gli insetti». Rimpiange il circo? «Sì. Erano meglio loro. Nani e ballerine avevano una certa dignità». Dunque non crede all’alleanza Pd-5 stelle? «Non sarà mai permanente, e non sarà mai nazionale. Manca la strategia di lungo respiro. Questo governo è sostenuto per metà dal populismo, cioè roba sudamericana. Per l’altra metà da un Pd malriuscito, che ha gemmato due scissioni. Tutti cercano un’identità, in conflitto l’un con l’altro. È follia. È manicomio». Troppo ampie le distanze politiche? «Mi immagino tra 40 anni cosa sarà per uno storico rileggersi i verbali del Consiglio dei ministri di questi tempi. Giungerà alla conclusione che siamo tutti matti». Però i numeri parlamentari ci sono. «Ma è un governo di minoranza nel Paese. Le forze di maggioranza, se facciamo la tara degli astenuti, arrivano al 25% degli italiani. Dove sta davvero il Paese e cosa ci sta bollendo all’interno, nessuno può dirlo». Il premier Giuseppe Conte si è paragonato a Craxi. Conte è un’altra illusione che arriva dagli studi degli avvocati. Che cos’è l’arte forense, se non la facoltà di difendere tutte le cause?» Il Pd spostato a sinistra riscoprirà gli antichi fasti? «Il Pd si vergogna del suo passato ideologico, di cui conserva solo i comportamenti, come il centralismo democratico. Vale a dire la farsa per cui il segretario una mattina si sveglia e annuncia l’accordo con i 5 stelle. E quei poveri disgraziati del Pd in Umbria, buttati giù da Beppe Grillo, sono obbligati a obbedire. La nuova formazione di Matteo Renzi sarà protagonista, o è solo un rumore di fondo nel fluire della storia patria? «Più che un rumore di fondo, direi una pernacchia». Nel senso che non durerà? «I cantastorie durano meno della storia che raccontano. E vale per tutti. Renzi alla Leopolda ha detto che il dovere della maggioranza è scegliere un presidente della Repubblica europeista. «O dice una bugia, oppure ci nasconde qualcosa. Sostiene di aver cambiato idea sui 5 stelle perché bisogna scegliere il presidente giusto? E allora risponda alla domanda: questo nome è nel patto di governo oppure no?». Lei cosa dice? Dico che è l’imbroglio della giornata oggi funziona così. Ognuno si sveglia e dice la sua per passare la nottata. Insomma, è già iniziata la campagna per il Quirinale? «Prepariamoci a 15 mesi di dibattito tra sordi: tra chi cerca il candidato, e chi vuole addirittura cambiare la forma di Stato per eleggerlo direttamente. Prospettive inquietanti: come andare a fari spenti in una notte di tempesta». Quand’è che la situazione è precipitata? «Con lo sbocco della crisi del 2018. Cioè quando il partito del Quirinale ha stabilito che a dare le carte per il governo dovessero essere i 5 stelle». Il partito del Quirinale? «Certo, un partito che è sempre esistito, dalla presidenza Gronchi in poi. È stato questo partito quirinalizio a dare centralità ai 5 stelle». Cosa avrebbe dovuto fare il presidente Sergio Mattarella? «Tentare ogni strada, fallendo. E poi rivolgersi al Paese dicendo: sciolgo le Camere». Un bel salto nel buio. «Pazienza. Meglio un salto nel buio una tantum, che un salto nel buio strisciante ogni mattina. Uno strazio». Come diceva Giuseppe Prezzolini, in Italia nulla è più definitivo del provvisorio. «Sì, ma adesso la provvisorietà è al potere. Più che i partiti personali, dominano i partiti umorali: Renzi da socialista diventa liberale, Matteo Salvini da secessionista diventa nazionalista. Tramontate le grandi religioni politiche, viviamo la stagione degli arruffapopoli, dove l’unico legame è la convenienza». Lo storico taglio dei parlamentari rientra in questa tendenza? «Certo, rispecchia le due tendenze dominanti: verso il caos e contemporaneamente verso l’ordine autoritario». Ci spieghi meglio. «È un passo verso il caos, perché si pretende di modificare le istituzioni partendo dal tetto e non dalle fondamenta. È un passo verso l’ordine autoritario, perché scredita la funzione del Parlamento». Mi pare di capire che non è un ammiratore della piattaforma Rousseau. «Quella poi: il giochino delle tre carte. E questo Davide Casaleggio che si vanta: “Abbiamo consultato 80.000 persone, unico caso al mondo”. Resto di sasso. Si possono fare affermazioni più stupide?». Anche lei suona l’allarme democratico? «La paura è diffusa in vaste schiere dell’opinione pubblica. E la paura porta alla voglia di ordine a tutti i costi. Salvini è un’ottima sintesi di questa pulsione». Teme davvero una dittatura vecchio stile, nel 2019? «No, perché