Soares: la memoria e l’esempio di un socialista

di Pietro Moroni Mário Soares è morto il 7 gennaio di quest’anno. Principale fautore della risoluzione democratica della Rivoluzione dei Garofani, il Portogallo lo ha tributato di esequie pubbliche e del saluto di tutte le principali forze politiche del Paese e dei reduci dei movimenti di liberazione anticoloniali delle vecchie colonie portoghesi. A seguito della sua morte, è giusto ed utile ricordare i contributi dell’uomo e le sue convinzioni senza incorrere in facili mitizzazioni. La sua lotta contro il regime dell’Estado Novo, contro i fascismi e il colonialismo e, in seguito, contro la prospettiva di un regime militare populista o di una dittatura del proletariato in stile orientale, non danno solo la misura di un irriducibile combattente per il socialismo e la democrazia ma possono essere da esempio anche oggi. Gli inizi di Soares Le circostanze della sua vita furono le stesse di altri milioni di giovani portoghesi cresciuti sotto il governo di Salazar. Mário Soares nacque il 7 Dicembre 1924 e cominciò la sua formazione politica in università, dove entrò a contatto con l’opposizione comunista al regime e contribuì a fondare e guidare la giovanile comunista. Avrebbe poi lasciato il Partito Comunista Portoghese (PCP) nel 1951. Divenne membro del Movimento di Unità Democratica, organizzazione-ombrello dell’opposizione para-legale a Salazar ma con fortissima influenza comunista, sostenne le campagne di vari candidati presidenziali alternativi a quelli di Salazar, prima Norton de Matos e poi il generale Humberto Delgado. Venne arrestato più volte dalla PIDE, la formidabile polizia politica portoghese. Fu infatti mentre era in prigione, nel 1949, che Soares sposò Maria Barroso, già attrice e compagna universitaria di Soares, e con lui fra i futuri fondatori del Partito Socialista. Soares mise poi i suoi uffici di avvocato al servizio di vari oppositori del regime, dalla famiglia del generale Delgado, ucciso dalla PIDE in Spagna, ad Álvaro Cunhal, leader comunista e futuro avversario di Soares. Ovviamente ciò non fece che attirare ulteriori attenzioni da parte della PIDE, che già aveva ottenuto che la moglie di Soares non potesse più recitare né insegnare, benché ne avesse le necessarie qualifiche. L’attività politica di Soares diviene più marcata nel 1964, quando a Ginevra, in Svizzera, è tra i fondatori dell’Azione Socialista Portoghese, che nel 1972 venne ammessa nell’Internazionale Socialista pur non essendo formalmente un partito ed avendo le sue principali basi organizzative al di fuori del Portogallo, dove i leader socialisti sono stati costretti all’esilio. Soares è fra i protagonisti che ottengono tale importante riconoscimento grazie al suo impegno nello stabilire relazioni di cooperazione e amicizia con vari altri partiti socialisti europei. Nel 1973, in una conferenza ospitata in Germania della Friedrich Ebert Stiftung, l’ASP diviene il Partido Socialista. In aiuto del giovane PS si mobilitarono molti compagni europei, non solo i tedeschi. Un esempio su tutti: il giornale Portugal socialista era edito in Italia coi fondi del PSI e distribuito segretamente in Portogallo da associazioni del mondo civico svedese nell’orbita della SAP. Fu però François Mitterand, a livello ideologico, il grande maestro del giovane Soares. Similmente a Mitterand, Soares sperava di poter avere un percorso comune con i comunisti, al di là delle differenze e nel quadro della necessaria unità anti-fascista per rafforzare la neonata democrazia portoghese. La Rivoluzione dei Garofani e il Portogallo democratico All’indomani della Rivoluzione dei Garofani con cui il Movimento das Forças Armadas (MFA) abbattè la dittatura e Marcelo Caetano, successore di Salazar, Soares aveva già ricusato il marxismo sovietico da oltre un ventennio, riconoscendo i limiti del modello autoritario sovietico e unendosi perciò alla schiera del socialismo democratico europeo. Tornato a Lisbona dall’esilio, Soares accettò l’incarico di Ministro degli Esteri offertogli dal Generale Spínola, ma rese ben chiaro di non accettarlo come dissidente perseguitato per 32 anni dal vecchio regime, ma come segretario del Partito Socialista: non una figurina da celebrare, ma un leader politico, espressione di un giovane ma determinato movimento socialista. Inizialmente l’unità antifascista tenne, soprattutto di fronte alla sfida della decolonizzazione, che portò alla piena indipendenza di quattro nuovi Stati sulle ceneri del defunto impero coloniale portoghese. Ma a frustrare queste aspettative c’era