di Renato Costanzo Gatti
Socialismo XXI Lazio |
Le due domande che mi pongo in questo contributo sono:
1 – Perché il PIL sta crescendo della metà di quanto previsto nel DEF?
2 – Da dove nasce quell’importo di 17 miliardi di gettito in più?
Alla prima domanda ritengo si possa rispondere con tre tipi di argomentazione:
1.1 il primo argomento sta nel fatto che il DEF (Documento economico finanziario, erede del DPEF da cui è stata cancellata la P, che significava Programmazione, tanto per capire come stiano andando le cose) che indicava una crescita dell’1% era, già al momento in cui fu indicato, estremamente ottimistico, insomma una forzatura che poi ha dovuto lasciare posto ai dati reali.
1.2 La seconda causa sta evidentemente nei fatti geo-politici ed economici: in particolare la guerra russo/ucraina che ha fatto aumentare i costi dell’energia per cui oggi le nostre imprese pagano l’energia il triplo di quanto la paghino le imprese statunitensi (uso volontariamente la parola statunitensi e non americane per rispetto al Canada, Brasile, Argentina etc. così come dico MUGA e non MAGA), e la crisi dell’industria automobilistica che insieme a tessile e metalmeccanica fanno segnare da più di 20 mesi indici con il meno davanti. Questo crollo nella produzione industriale rimanda alla lucida analisi che Draghi espone nel suo Rapporto sulla competitività, laddove si denuncia il grave ritardo tecnologico dell’Europa rispetto alle dominanti USA e Cina. Ecco che allora l’approccio Draghi deve diventare il programma economico della sinistra italiana.
1.3 Il terzo elemento di riflessione è relativo agli effetti che il PNRR ha avuto nel 2024, e quindi, quale sarebbe stato l’aumento del PIL senza i miliardi del PNRR che hanno necessariamente influenzato il risultato del 2024; spontanea nasce la domanda ma quanto sarebbe cresciuto il PIL (o quanto sarebbe sceso) se non ci fossero entrati i soldi del PNRR. Vediamo alcune cifre:
- 113,5 miliardi ricevuti dal PNRR
- 21 miliardi l’ammontare della VII rata (scadenza 31 dicembre) con 69 M&T da conseguire (60 in corso; 6 completati; 3 milestone presentano ritardi).
- 54,1 miliardi, la spesa sostenuta (fino al 17 ottobre 2024), il 27,5 per cento del totale delle risorse PNRR.
- 42 miliardi pianificati nel 2024 di cui solo 9,5 effettivamente spesi (22,5 per cento).
- Il 46 per cento dei fondi finanzi gli investimenti pubblici, il 38 per cento i contributi agli investimenti, mentre il 10 per cento è in spesa corrente.
- Gli investimenti pubblici siano caratterizzati da un elevato livello di efficienza.
Gli effetti attesi dal PNRR calcolate attraverso il modello MeMo-It indicano che a fine periodo le spese del PNRR AUMENTEREBBERO IL LIVELLO DEL PIL DI CIRCA 3 PUNTI PERCENTUALI
- Gli impatti sulla crescita sarebbero moderati nei primi tre anni, circa due decimi di punto percentuale in media fino al 2023; NEL SUCCESSIVO TRIENNIO SI RAFFORZANO, POCO MENO DI UN PUNTO IN MEDIA.
Nel 2024 l’effetto del PNRR si conteggia a POCO MENO DI UN PUNTO quindi si può concludere che senza il PNRR (stimato per il 2024 pari allo 0.9) l’incremento dello 0.5% diventerebbe un indice dello -0.4, alla faccia dei mirabolanti successi conclamati dalle fonti governative.
2. Vengo ora alla seconda domanda, relativo all’aumento del gettito fiscale derivante soprattutto dall’incremento del gettito Irpef (quello pagato da lavoratori dipendenti, pensionati e in modo marginale da imprese non di capitale). Scrive Il Sole 24 Ore:
2.1 “Tra le entrate derivanti dalle imposte dirette, il gettito Irpef si è attestato a 112,883 miliardi (+7,219 miliardi, +6,8%) principalmente per effetto dell’aumento delle ritenute di lavoro dipendente (+8,543 miliardi, +8,6%). In diminuzione la componente dell’autoliquidazione (-1.392 miliardi, -34,8%) che risente dell’assenza del dato di quest’anno delle entrate dell’autotassazione delle dichiarazioni dei redditi. Anche per l’Ires il confronto risulta disomogeneo (-7.463 miliardi, -48,5%). Positivi risultano gli andamenti delle ritenute sugli utili distribuiti dalle persone giuridiche (+708 milioni di euro, +36,0%) per l’aumento degli ,di capitale (+5.403 miliardi, +96,6%) per l’aumento dei tassi di interesse registrato nel corso del 2023”
Scrive Ferrari, della CGIL, su Collettiva: A rimetterci sono i redditi bassi.
2.2 Il risultato di questa simulazione toglie il velo dalle menzogne del governo. A conti fatti, correttamente risulta che tutti i redditi sotto i 35 mila euro previdenziali avranno nel 2025 una riduzione del netto in busta paga rispetto al 2024 (tranne il reddito di 25.500 euro che registra un modestissimo incremento). Inoltre, paradosso dei paradossi, le maggiori perdite si concentrano su tre redditi: 15.500, 16 mila e 16.500 euro, proprio i più bassi.
Come mai? Anche questo è presto detto: in assenza del cuneo contributivo, a parità di imponibile previdenziale annuo, l’imponibile fiscale annuo risulta essere inferiore ai 15 mila euro per cui la detrazione per lavoro dipendente è inferiore di circa 1/3 rispetto a quella riconosciuta nell’anno d’imposta 2024, mentre il bonus previsto per il 2025 per questi tre redditi non compensa il minor importo della detrazione per redditi di lavoro dello stesso anno. Altro che riduzione delle tasse.
In conclusione, la materia fiscale, con l’obiettivo della flat tax per tutti, come da programma di governo, è diventata un crogiuolo di regali elettorali il cui maggior promotore è quel naufrago di Salvini; un malefico strumento che nega la progressività a favore delle rendite e delle partite iva; un sistema che nega la equità orizzontale spingendo verso il corporativismo di un infelice periodo storico.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.