anche le dittature hanno salde visioni politiche, che qui non vedo. E poi i populisti al governo non reggono: esprimono rabbia, ma non riescono ad elaborare una sintesi. Oggi semmai rischiamo la dittatura dell’ignoranza». Come ci siamo arrivati? «Le vecchie scuole di partito sono considerate la fonte di tutti i mali. Abbiamo attinto alla società civile e alle sue categorie purificatrici: gli imprenditori, i magistrati, i giornalisti, gli scienziati, le suore, gli analfabeti. Abbiamo visto com’è finita: con Luigi Di Maio al governo». Preferiva Silvio Berlusconi? «No, anzi. I leader di oggi sono tutti figli suoi. E questo mentre si consumano drammi economico-sociali che …

LA CARTA IDEOLOGICA DELL’UNIFICAZIONE: TEMI TRADIZIONALI E NUOVI ASPETTI NELLA POLITICA ESTERA SOCIALISTA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO SECONDO 2.2 La carta ideologica dell’unificazione: temi tradizionali e nuovi aspetto nella politica estera socialista Al Comitato centrale socialista del 16 settembre del 1966, l’ultimo prima del congresso dell’unificazione, furono esaminati ed, infine, approvati i documenti dell’unificazione: lo Statuto, le Norme transitorie e la Carta ideologica.  Al centro  del dibattito fu posto il documento ideologico elaborato dal Comitato paritetico in seguito a numerose discussioni e criticato ferocemente dalla sinistra interna al  partito. I giudizi negativi, che furono ripresi, in parte, durante il dibattito congressuale, riguardarono in modo particolare l’aspetto relativo alla politica estera. Tale questione venne affrontata al punto numero sei della Carta ideologica. Nel documento si associavano a temi tradizionali del patrimonio ideologico socialista indirizzi nuovi, frutto dei cambiamenti avvenuti sia in seguito all’unificazione che mutato clima internazionale. L’elemento nuovo e più rilevante era rappresentato dall’ingresso del nuovo partito nell’Internazionale socialista, costituendosi come “sezione dell’Internazionale socialista”. Il Psu si sarebbe impegnato, quindi, a  seguire i fondamentali principi dell’Internazionale individuati nella “solidarietà dei lavoratori del mondo intero; l’appoggio e l’aiuto ai popoli che ancora debbono raggiungere la loro indipendenza  o che debbono difenderla  da interferenze straniere e da residui colonialistici” ed inoltre nella “lotta contro l’imperialismo nelle forme tradizionali e nuove in cui si manifesta”. Il nuovo partito avrebbe avuto come obiettivo principale quello “dell’organizzazione della pace” considerato  “il  problema dominante del mondo e di ogni singola nazione”, analizzava, inoltre, “i punti di convergenza nella azione internazionale dei socialisti, al di sopra  dei  blocchi militari o al loro interno” indicati nello “sforzo comune di assicurare all’Organizzazione delle Nazioni Unite l’autorità e l’universalità di cui ha bisogno per assolvere il compito di suprema regolatrice delle relazioni internazionali”. Il Psu avrebbe garantito, quindi, “l’appoggio alla politica della distensione, del disarmo, della non proliferazione e disseminazione, e della interdizione degli armamenti nucleari”. Il nuovo partito confermando “la consapevolezza dei rischi inerenti ad  ogni alterazione unilaterale dell’attuale equilibrio sul quale si regge la pace nel mondo, sia pure in modo precario” si sarebbe impegnato nella “ricerca di sempre maggiori rapporti tra i paesi dell’Ovest e dell’Est” e per “l’incoraggiamento ai paesi neutrali e non impegnati nel loro sforzo di rinascita politica ed economica e di mediazione pacifica”. Nel documento si ribadiva, inoltre, l’accettazione del Patto Atlantico e degli obblighi ad esso legati nella interpretazione difensiva e geograficamente delimitata. Il Psu considerava “obiettivi costanti e supremi del Partito […] la messa al bando della guerra e il superamento dei blocchi militari”, il nuovo partito si sarebbe impegnato, inoltre, “nella costruzione dell’unificazione dell’Europa” affermando che “nel mondo di oggi la mancata unificazione europea crea un vuoto che spetta ai socialisti di colmare nell’interesse della pace”139. Il primo aspetto fondamentale ma soprattutto nuovo presente nella Carta ideologica dell’unificazione era rappresentato dal sancito ritorno del  Partito socialista italiano all’interno dell’Internazionale socialista. L’organizzazione, dalla quale era stato espulso nella primavera del 1949, era stata considerata, sino a pochi anni prima, incapace di incidere sui problemi