la posizione ortodossa del PCP e di Cunhal: mentre i comunisti italiani, spagnoli e francesi avevano abbracciato l’eurocomunismo, il PCP aveva continuato a difendere l’idea della dittatura del proletariato e l’eredità stalinista fino a pochi anni prima, quando persino il rigido KKE greco si era dovuto adeguare alla destalinizzazione promossa da Krushev. Inizialmente i comunisti moderarono radicalmente le loro posizioni e richieste, timorosi di scatenare una reazione americana sullo stile di quanto successo in Cile, ma la caduta del generale Spínola e con lui della destra del MFA, galvanizzò l’estrema sinistra portoghese, anche quella alla sinistra del PCP, e radicalizzò le componenti comuniste e populiste dei militari. Abbandonata la moderazione iniziale, il PCP e l’ala comunista del MFA, guidata dal generale e Primo Ministro Vasco Gonçalves, cercavano di guidare una nazione appena uscita dalla dittatura fascista verso una soluzione diversa, la cui natura è ancora dibattuta, anche a causa dell’influenza dell’irrequieta ala populista del MFA, di cui il generale Otelo Saraiva Carvalho era solo il più noto leader, e del supporto che essa aveva fra l’estrema sinistra. Quel che è certo, è che nessuna di queste proposte andava a coincidere con il modello statuale liberaldemocratico, come divenne palese quando la repressione politica degli esponenti del vecchio regime e dei simpatizzanti di svolte autoritarie conservatrici, si estese a popolari cattolici, liberali e socialisti. Tristemente famosi furono i casi di Rádio Renascença, l’emittente che trasmise Grandola Vila Morena, la canzone che diede inizio alla Rivoluzione dei Garofani, e di Repùblica, il giornale socialista. A molti parve che la democrazia portoghese fosse finita ancor prima di iniziare, per lasciare il posto a una sorta di regime militare progressista come quello che era salito al potere in Perù, se non addirittura per una dittatura di stampo moscovita. “Sarete il Kerensky portoghese”, lo apostrofò sarcasticamente Henry Kissinger in un incontro diplomatico, ma la storia andò diversamente e anche Kissinger dovette ricredersi. Il PS arrivò primo alle elezioni costituzionali …

Il 44% dei millennial americani vuole il socialismo

di Sara Ligutti Il 44% dei millennial americani vuole il socialismo (e così il 34% degli americani) e il 53% di loro pensa che il sistema economico americano non funzioni – sistema che va cambiato radicalmente per  il 37% degli americani; 7 cittadini su 10 pensano che i ricchi non paghino abbastanza e che le tasse vadano alzate e 8 su 10 affermano che il divario fra ricchi e poveri sia un tema serissimo. Ah, e Bernie Sanders è un eroe per il 40% degli intervistati, al secondo posto dopo Ronald Reagan. A evidenziarlo è una ricerca di YouGov commissionata dalla Victims of Communism Memorial Foundation (il nome della fondazione è autoesplicativo) per il suo rapporto annuale – i cui risultati hanno sconfortato la stampa conservatrice/moderata/liberale – sull’atteggiamento dell’opinione pubblica statunitense nei confronti del socialismo. Qui per scaricare il rapporto integrale.   Il 59% degli intervistati preferisce vivere in un paese capitalista, mentre il 34% in un paese socialista. Quando si isolano le risposte dei millennial, però, il risultato cambia significativamente: il 42% preferisce un paese capitalista, contro il 44% che preferirebbe un paese socialista. La possibile spiegazione per questo ultimo dato, si legge nella ricerca, viene da una delle schede successive, dove il 53% dei millennials ha risposto che l’economia statunitense non funziona per loro.   Secondo il 53% degli americani, il sistema economico del loro paese funziona, mentre per il 48% non funziona. La generazione più critica è quella dei millennial, mentre quella critica è la generazione Z (ossia i nati dal 1995 in poi), che dimostrano una tendenza al conservatorismo/moderatismo.   7 cittadini americani su 10 pensano che i più ricchi non paghino abbastanza e il 49% è d’accordo con l’aumento delle tasse per i ceti più abbienti, mentre il 37% è direttamente per un cambiamento radicale del sistema economico statunitense.   Per l’80% degli intervistati il divario fra ricchi e poveri è un problema serio, la disuguaglianza salariale per questioni razziali lo è per il 67% e il pay gap fra uomini e donne per il 67%.   Bernie Sanders è un eroe per il 40% degli intervistati.   [Il campione di questo sondaggio è di 2.300 persone] Fonte: largine.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

OGGI, LA SINISTRA O SARA’ SOCIALISTA O NON SARA’!

