CON I SOCIALISTI LA COSTITUZIONE ENTRA NELLE FABBRICHE

di Vincenzo Lorè

Responsabile Comunicazione Socialismo XXI

Nel mentre la “Costituzione entrava nelle fabbriche“ attraverso l’iter parlamentare per giungere successivamente all’approvazione dello Statuto dei Lavoratori con la Legge 300 del 20 maggio 1970, l’eversione neo-fascista nel dicembre del 1969 perpetrava l’ennesima strage quella di Piazza Fontana a Milano.

Ai fascisti, ai reazionari e alle frange più oltranziste le riforme per l’emancipazione sono state sempre indigeste e le hanno avversate con ogni mezzo.

Tutto era cominciato nel dicembre del 1963, quando si era formato il primo governo di centro-sinistra, presidente del Consiglio Aldo Moro e vicepresidente Pietro Nenni. Democristiani e socialisti strinsero un’alleanza di governo. «l’Avanti!» titolava: “Da oggi ognuno è più libero”. Ci sono grandi aspettative, la scuola, la sanità, l’urbanistica, la programmazione economica, le “riforme di struttura”. I socialisti spingono sul tasto riformista e come disse Nenni iniziarono a risuonare di lì a poco “il tintinnare di sciabole“. Fu chiamato il Piano Solo del generale De Lorenzo prevedeva la presa del potere da parte dei carabinieri e l’arresto di comunisti e socialisti.

Quale fu la posizione del Movimento Sociale Italiano (il partito politico italiano di ispirazione neofascista, considerato erede del Partito Fascista) in queste due vicende?

MSI era considerato come parte di una minaccia alla stabilità democratica da sempre. Nel 1960, la Dc aveva tentato la chiave di un governo ultraconservatore, il governo Tambroni, appoggiato dal Movimento Sociale Italiano. Quel governo era stato in piedi soltanto 5 mesi provocando un’ondata di proteste e scontri, culminando in eventi come la strage di Reggio Emilia e i fatti di Genova.

Soprattutto il MSI fu la casa-madre per tutto il mondo del neofascismo italiano, compresa la sua parte più estrema e rappresentò anche un riferimento, quando non un rifugio, anche per le componenti del terrorismo nero protagoniste della Strategia della tensione.

Nell’Italia di oggi i discendenti diretti li ritroviamo al potere, rivestendo anche altissime cariche istituzionali. E’ evidente che la subcultura di estrema destra è dominante nel nostro Paese e non solo perché oggi vige un governo marcatamente di matrice fascista, ma perché quel modo di vedere la società e la teoria del capo che tutto può e a cui tutti devono essere subalterni.

L’Articolo 48 della Costituzione recita: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”. Che ad andare contro un principio sancito dalla nostra Carta sia la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, potrebbe suonare come un paradosso. Se non si pensa che a sedere su quello scranno è Ignazio La Russa, uno che con i principi costituzionali non si è mai trovato proprio in linea tant’è, ormai è chiaro che la destra tutta sta portando avanti una aperta campagna di boicottaggio dei referendum dell’8 e 9 giugno.

Ma cosa ci si poteva aspettare dalla destra italiana che mai nella sua storia ha dato un contributo per la tutela e per migliorare le condizioni dei lavoratori, tant‘è già l’anno scorso si discuteva un Ddl del governo che riduce ancora di più le garanzie dei lavoratori, accompagnato dallo strombazzare della crescita occupazionale a tempo però?

Tra pochi giorni saranno 55anni dall’approvazione delllo “Statuto dei Lavoratori“ voluto dal Partito socialista con i Compagni Brodolini e Giugni, penso con grande sdegno a quei sedicenti socialisti reggicoda della destra al governo, i quali continuano la loro farsa come fiancheggiatori di chi da sempre è stato contro i lavoratori e messo anche in atto atteggiamenti eversivi, basti pensare ai recenti reiterati tentativi di sdoganare il fascismo, una ragione in più per votare al referendum dell‘8 e 9 Giugno SI.

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