internazionali, soggiogata  dalle  logiche dei blocchi e, quindi, indifferente di fronte alle lotte di liberazione coloniale. L’Internazionale socialista, in vista dell’unificazione, rappresentava, ora, il luogo migliore per dare “l’appoggio e l’aiuto ai popoli che ancora debbono raggiungere la loro indipendenza o che debbono difenderla da interferenze straniere e da residui colonialistici”. Per alcuni dirigenti della sinistra interna al Psi tale contraddizione  non era stata risolta, persistendo, anzi, in modo ancora evidente. Secondo il loro giudizio, l’Internazionale continuava, quindi, a presentare questi  gravi  limiti  che non potevano essere accettati. Nella Carta ideologica erano riportati alcuni dei fondamentali principi della tradizionale politica internazionale del Psi riconosciuti nell’internazionalismo, nel pacifismo e nella lotta contro l’imperialismo. Era, inoltre, confermata l’adesione del nuovo partito all’Alleanza atlantica ed agli obblighi ed i vincoli legati ad essa intesi sempre nella loro interpretazione difensiva e geograficamente delimitata; era, quindi un partito “atlantico” e non “atlantista” poiché, non accettando il Patto atlantico inteso “come scelta di civiltà”, ne respingeva l’ideologia140. Il nuovo partito sarebbe stato, inoltre, europeista anche se in questo campo le dichiarazioni esposte nella Carta si limitarono ad una riaffermazione per un impegno volto “alla costruzione dell’unificazione”. Non erano presenti, inoltre, dichiarazioni inerenti  ad  un eventuale ruolo autonomo dell’Europa all’interno dei blocchi o ad un suo contributo incisivo nella scena politica internazionale. Nel documento ideologico, accanto a chiare esposizioni di principi ed obiettivi politici, emergevano, però, degli aspetti in parte contraddittori. Il nuovo partito avrebbe avuto “come obiettivo costante e supremo” quello del superamento della politica dei blocchi pur ritenendo indispensabile  la difesa degli equilibri esistenti  che, al tempo stesso, si basava proprio su tale politica. Nella situazione internazionale, infatti, il mantenimento dello status quo continuava ad essere considerato come l’unico fattore “sul quale si regge la pace nel  mondo”. “L’appoggio alla politica della distensione”, considerato un punto fondamentale  nella Carta, mal si conciliava con la lotta all’imperialismo e con il proposito di appoggiare ed aiutare i popoli in lotta per la propria indipendenza; iniziative che avrebbero potuto mettere in crisi i principi stessi della distensione141. La difficoltà di conciliare principi ed interpretazioni tra loro contrastanti appariva evidente nella Carta ideologica dell’unificazione e non derivava solo dal tentativo di accostare due patrimoni ideologici in parte differenti ma non inconciliabili. Una tale difficoltà era, inoltre, il frutto di una mancanza di unità di vedute presenti all’interno dello stesso Partito socialista italiano. Le differenti interpretazioni elaborate intorno ai principi ideologici e  politici  dell’unificazione, che riguardavano anche le linee di politica estera, avevano prodotto una frattura interna al partito che non aveva permesso l’elaborazione di una comune base per la realizzazione del progetto. Il Psi, alla vigilia dell’unificazione,  si  presentava, …

SE IL KURDISTAN FOSSE UNO STATO SAREBBE IL PIU’ RICCO DEL MEDIORIENTE

  di Aldo Ferrara – Socialismo XXI Lazio |   Non c’è pace per lo scacchiere mediorientale, dall’accordo di Ostenda del 1928 sulla spartizione dell’Iraq Siamo dunque al secondo drammatico atto della Guerra di Religione che sta squassando la Siria. Ma lo è davvero guerra di religione, considerato che il siriano Assad appartiene alla Famiglia Alawita, notoriamente la più moderata dei clan islamici? Per quanto si voglia, da parte di alcuni osservatori, limitare il ruolo dell’energia nella genesi del conflitto siriano, l’analista Robert F. Kennedy trova invece che le motivazioni non siano religiose bensì energetiche. Tutto risalirebbe al veto posto da parte di Assad alla pipeline che il Qatar avrebbe voluto costruire per portare in Europa il gas arabo. Una sufficiente motivazione, visto che si sarebbe trattato di un affare da 60 a 120 miliardi di metri cubi di gas l’anno, rendendo oltretutto alla Turchia una agognata indipendenza. Il campo South Pars/North Dome è un giacimento situato, nel Golfo Persico a cavallo tra Emirato del Qatar e Iran. Secondo l’International Energy Agency la riserva contiene circa 