A tutti i comunisti e agli ex comunisti, ma dico, volete morire democristiani pur di non approdare al “socialismo”? Nulla avviene per caso, quando và in crisi un pensiero politico succede di tutto, scompaiono ideali, passioni, entusiasmi, ed emergono guerre fraticide, divisioni, e chi più ne ha più ne metta. Vengono meno gli elementi dello stare insieme e spesso perché si privilegiano gli interessi personali, più che quelli generali. Saltano partiti, si beccano batoste elettorali, aumenta la sfiducia. L’ultima in ordine di tempo dovrebbe farli contorcere, invece nulla, il “perdente” continua a “perdere” e a sperare su un improbabile futuro 40%, che rimane nei sogni, portando a sbattere e disintegrarsi quel che resta del PD. La sinistra storica non ha più ragione di esistere, sono cambiate le realtà, il mondo del lavoro, la politica, i partiti, l’economia, siamo entrati in un mondo globalizzato, siamo in un nuovo secolo. Bisogna compiere uno sforzo: modernizzarsi su un progetto nuovo, nuove visioni, nuove prospettive. Se oggi fosse in vita Enrico Berlinguer avrebbe avuto la forza di rinnovarsi. Invocarlo oggi per la Sua passata stagione politica non ha senso, è superata anch’essa. Così come non è invocando Andreotti, Fanfani, o Forlani che si risolverebbe la questione. Forse, forse, ci potrebbe aiutare una nuova rielaborazione riformatrice: la 4^ Via del Socialismo Riformista Italiano. E’ obbligo degli intellettuali di sinistra ripensarsi, ripensare il lavoro, l’economia, lo Stato, la politica, i partiti, le masse. Ripensarsi, ripensare, in termini di nuove idee, nuove visioni delle comunità amministrate, programmi nuovi, alternativi, che contrastino i privilegi di casta e gli interessi ad personam, corruzioni, mal governo, ingiustizie sociali. Le misure sono colme! E’ necessario costruire una “nuova” e “solare” comunità politica, basata su nuovi valori etici e morali e con molta laicità di visioni. Non è facile, perché la sinistra è progressista “per definizione” e conservatrice per azione”per modus operandi”….. Ci vorrebbe un “campo largo socialista“, che attualmente non c’è. Bisognerebbe costruirlo, vincendo tutte le resistenze che alcuni possono avere verso la desinenza”socialista”, che invece è piena e ricca di valori politici e sociali . Ma non lo si costruisce con i “sempre giovani vecchi tromboni”, ma con un movimento di giovani socialisti, democratici, laici, riformisti e progressisti, su una piattaforma politica capace di svuotare i populismi ed offrire soluzioni. Le questioni del momento, l’età pensionabile e le pensioni, per risparmiare 148miliardi di euro in spesa sociale scendono in campo le più disparate forze liberiste e tutte a voler comprimere la spesa sociale, non capendo che queste questioni si affrontano creando nuovi posti di lavoro, e ponendo il lavoro al primo posto come elemento di libertà. Come socialisti dobbiamo dirlo fortemente, ci dobbiamo differenziare, tornare nella mischia politica e non aver paura di stare dalla parte del lavoro, dell’equilibrio del Welfare State, soprattutto dalla parte dei “bisogni”. In questi ultimi anni, fra le tante crisi, non è da farsi sfuggire la crisi politica che ha investito tutte le forze della sinistra, sia sul piano politico-strategico che di consenso. Crisi politica che, con l’azione di governo centrale e periferico, ha alimentato populismi e destre-xenofobe. Crisi generata da cause congiunturali, malgoverno, corruzione e malaffare, assenza di figure politiche e di leadership all’altezza delle situazioni. Se non si comprende che la crisi elettorale e culturale della sinistra deve passare necessariamente da una “nuova formazione politica movimentista“, si perderà ulteriore tempo e si regalerà la vittoria alle destre per incapacità a rinnovarsi. Il Rinnovarsi o Perire và rivolto a tutto il mondo socialista ed a tutte le forze della sinistra. Vogliamo porci , tutte/i indistintamente, la domanda: E’ tempo di una sinistra socialista? Certamente sì! Nel secolo scorso la caratterizzazione predominante della sinistra fu comunista, in maniera sostanziale fu alimentata e sospinta dal partito comunista. I socialisti italiani invece furono fortemente avversati. Perché convinti che la sinistra o è socialista o non è sinistra. Tutto il mondo comunista, per tutto il novecento, ha ostacolato in tutti i modi l’idea