di Aldo Ferrara – Socialismo XXI Lazio |
Anche il pensionato ha diritto al suo reddito d’inclusione che, data l’età avanzata e le possibili precarie condizioni di salute, non può che avere una sola definizione: Reddito di Salute.
In tema di diritto alla Salute, lo scenario dal quale l’Agenda Politica non esce, è il teorema della Bindi che, da Ministro della Sanità, volle chiudere i piccoli centri ospedalieri di Provincia, atti comunque a fornire una minima offerta di salute e con l’Aziendalizzazione ha trasformato il Servizio in Sistema Sanitario Economico-finanziario-Amministrativo e Politico. Lo step successivo, il Modello Formigoni, consegna la Sanità in mano alle Assicurazioni e Banche, rendendolo semi-privatizzato. Al contrario la posizione, più autentica in difesa dei meno abbienti è chiara: intendiamo sviluppare un concerto di proposte nelle quali siano contemperate le esigenze della domanda sanitaria e il deficit statale poiché, se mai si dovesse pervenire a un riassetto dei sistemi di gestione, questo potrà ridursi.
Ridimensionare la spesa per la salute è in controtendenza con altri Paesi, ove essa è in crescita (negli Usa di ben 5 volte quella italiana). Ciò significa che una posizione politica possibile è quella di una ristrutturazione globale dell’assistenza che comporti risparmi e non tagli. A fronte delle proposte tipo “elemosina di stato” (Reddito di cittadinanza, reddito di inclusione et affini) https://www.glistatigenerali.com/occupazione_partiti-politici/dalla-rivoluzione-verde-allelemosina-di-stato-il-tradimento-m5s/ noi proponiamo una misura a costo zero che consiste in un riequilibrio delle risorse economiche del lavoratore, peraltro già esistenti. Solo che ne modifichiamo, a suo vantaggio, la destinazione.
Se dunque assumiamo che assistenza e previdenza presentino profili d’intreccio e poiché il dibattito odierno verte anche sul TFR (o TFS a seconda del Contratto di Lavoro), la cui cifra complessiva si aggira sui 22.5 miliardi/anno, la nostra proposta può se non altro contribuire al dibattito sul tema. Le ipotesi di lavoro sono lo slittamento del TFR in busta paga (scenario A) ovvero la capitalizzazione ai fini contributivi (scenario B), ciò che comporterebbe utilizzo di un fondo pensione integrativo. Indipendentemente dalle forme di previdenza complementare cui è destinato il TFR a far tempo dal gennaio 2007 (fondi negoziali, fondi aperti o piani individuali previdenziali) la nuova proposta riguarda l’istituzionalizzazione di un Fondo Sanitario complementare.
Un ex Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, un tempo allievo del socialista Franco Reviglio ed egli stesso nel PSI, sembra favorevole a una proposta del genere. Secondo l’ex Ministro, (dichiarazione alla trasmissione televisiva “Piazzapulita” de La7, 3 maggio 2012 e note nel suo volume “Uscita di Sicurezza”, Rizzoli, 2012) sarebbe uno dei progetti per il rilancio istantaneo dell’economia. E questa volta “dal basso”! A ciò si aggiunga che si tratterebbe di istituzionalizzare quanto previsto dal Codice per il lavoratore in costanza di rapporto. L’art. 2120 del codice civile, comma 8, disciplina l’anticipazione del TFR: i lavoratori dipendenti con almeno 8 anni di servizio possono chiedere al datore di lavoro un’anticipazione del trattamento di fine rapporto fino al 70% nei seguenti casi: spese sanitarie per terapie e interventi straordinari; acquisto della prima casa, anche per i figli; astensione facoltativa per maternità; congedi per la formazione.
Un’idea per far ripartire micro e macro-economia perché quando i lavoratori hanno più soldi, certamente ne mettono in banca una parte, ma spendono il rimanente riattivando il volano dei consumi.
L’idea non è nuova, ne fu propugnatore Mussolini, quando aveva ancora idee socialiste, nell’Italia in crisi del primo decennio del XX secolo. Una sorta di ammortizzatore sociale allora, che adesso potrebbe avere benefici effetti sulle attività commerciali.
La nostra idea è più orientata verso i numerosi aspetti sociali: dedicare parte del TFR non solo ai consumi ma soprattutto alle agevolazioni sanitarie, (e non in busta paga, soluzione demagogica e plausibile solo per aumentare la tassazione) significherebbe andare incontro alle necessità immediate degli anziani, e dei pensionati, affetti da svariate patologie.
Non ultima motivazione è quella politica, perché il destino del TFR è di essere accantonato dalle Aziende, che poi usufruiscono di congrui interessi attivi. Ma questo è un concetto padronale che poco si sposa con gli interessi dei lavoratori, ancorchè anziani.
Tuttavia riteniamo che esista un terzo scenario (scenario C) cui si perviene per una serie di passaggi logici:l’età media è in continua ascesa: l’ISTAT ci fornisce il novero di 15.219.074 ultrasessantenni al 2017, 86% dei quali in fase di pensionamento o prepensionamento. Malgrado i continui progressi, ben il 74% degli ultrasessantenni presenta uno stato di malattia e quindi la necessità di ricorso alla spesa ospedaliera o farmaceutica.
Se gran parte dei pensionati capitalizzasse il TFR per ottenere un plus agevolativo e aggiuntivo ai fini sanitari o farmaceutici, si potrebbe modificare il plafond di spesa per redistribuzione individuale diretta, e quindi con un miglioramento del deficit dello Stato.
In pratica, la proposta è quella di una capitalizzazione di almeno il 50% del TFR complessivo (11 miliardi) ai fini contributivi assistenziali con un Fondo Assicurativo Statale ad hoc. Lo Stato si comporterebbe da buon padre di famiglia, assicurando al proprio cittadino una certa cifra, ma destinandola direttamente alla contribuzione assistenziale, almeno nella sua quota capitalizzata.
I vantaggi assicurati sarebbero i seguenti:
• resterebbe nelle casse dello Stato il 50% del TFR capitalizzato ai fini assistenziali;
• il pensionato godrebbe effettivamente di un 50% in meno di TFR, ma si vedrebbe corrisposta una quota parte in trattamento assistenziale, le cui forme possono essere suddivise in fondi assicurativi o esenzioni dai ticket sanitari;
• tale agevolazione sanitaria si riverserebbe sui pensionati nel loro complesso, assicurando un maggior benefit per i pensionati al minimo pensionistico;
• capitalizzando il TFR nel suo 50% (11 miliardi), si otterrebbero mediamente circa 100 milioni di interessi attivi a beneficio dell’attuale capitolo di spesa della sanità, riversandosi tra la spesa farmaceutica e quella ospedaliera.
In pratica, attraverso una destinazione già prefissata, non si farebbe altro che investire in assistenza senza mortificare i diritti e le necessità del cittadino. Questo verrebbe addirittura sollevato da ogni problematica relativa all’investimento del TFR, evitando così il trasferimento di questi fondi a enti privati (banche, assicurazioni) ai quali si rivolgerebbe per investire il suo TFR.
Un altro elemento positivo sarebbe dato dalla più equa ripartizione dei fondi da mutuare in parte sulle classi di pensionati meno abbienti, (Ferrara A. e Rosafio, L., Rione Sanità, 2013; Ferrara A., Quinto Pilastro, il tramonto del SSN, 2016).
Un esempio del principio socialista di salvaguardia della salute del lavoratore-pensionato, del recupero della spesa corrente e della migliore tendenza nell’utilizzazione di risorse esistenti. Più socialisti di così?
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