1.800 trilioni di piedi cubi (51 trilioni di metri cubi) di gas naturale. Il giacimento copre un’area di 9.700 chilometri quadrati, di cui 3.700 chilometri quadrati (South Pars) si trova nelle acque territoriali iraniane e 6.000 chilometri quadrati (North Dome) e in Acque territoriali del Qatar. Scoperto nel 1971, solo nel 2000 si sono poste le condizioni dello sfruttamento, quando il Qatar ha proposto di costruire un gasdotto. Finalità ultima era quella di evitare che il gas del Qatar potesse essere riversato sui mercati europei solo spedito via mare mentre il gasdotto avrebbe ridotto i tempi di trasferimenti e soprattutto i suoi costi. Al contempo il gasdotto Qatar/Turchia avrebbe consegnato ai regni sunniti del Golfo Persico una prevalenza decisiva sul mercato mondiale del gas naturale rafforzando, in specie tra essi, il Qatar, stretto alleato degli Stati Uniti nel mondo arabo. Drenare il giacimento avrebbe comportato anche inevitabili contenziosi tra Qatar e Iran, essendo esso adagiato su la linea di demarcazione territoriale. Inoltre avrebbe condizionato anche la presenza sul mercato del gas dell’Iran sciita e del suo alleato, la Russia. Tuttavia Assad pose a suo tempo un veto strutturato con un’alternativa filo-iraniana, il Gasdotto Islamico, che esaspera la già vivacissima rivalità tra le Monarchie del Golfo sunnite e l’Iran sciita, (Paola Pintus, Le grandi vie del gas e gli interessi strategici in MO, Tiscali News 07.04.2017). Detto giacimento presenta dimensioni tali da indurre il Qatar ad una svolta dettata anche dall’embargo nei suoi confronti degli Emirati. A tal punto da negoziare con l’Iran, mediante la mediazione russa, un oleodotto congiunto Qatar-Iran. Il Qatar ha intensificato le sue relazioni con l’Iran, con la Russia e con la Cina, rifiutando le richieste impossibili degli Emirati Arabi Uniti. Le vicende mediorientali, che hanno squassato il mondo negli ultimi decenni, hanno questo punto di partenza. Possono essere riassunte nella Dottrina Kennedy da cui discende la possibile interpretazione univoca della politica mediorientale di questi anni. Ai termini “Sunnita” e “Sciita” che segnano la divaricazione religiosa delle etnie mediorientali, vanno sostituiti i termini “Corridoio di Oleodotti del Cartello di Compagnie Arabo-Americane” e “Corridoio di Oleodotti del Cartello Russo-iraniano”. Da un lato Russia e Turchia, quale paese di transito delle pipelines del gas azero (Shah Deniz I e II) e dall’altro l’enorme potenzialità del giacimento di gas del Qatar South Pars/North Dome. Il corridoio di transito dal gas qatariota e dell’oil irakeno e quel triangolo di territorio curdo tra Mosul e Raqqa dove si e insediato il Daesh. Il controllo di quel territorio si e dimostrato talmente vitale da condizionare la politica di USA e Federazione Russa, con i rispettivi alleati, in tutti questi anni a far tempo dalla prima guerra del Golfo del 1991. Per dirla con parole di Marco Franza “…Se il Kurdistan fosse unito politicamente potrebbe essere lo Stato più ricco del Medio Oriente, considerate le materie prime di cui dispone – dal petrolio alle risorse idriche”. Il petrolio infatti viene estratto in tutti e quattro i paesi curdi. In Turchia è estratto nell’area di Siirt, Raman, Garzan,Diyarbakir. Un focus on d’obbligo ci porta anche in Oman che apparirebbe negletto rispetto la galassia degli Emirati vicini. Tuttavia il paese è all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie di recupero cosiddetto Enhanced Oil Recovery, EOR (detto anche recupero terziario) ed e il primo paese del Medio Oriente a far parte del ristretto club di produttori non convenzionali di petrolio e gas, attualmente guidati dagli Stati Uniti. A settembre 2017, si è avviata la produzione del suo giacimento di gas Khazzan da 16 miliardi di dollari, il più grande progetto di gas non convenzionale in Medio Oriente. Senza dimenticare i rapporti complessi con il vicino Yemen, fonte di continue scaramucce di guerriglia nelle aree di confine. In pratica si sta creando un Consorzio anti-OPEC che vede protagonisti, Russia, Iran, Qatar, e Turchia come hub privilegiato per il passaggio delle merci e del gas e come interlocutore diretto con forniture ( Franza M., Kurdistan, lo Stato introvabile. Limes, 08.06.1999). Ma la storia recente indica altri risvolti: il fatto che la Russia costringerebbe Damasco a porre il veto a un oleodotto del Qatar a favore di uno iraniano ignora anche un’altra realtà: Mosca e Teheran