dei socialisti che la sinistra dovesse essere socialista. La storia però ne ha decretato la giustezza dell’intuizione socialista, la giustezza delle scelte di rottura e di condanna dei regimi dispotici, la giustezza di stare dalla parte dei sistemi democratici prima e socialdemocratici poi. A tutti i comunisti\e ed agli ex comunisti\e, ma dico, volete morire democristiani/e? Il Pd è diventato una buona “ex democrazia cristiana“, quasi tutti i big Renzi (andreottiano), Boschi (fanfaniana), Fraceschini (forlaniano), Gentiloni (rutelliano) l’area fondatrice quasi tutta ex Pci é fuoriuscita, il PD é in caduta libera elettorale, si attesta su percentuali “davvero inimmaginabili” fino all’anno scorso. Causa prima “la guida a destra”, e il 4 dicembre scorso, data che ha rotto l’incantesimo renziano (e meno male!). Quando avvengono le bocciature referendarie su temi Costituzionali, che diventano storiche, inesorabilmente si trasformano in sconfitte emorragiche difficili da emostatizzare. I consensi e i voti escono per perdita di fiducia, e una volta usciti non rientreranno più. Oggi, si intravede una nuova via a base della sinistra, tutta l’area progressista e riformista dovrà capire che la sinistra o sarà socialista o non sarà sinistra! Nella peggiore delle ipotesi potrebbe non contare molto, fare testimonianza, ma il socialismo esisterà sempre. Si rifarà più in là. Qualche breve periodo di “purgatorio, lontani dal potere“, non farebbe male, se non altro per riprendere l’abitudine alla lotta. Umberto Ranieri. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

100 ANNI FA IL PRIMO VOTO ALLE DONNE, UNA LUNGA TAPPA

“Beyond Suffrage: A Century of New York Women in Politics”: è il nome della mostra dedicata all’attivismo politico da parte delle donne, dalla battaglia per il diritto di voto fino all’epoca contemporanea. La mostra aprirà al pubblico a New York il prossimo 11 ottobre e fino al 22 luglio del 2018 terrà accesi i riflettori sulle donne che hanno innescato il processo che portò al diritto di voto a livello federale. Era il 6 novembre del 1917 quando l’elettorato maschile, attraverso un referendum, concesse alle donne il diritto al voto. Quella data, anche se New York non fu il primo stato a concedere il voto alle donne, segnò l’inizio di un percorso che portò al suffragio a livello nazionale nel 1920. “Per oltre un secolo ha fatto da terreno di formazione e di battaglia per il diritto al voto delle donne e tutte le donne in questa mostra hanno il comune denominatore di ritenere il voto un modo per affrontare i problemi della società e un ardente desiderio di sfidare gli stereotipi e le barriere che hanno dovuto combattere le generazioni che le hanno precedute“. Le donne e il diritto di voto: un fatto che sembra scontato ma che fino alla metà del secolo scorso non lo era affatto. Scorrendo la classifica mondiale dei paesi che per primi hanno approvato il suffragio femminile, in testa c’è la Nuova Zelanda nel 1893, seguita dall’Australia e dai paesi scandinavi ai primi del ‘900, poi dalla Russia, con la Rivoluzione d’Ottobre, la Gran Bretagna e la Germania dopo la Prima guerra mondiale e gli Stati Uniti nel 1920. L’Italia approva il suffragio femminile solo alla fine dell’ultima guerra. Il suffragio femminile è stato concesso nei vari paesi del mondo in tempi diversi. Il primo stato europeo a riconoscere il suffragio universale fu il Granducato di Finlandia, con le prime donne elette in parlamento nel 1907. In Russia durante il governo provvisorio in piena rivoluzione nel novembre del 1917, si tennero le elezioni per l’assemblea costituente a suffragio universale. Suffragio che poi venne confermato nella costituzione sovietica del 1918. Il diritto di voto alle donne fu introdotto nella legislazione internazionale nel 1948 quando le Nazioni Unite adottarono la Dichiarazione universale dei diritti umani. Il voto alle donne, o suffragio femminile, è una conquista piuttosto recente nella lotta alla parità dei sessi. Si tratta, infatti, del risultato di un profondo movimento di riforma politico, economico e sociale che trova le proprie basi nella Francia del XVIII secolo, anche se al suffragio femminile non si arriva nello stesso periodo in tutti i paesi del mondo. Un percorso lungo e difficoltoso, a partire dal lontano 1877, quando Anna Maria Mozzoni, considerata