sono potenziali rivali energetici, almeno per il mercato europeo dove i russi vogliono mantenere il primato. Nonostante si parli di come le guerre del gasdotto permetterebbero all’Europa di diversificarsi dal gas russo, le esportazioni di gas russo in Europa hanno raggiunto un livello record nel gennaio 2017. Jihad Yazigi,nel suo “Rapporto sulla Siria” afferma tra l’altro “La concorrenza per l’accesso al gas nella regione non è tra Qatar e Iran, ma Russia e Iran”. Nel dicembre 2016, il commerciante di materie prime Glencore e l’Autorità di investimento del Qatar, il fondo sovrano del paese, hanno acquisito una partecipazione del 19,5% in Rosneft, la compagnia petrolifera statale russa, per $ 11 miliardi, con il risultato che il Qatar ha ottenuto un accesso al mercato europeo più semplice di quanto qualsiasi pipeline attraverso la …

LE REGIONI DEL SUD SI SVEGLINO

di Onofrio Introna – già Presidente del Consiglio regionale della Puglia | Si parla meno di autonomia differenziata, ma sarebbe un errore abbassare la guardia, perché si tratta di federalismo travestito da regionalismo asimmetrico e continua a rappresentare un vero “tradimento del Sud”. Nel Nord hanno abbassato solo da poco i toni sprezzanti della campagna di diffamazione scatenata contro il Mezzogiorno dal senatur Bossi e Gianfranco Miglio (1918-2001), ora rilanciata, al grido “Attenti al migrante!“, dal già Ministro degli Interni Matteo Salvini. L’ostilità nei confronti degli extracomunitari ha messo solo in secondo piano, ma non ha mandato in soffitta, il disprezzo dei settentrionali verso i meridionali “spreconi, parassiti, fannulloni“. E per quanto possa sembrare incredibile, l’anatema bossiano ha fatto proseliti anche tra gli stessi cittadini del Sud. Resi spavaldi da questo imprevedibile consenso suicida, i Governatori Zaia, Fontana e Bonaccini tentano il colpaccio, i primi con un referendum farsa, per realizzare la secessione dei ricchi, obiettivo principale e vera ragione d’essere della Lega Nord, anche se l’aggettivo Nord è da qualche tempo scomparso e si è adottato lo slogan “Prima gli italiani”. Michele Emiliano e Vincenzo De Luca, Governatori del Sud, cosa fanno? Si dirà: sono in campagna elettorale, si vota nella prossima primavera, ma non sono stati eletti, voluti, sostenuti dalla gente che crede ancora nei valori della sinistra democratica e riformista? E tra questi valori non prevalgono ancora l’unità del Paese, la solidarietà nazionale, il diritto costituzionale alla perequazione? Consiglio ai due Presidenti di proporre un programma di lotta, senza se e senza ma, all’autonomia differenziata. Un NO forte e chiaro alla secessione del Nord può rappresentare da solo un programma elettorale vincente, oltre che un progetto di riscossa, ancora più se condiviso da Emiliano e De Luca con un atto unitario. Siamo ad una svolta, è il momento giusto. Bisogna essere determinati, decisi, è importante parlare ai Cittadini, soprattutto ai meridionali che votano o voterebbero Lega per paura dei migranti, perché sono “mantenuti dallo Stato“, perché “rubano“, perché “tolgono il lavoro agli italiani“. A questo proposito, è illuminante la dichiarazione del procuratore della Repubblica di Milano, Francesco Greco -ne ha dato notizia La Gazzetta del Mezzogiorno il 22 ottobre- che presentando il bilancio di responsabilità sociale 2018 degli uffici giudiziari milanesi, ha detto testualmente: “il 99.9% dei ladri di appartamento sono bianchi, lo dico perchè a volte si ha un’idea un po’ strana del colore della pelle in relazione alla criminalità”. Quanto a rubare il lavoro, al Sud non ce n’è, tanto per gli italiani che per i migranti e i pochi tra questi che lavorano sono tenuti come schiavi nelle stalle o nelle baraccopoli, pagati a due euro l’ora. Dobbiamo tornare a rendere i meridionali dei cittadini informati e consapevoli. Non possiamo lasciarli nelle mani di chi li circuisce col miraggio della sicurezza, per tradirli con l’autonomia differenziata. L’unità d’Italia non si tocca, il Sud deve esigere che gli venga restituito un ruolo di pari dignità e garantiti servizi uguali da Pordenone a Leuca. L’auspicio è che il governo giallorosso -che col Ministro Boccia si è pronunciato per una correzione in tal senso del federalismo differenziato- possa trovare un valido supporto nell’impegno determinato delle Regioni meridionali, per fare del Mezzogiorno un vero punto di forza del Paese e renderlo a pieno titolo parte dell’Europa. Pubblicato anche su : SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CALCOLI CON UNA SOLA LISTA O COALIZIONE SUPERIORE AL 30% OMOGENEAMENTE DISTRIBUITI SUL TERRITORIO NAZIONALE

di Felice Besostri | Il numero dei parlamentari poteva essere ridotto: da noi il numero di abitanti per parlamentare era più basso d quello di Germania, Francia e Spagna, con la riforma è il più alto dei paesi europei ad esempio Olanda, Francia, Germania, Spagna, Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria, Svezia, Grecia, ma tenendo conto delle esigenze di rappresentatività del corpo elettorale. Intervenendo sulle indennità il risparmio poteva essere maggiore con riduzioni numeriche meno decapitatorie. SENZA una legge integralmente PROPORZIONALE, al limite con soglie d’accesso intorno al 2% (la soglia minima obbligatoria prevista per gli stati più grandi della UE dalla Decisione 2018/994/UE per il Parlamento europeo). Con sistemi maggioritari come quello del referendum Salvini o con premi di maggioranza paesi come Italikum o nascosti come il Rosatellum bis come da allegato. Questo significa che quando c’è un’unica lista o coalizione che superi il 30% dei voti e distribuita omogeneamente sul territorio nazionale, questa può avere la maggioranza assoluta della Camera dei deputati e se si toglie a base regionale per il Senato, come si è incominciato a fare con la n. 165/2017 introducendo una soglia nazionale del 3% anche per il Senato controllare pur essendo minoritaria nel paese il Parlamento in seduta Comune controllando la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica ex 90 Cost. e l’assemblea presidenziale ex 83 Cost. praticamente del tutto se in analogia alla riduzione dei Parlamentari i delegati regionali da 58 si riducessero a 20. Di questo non si parla, ma è la questione che più squilibrerebbe la nostra Costituzione e il ruolo del capo dello Stato, che rappresenta l’unità nazionale, garante della Costituzione e dell’equilibrio e cooperazione degli organi costituzionali e dei poteri che li esprimono. Il Parlamento in seduta comune elegge anche 5 Giudici Costituzionali ed un terzo dei membri elettivi del CSM. Link: https://www.radioradicale.it/scheda/587702/ridurre-il-numero-dei-parlamentari-le-ragioni-del-no 630-12=618 -232=386 30% di 386=116 Maggioranza assoluta 316-116=200 non deve perdere più di 32 seggi uninominali Europee 2019 Liste di partito Lista SALVINI 9.175.208 34,26% Magg.ass. 316-132=184 può perdere 48 coll.unin. Fratelli d’Italia 1.726.189 6,44 Forza Italia 2.351.673 8,78 COAL.CDX 13.253.070 49,48 LEGA+FDI 40,70% M.A. 316-157=159 perd. 73 seggi Magg.Ass.. 316-191=125 può perdere 107 coll.unin. Part.DEM. 6.089 .53 22,74 + EUROPA 833.443 3,11 EUR. VERDE 621.492 2,32 SINISTRA 469.943 1,75 SVP 142.185 0,53 COAL.CSX 8.156.916 30,45 M5S 4.569.089 17,06 LEGA FDI FI PD M5S NO 3.194.004 443.727 691.172 1.867.516 873.930 NE 2.381.616 333.394 339.049 1.388.550 599.172 CE 1.848.001 386.061 345.934 1.488.400 882.966 ME 1.291.514 414.776 674.529 984.566 1.603.095 seggi 114 conFdI (1.706.290) Cdx (2.380.819) (2.587.661) IS            460.250             148.297      301.302                    379.404                         616.097 seggi 44     conFdI(608.547)   Cdx(909.849)                                                       (995.501) LEGENDA: i numeri in Grassetto indicano la Lista / Partito di maggioranza relativa nella circoscrizione elettorale europea. I numeri sottolineati in continuo indicano la coalizione maggioritaria elezione 2018 quelli sottolineati singolarmente 1001, ipotetica coalizione alternativa. Nella circoscrizione MERIDIONE 114 seggi senza un accordo PD- M5S la Coalizione Lega FDI ha la maggioranza relativa.  La Coalizione di CDX con FI  supera sempre i M5S, anche dove sono il partito di maggioranza relativa supera, ma non la Coalizione PD-M5S  SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