la pioniera del nostro femminismo, presenta al Parlamento la prima petizione a favore del voto femminile. Da allora ci sono voluti altri settant’anni prima che le donne italiane potessero cominciare ad esprimere la propria opinione politica attraverso il voto, con le elezioni amministrative e poi col referendum del 1946. In Italia vennero pubblicati i primi giornali femminili, fino alla conquista del voto nel 1946. Nonostante il fatto che di emancipazione femminile comincino a parlare personalità eccellenti come Gioberti e Mazzini attorno alla metà del diciannovesimo secolo, nell’immaginario collettivo la donna è ancora confinata nell’ambito domestico e familiare e chi, per necessità, è costretta a lavorare si ritrova a subire una condizione di sfruttamento assoluto. L’elaborazione della dottrina sociale cattolica, che prende il via nel 1891 con l’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, chiede migliori condizioni di lavoro per le donne. La battaglia per il suffragio universale viene invece portata avanti dal Partito Socialista, che si scontra però con il rifiuto di Giolitti, il quale equipara il voto alle donne ad “un salto nel buio” di cui il governo non si sarebbe potuto assumere la responsabilità. Se in Inghilterra il movimento delle suffragette già nel 1918 assicurerà il voto alle donne, conquistato poco dopo anche negli Stati Uniti, in Italia si dovrà attendere fino al referendum istituzionale e all’elezione dell’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946. Il fascismo aveva infatti interrotto quel processo di emancipazione che, acceleratosi durante la Grande Guerra e culminato con la partecipazione femminile all’occupazione delle fabbriche del 1920, sarà poi ripreso negli anni della Resistenza, in cui l’impegno delle partigiane si rivelerà fondamentale.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Movimento Socialista in terra di Bari 1874 -1946

La Puglia, fin dagli esordi del movimento operaio, non era rimasta ai margini della storia d’Italia. Essa fu dapprima interessata dallo sviluppo del movimento anarchico bakuniano. Non a caso il “Comitato per la rivoluzione sociale” aveva disposto che la Puglia fosse il “centro di raccolta” degli internazionalisti meridionali in vista dell’insurrezione che doveva scoppiare nell’agosto del 1874. Il progetto insurrezionale dell’agosto del 1874 che, nelle intenzioni degli internazionalisti doveva chiamare le masse italiane alla “rivoluzione sociale“, emerge con estrema chiarezza dagli atti del procedimento penale istruitosi a Trani nel corso del 1875 a carico di ERRICO MALATESTA e di altri internazionalisti meridionali. La Puglia, infatti, si trovò al centro, per opera di Cafiero, della trama anarchica nel Mezzogiorno, fino alla crisi dell’Internazionale, apertasi con il fallimento dei “Moti del Matese” del 1877 di cui fu ispiratore lo stesso Cafiero. Figure come Cafiero, Covelli e Palladino, non sono esempi isolati, ma espressione di una realtà organizzativa che collegava tutto il Mezzogiorno ai centri direttivi dell’Internazionale. Ciò spiega il termine iniziale della ricerca fissato non al 1892, data di fondazione del Partito, ma appunto al 1874. E’ stato così possibile mettere a nudo le origini del movimento che prendeva le mosse dalla crisi della I Internazionale e dal conseguente distacco dall’anarchismo collettivista, di un filone del socialismo che si pose sul terreno della democrazia e che dette vita anche in Puglia al primo nucleo del Partito dei lavoratori italiani. Da quella crisi e dal tramonto dei progetti del radicalismo repubblicano più intransigente si venne a formare contemporaneamente a quanto avveniva in campo nazionale, quel movimento socialista moderno che aveva avuto come elementi di spicco Andrea Costa e Filippo Turati. Nel 1893, subito dopo il Congresso di Genova, sorse in Puglia la “Federazione socialista pugliese“. A Molfetta nell’estate di quell’anno si celebrava il I° Congresso regionale che dette l’avvio alla griglia provvisoria del partito. Vi parteciparono figure destinate ad avere un ruolo importante nella diffusione del socialismo: Giovanni Ancona-Martucci di Bitonto, Giovanni Colella di Bitetto, Leonardo Mezzina di Molfetta, Carlo Musacchio di Gravina. Dopo la caduta del governo Crispi la breve ripresa legale è sottolineata dalla venuta in Puglia di