IL CENTRO-SINISTRA E L’UNIFICAZIONE: TERMINI NUOVI NEL LINGUAGGIO DELLA POLITICA ESTERA SOCIALISTA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO SECONDO 2.1 Il Centro-sinistra e l’unificazione: termini nuovi nel linguaggio della politica estera socialista All’inizio degli anni Sessanta la situazione internazionale appariva molto complessa. La divisione del mondo in due blocchi contrapposti guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica condizionava le scelte e le decisioni dei Paesi alleati. Kennedy e Kruscev si presentavano come i protagonisti indiscussi della scena mondiale, attenti alle nuove dinamiche internazionali ed ai cambiamenti ad esse connessi. I due leader mondiali, preoccupati di mantenere lo status quo ed il potere all’interno della propria sfera di influenza, avevano il compito di controllare e valutare che ogni possibile cambiamento interno ai singoli Stati non mutasse tale assetto. La profonda attenzione mostrata dall’amministrazione Kennedy riguardo le trasformazioni che stavano avvenendo all’interno della politica italiana era la testimonianza lampante di tale aspetto. Fu, quindi, in tale contesto internazionale che, in Italia, all’inizio degli anni Sessanta si stava preparando l’incontro tra la Democrazia cristiana ed il Partito socialista italiano. Questo evento, considerato di portata storica non solo in Italia, metteva in moto meccanismi nuovi che provocavano molti timori ed  incertezze anche in seno al Dipartimento di Stato americano.  Fu solo grazie al rilevante aiuto   di alcuni membri dell’amministrazione Kennedy e di uomini vicini al Presidente come Arthur Schlesinger, Richard Gardner, Averell Harriman, Arthur Goldberg ed i sindacalisti Victor e Walter Reuther che si riuscì a sbloccare la delicata situazione. I rappresentanti del presidente Kennedy, infatti, attraverso incontri e colloqui con esponenti democristiani e socialisti incoraggiarono e resero possibile questo incontro103. Tale impegno fu favorito, inoltre, dalla pubblicazione nel gennaio del 1962 di un articolo di Pietro Nenni sulla rivista americana “Foreign Affairs” nel  quale si ribadiva la validità dell’Alleanza atlantica, questione che più di altre suscitava paure ed incertezze tra gli oppositori americani104. Le nuove dinamiche internazionali contribuirono, quindi, in maniera considerevole a promuovere il dialogo tra i due partiti italiani fino al definitivo approdo del Psi al governo. La formazione dei primi governi di centro-sinistra fu, dunque, condizionata ed influenzata dal clima internazionale nel quale si trovò costretta ad operare. Nel lungo ed approfondito dibattito che precedette l’ingresso del Psi nella “stanza dei bottoni”, la politica estera rappresentò, dunque, una delle questioni più complesse e spinose che i socialisti dovettero affrontare105. Durante le trattative furono frequenti i contatti ed i colloqui che avvennero tra il leader del Psi, Pietro Nenni ed il leader della Dc, Aldo Moro durante i quali si affrontò anche tale questione. Significativa a tal proposito è una lettera scritta da Nenni in seguito ad un incontro avvenuto con Moro nel maggio del 1963 nella quale,  nella parte relativa  alla politica estera, si possono individuare i principali punti del programma dei socialisti in questo campo. “Il Psi non rimette in questione l’adesione italiana alla NATO e gli obblighi che ne derivano. Ma insiste perché tali obblighi conservino carattere strettamente difensivo e non siano estesi a zone non contemplate da Patto Atlantico. Ciò che il Psi attende da un governo che voglia l’appoggio socialista è una intensificazione di sforzi e di iniziative per il disarmo equilibrato e controllato; per la proibizione di nuove esperienze nucleari; per la interdizione del possesso e dell’uso delle armi nucleari ad altri paesi, e specialmente alla Germania; per la creazione di una zona europea denuclearizzata che non alteri l’attuale equilibrio delle forze”. Nella prima parte della lettera, Nenni assicurava l’adesione del Partito socialista italiano alla NATO e agli obblighi che ne derivavano insistendo e ribadendo, però, che tali obblighi avrebbero dovuto conservare il carattere strettamente difensivo e geograficamente delimitato. La conferma da parte socialista dell’accettazione del Patto atlantico rassicurò gli esponenti dei partiti della maggioranza: repubblicani, socialdemocratici e naturalmente democristiani che la ponevano come condizione irrinunciabile in politica estera.  Nenni  affermava, inoltre, la volontà di impegnarsi per la distensione necessaria per non incrinare l’equilibrio politico delle forze. Proseguendo nella lettera Nenni affrontò uno dei  temi considerati tra i più importanti nel disegno della politica estera  socialista:  quello dell’Europa. “Un terreno d’azione in cui l’iniziativa italiana va rafforzata è quello della  politica di unità europea, con una ferma opposizione contro i fautori di direttori autoritari e militari; sollecitando l’integrazione della Gran Bretagna e dei Paesi Scandinavi nelle organizzazioni comunitarie; di queste promuovendo la democratizzazione ed il controllo secondo direttive di pianificazione a scala continentale; dando nuovo impulso al problema della creazione di un Parlamento europeo eletto a suffragio universale” 106. Nenni individuava, quindi, nella politica europeista uno degli obiettivi fondamentali per la politica internazionale del governo consapevole che tale tema, a differenza di altri, non avrebbe trovato molti oppositori al governo ma anche nello stesso partito. In questa lettera Nenni esponeva, dunque, in modo chiaro le linee del programma che il partito socialista avrebbe cercato di perseguire in politica internazionale una volta approdato al governo, questione ancora aperta  all’interno del partito. L’eventualità della formazione di un governo con la diretta partecipazione socialista accresceva, infatti, le tensioni interne al partito presenti non solo fra la maggioranza autonomista raccolta intorno alle posizioni di Pietro Nenni e la minoranza di sinistra rappresentata da Tullio Vecchietti e Lelio Basso ma anche all’interno della stessa corrente autonomista, nella quale Lombardi ed altri dirigenti vicini a lui si discostavano dalle tesi espresse da Nenni e De Martino.  Nel  giugno  del 1963 questa tensione esplose intorno al testo politico programmatico presentato dalla Dc a Nenni. Il documento, che trovò la ferma opposizione della sinistra, fu, invece, discusso in modo approfondito dalla maggioranza autonomista in una riunione svoltasi  nella notte fra il 16 ed il 17 giugno del 1963,  nota come “la notte  di San Gregorio”, durante la …

SOVRANITÀ POPOLARE vs BARBARIE POPULISTA

Per la Comunità Socialista della provincia di Cremona Tommaso Anastasio – Virginio Venturelli | Dopo aver letto diverse prese di posizione in merito all’oggetto, di seguito anche la nostra modestissima valutazione.Un parlamento preoccupatissimo solo di non andare alle urne, ha votato con una maggioranza bulgara la riduzione del numero dei parlamentari. Oggi c’è un deputato ogni 96.000 abitanti e un senatore ogni 190.000,(sostanzialmente nella media europea) con il taglio ci sarà un deputato ogni 150.000 abitanti e un senatore ogni 300.000 abitanti. Uscendo dai freddi numeri, lascia sgomenti il fatto che non si sia, contestualmente, riformata la legge elettorale, così come risulta ancor più grave non avere previsto alcuna revisione dei “pesi e contrappesi” dei tre poteri sui quali si fonda la nostra Costituzione. Una miopia politica gravissima che inciderà sulla tenuta democratica delle nostre istituzioni. A supporto della decisione c’è solo la motivazione sulla riduzione dei costi della politica, che più facilmente si sarebbe potuto ottenere ridimensionando le indennità dei parlamentari e l’eliminazione dei loro privilegi, anziché ridurne la rappresentanza. Il provvedimento “taglio delle poltrone”, con il risparmio stupefacente di un caffè all’anno per il cittadino, contrae sostanzialmente, ancora una volta, gli spazi di democrazia, concentra il potere nelle mani di pochi, tende a trasformare la democrazia in oligarchia. In questa ottica, con i risultati che tutti possiamo commentare, già sono intervenute: la legge dei sindaci con ha ridotto anche il numero dei consiglieri comunali, quella che ha diminuito i consiglieri regionali, nonché la indecente normativa che ha portato le province al caos attuale. Che simili indirizzi siano propri delle forze nate sull’onda della protesta populista e sovranista, non desta alcuna sorpresa, a differenza dei comportamenti del PD e di Art.1, palesemente contradditori con le loro tradizionali posizioni, o meglio, con quanto vanno dicendo ai propri elettori.Quello che demagogicamente tutti pensano sia una decisione popolare, non sarebbe di certo scandaloso se fosse sottoposta anche al giudizio degli elettori, attraverso un referendum confermativo, ove si possano chiarire e spiegare meglio anche le ragioni contrarie al provvedimento. I socialisti, miracolosamente uniti sulla questione, una sola cosa dovrebbero comunque evitare: quella di far parte di comitati promossi da chi oggi si erge a contrastare l’entrata in vigore della legge, dopo averla approvata in parlamento.Ciò premesso, chiamati al voto non avremmo comunque dubbi sul nostro NO a questa scellerata riforma. Dopo aver letto diverse prese di posizione in merito all’oggetto, di seguito anche la nostra modestissima valutazione. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it