Costa e dalle elezioni del 1897. Il partito pugliese si trovò al centro della bufera con i moti del 1898 che interessarono centri importanti come Minervino Murge e la stessa Bari. Moti che vennero repressi duramente e che dettero luogo ad una serie di processi di cui il più importante fu quello per i fatti di Minervino Murge in cui fu coinvolto Carmine Giorgio. Con la repressione del governo Pelloux il movimento socialista uscì rafforzato dalla “crisi di fine secolo”. Infatti una lettera di Turati a Giovanni Colella sottolinea la crescita del movimento socialista in Puglia che entrerà a far parte dell’area “forte” del movimento nazionale, grazie al lavoro di alcuni pionieri come Felice Assennato, Vito Mario Stampacchia ed altri. L’elezione di Gaetano Salvemini nel collegio di Molfetta, dove i partiti popolari (repubblicani e socialisti) riescono a sconfiggere il corrotto partito clerical-moderato, introduce nella città un primo esperimento di governo riformista. Subito dopo il primo dopoguerra il movimento socialista pugliese era ormai un moderno movimento di massa e nelle elezioni del 1919 riuscì ad eleggere cinque deputati. Nelle elezioni successive si assicurò il controllo di importanti amministrazioni come Corato, Barletta, Santeramo e Canosa. Ancora nelle elezioni del 1921 precedute e seguite da gravissimi episodi di cui il più tragico fu l’assassinio di Di Vagno la forza socialista si mantenne quasi inalterata. Anche a livello regionale le divisioni interne nel socialismo, dopo la scissione di Livorno, per la presenza di un folto gruppo di sindacalisti rivoluzionari, esposero il movimento operaio, senza più un sistema di alleanze, all’attacco fascista. Quest’ultimo fu caratterizzato da episodi “militari” come la conquista di Andria ad opera delle squadre di Starace e Caradonna. Il socialismo pugliese, sottoposto ad una nuova e più grave scissione, quella della frazione “Terzo internazionalista“, oppose ciò nonostante una forte resistenza al fascismo sino alle leggi eccezionali. Dopo l’assassinio di Matteotti, nasceva contemporaneamente un filone di “nuovo socialismo“. Esaminando i documenti relativi agli anni della clandestinità emerge un quadro inedito dell’antifascismo pugliese. All’interno del movimento socialista nasce una linea liberal-socialista che, traendo origine dalla crisi del combattentismo passa attraverso le esperienze dei gruppi come quelli di “Rivoluzione liberale” di Rosselli. Questa corrente darà poi vita a “Giustizia e Libertà” e più tardi al partito d’Azione che ebbe in Puglia una sua posizione di forza. Dopo la caduta del regime, tutta la vita amministrativa “si inquadra in una sostanziale continuità dei modi del governo locale rispetto al pre – 25 luglio, mentre sul versante politico” vi sono da registrare le deliberazioni in misura di epurazione. A fronte di un biennio 1944-45, che “registra una ulteriore progressiva disgregazione delle forme di governo e di controllo sulla situazione eccezionale” bisognerà attendere gli ultimi scorci del 1945 perché le forme di protesta popolare spontanee si tramutino “in un movimento più politicamente orientato e più attivamente gestito dalle Camere del lavoro locali”. Dai primissimi giorni del 1944, l’attenzione delle autorità civili e militari e delle neo-ricostituite forze politiche si accentra intorno all’ipotesi di tenere a Bari il Congresso dei C.L.N., dopo le difficoltà sorte a Napoli, con una minuziosissima attività di informazioni e sorveglianza estesasi sino a tutto il 29 gennaio. Altresì interessanti – ai fini di una puntuale ricostruzione storica – si manifestano i precisi e ricorrenti rapporti mensili del Questore sulla situazione dei diversi partiti riorganizzatisi nella Provincia, che consentono di seguirne i ritmi dell’incremento numerico e della localizzazione territoriale. Con l’appressarsi del 1946 i motivi politici cominciano a mutare anche nella Puglia barese: ai moti politici e ai movimenti ai protesta organizzati, tenderà sempre più a contrapporsi uno Stato che è in grado di rispondere con la forza, man mano che si avvicina a quelle elezioni amministrative. Il moltiplicarsi dello sforzo organizzativo di gruppi e partiti politici, in vista delle elezioni amministrative, la complessa procedura attivata per la consultazione politica e referendaria e i risultati elettorali, il …